
Supertestimone racconta che nei giorni del rapimento l’Aise scavalcò l’ambasciatore Massari nelle ricerche. Un alto funzionario del Cairo: “E’ vivo ma non l’abbiamo noi”
Nei giorni di angoscia e fiato sospeso in cui l’Italia si chiedeva dove fosse Giulio Regeni, qualcuno ai più alti livelli delle istituzioni italiane ed egiziane sapeva, ma ha taciuto. È questa la verità che emerge da alcuni documenti inediti e dal racconto di un super testimone che lavorava al tempo all’ambasciata al Cairo e che per la prima volta dopo otto anni ha deciso di parlare. Report lo ha intervistato per un servizio andato in onda nell’ultima puntata della trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci dedicato alla morte di Giulio Regeni. Il ricercatore friulano scomparve il 25 gennaio del 2016 dalla stazione metro di Dokki del Cairo e verrà ritrovato senza vita e con il corpo maciullato il 3 gennaio ai bordi dell’autostrada che dalla Capitale porta ad Alessandria. Negli stessi giorni, mentre il ricercatore veniva torturato, il governo egiziano di Abdel Fatteh Al Sisi negava ogni responsabilità e in più occasioni ripeteva di non sapere che fine avesse fatto. Questa è la verità sostenuta fino a oggi, ovviamente contestata dai magistrati italiani che stanno indagando sul cold case.
La presidenza del Consiglio, il ministro degli Esteri, la diplomazia italiana, l’Aise hanno cercato in quei giorni di fare di tutto per salvare il ragazzo. L’ex premier Matteo Renzi nel corso di un’audizione della commissione parlamentare sul giallo affermava di aver saputo del rapimento di Regeni solo il 31 gennaio. Ma secondo l’ex ambasciatore italiano Maurizio Massari, sarebbe stato informato con il famoso messaggio criptato 211 mostrato in esclusiva da Report, il 28 gennaio. Sono i giorni in cui Regeni è torturato nelle celle segrete della National Security, i servizi segreti egiziani. Tuttavia il governo egiziano ha sempre negato ogni responsabilità, ha negato di sapere dove fosse il ricercatore friulano, l’ha fatto davanti all’ex ministro degli esteri Gentiloni e davanti all’ambasciatore Massari stesso. Ed è stata questa linea della mancata responsabilità del governo quella incardinata nell’ambito del processo che si sta svolgendo a Roma. I soli imputati sono i quattro 007 egiziani accusati di omicidio e tortura ma l’Egitto non ha mai voluto rivelare il loro domicilio e finora non ha mai collaborato attivamente alle indagini. Questa linea della mancata responsabilità del governo egiziano rischia ora di disgregarsi grazie al processo di Roma e di fronte alla testimonianza del super testimone che a Report, con documenti e chat, ha tentato di identificare il ruolo e la responsabilità del Cairo e ha raccontato anche cosa sarebbe successo invece a livello di operatività dei servizi segreti italiani nella vicenda.
Il supertestimone ha raccontato a Report che mentre l’ambasciatore si stava muovendo con tutti i propri canali per trovare il giovane, consapevole della possibilità che fosse finito in mani istituzionali, un secondo canale parallelo si era aperto a sua insaputa. Un canale rimasto fino ad oggi sconosciuto e che porterebbe a una donna, Zena Spinelli, lobbista italiana, avente altissimi contatti tra i funzionari egiziani. Zena venne anzitutto contatta da un operativo dell’Aise. Il servizio segreto italiano aveva infatti chiesto aiuto alla donna per il rintracciamento del giovane ricercatore. A quel punto Spinelli si sarebbe attivata contattando una figura molto vicina alla cerchia governativa del Cairo, l’assistente diretto del ministro della Giustizia egiziano Ayman Rashid il quale, dopo alcuni scambi di messaggi, le confidò quanto segue: “Non lo abbiamo (Giulio, ndr) ma è ancora vivo”. Ecco la prova che i servizi segreti italiani sapevano che Giulio era ancora vivo.
Il messaggio risale al 29 gennaio, Regeni era scomparso da quattro giorni ma purtroppo di quelle chat non c’è traccia perché la Spinelli le eliminò nel momento in cui le cose presero una tragica piega. Infatti, quando il Ros volò al Cairo tempo dopo per interrogare la donna non trovarono nulla nella chat con Rashid. Il supertestimone è a conoscenza di questi messaggi solo perché Zena glieli avrebbe fatti leggere il 5 febbraio dopo la cerimonia funebre. Il messaggio ricevuto dalla Spinelli, contattata dall’asse per il ritrovamento di Giulio, se fosse stato reso pubblico, avrebbe forse salvato la vita a Regeni? La domanda è lecita anche perché, secondo Report, i servizi italiani erano stati informati del messaggio ricevuto dalla donna.
Perché, allora, i vertici dell’intelligence italiana, che secondo quanto rivelato da Ilfattoquotidiano.it fecero due visite di alto livello al Cairo, il 27 e il 30 gennaio, non riuscirono a liberare Regeni? Le fonti vicine al dossier sentite da Ilfattoquotidiano.it raccontarono che i servizi segreti italiani arrivati da Roma hanno incontrato il 27 gennaio e il 30 dello stesso mese i loro omologhi egiziani che già avevano informato l’ambasciatore Massari della scomparsa di Giulio il 25 gennaio.
Al secondo incontro, specificano, era presente anche l’allora direttore dell’Aise, Alberto Manenti. Il supertestimone ha ribadito che già dal 29 gennaio i servizi segreti italiani sapevano con certezza che Regeni era nelle mani delle istituzioni egiziane. L’Aise sapeva ma non condivide le informazioni con l’ambasciatore Massari, aprendo così una frattura istituzionale che diventa una voragine il 3 febbraio, giorno del ritrovamento del cadavere. “I servizi hanno giocato un’altra partita e Massari non sapeva un cazzo”, ha raccontato a Report il supertestimone. Non solo. I servizi segreti italiani avrebbero addirittura visto Giulio Regeni, prima dell’ufficiale ritrovamento, ma non si se fosse ancora vivo o meno secondo la moglie di un operativo Aise al Cairo. L’ex capo dell’Aise Manenti aveva incontrato il responsabile delle agenzie di sicurezza egiziane il 3 febbraio alcune ore prima l’annuncio del ritrovamento del corpo di Giulio. I servizi italiani, a quel punto, in trattativa con gli omologhi egiziani sarebbero riusciti, secondo il supertestimone, almeno a farsi restituire il corpo del ricercatore. “La domanda importante è perché è stato restituito il corpo? - si è chiesto il supertestimone -. Secondo me perché è stata un’imposizione della nostra Aise. Cioè hanno detto ‘noi sappiamo quello che è successo’ magari gli hanno detto anche ‘l’abbiamo visto quindi almeno il corpo ce lo ridate’”. Quando il corpo viene consegnato, Massari, che aveva fatto di tutto per portare in salvo il giovane connazionale, si trovò quindi davanti a un muro e capì che non si sarebbe più dovuto parlare del caso Regeni e soprattutto delle complicità delle istituzioni egiziane per una ragione di Stato. “A un certo punto c’è un Deal (un accordo, ndr) tra Massari e i servizi - ha raccontato la fonte di Report - e gli dicono basta, è finita”. Da quel momento si perseguirà solo la pista dei responsabili operativi delle torture e dell’omicidio di Giulio. Nessun livello superiore, di copertura, verrà più toccato.
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