L'intervento dell'ex procuratore generale di Palermo all'evento "Mafie e antimafie OGGI"
La povertà che imperversa nelle regioni del sud Italia ha colpito 450 mila famiglie lasciandole senza nemmeno i soldi per pagarsi i beni di prima necessità. In questo contesto "la mafia riacquisterà un ruolo storico", quello di "strumento d'ordine in aggiunta ai manganelli di Stato". "Ma soprattutto l'economia criminale è diventata un importantissimo ammortizzatore sociale che assorbe centinaia di migliaia di persone che altrimenti farebbero esplodere l'ordine". Così davanti a una sala gremita di persone l'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato, intervenuto all'evento del 18 maggio "Mafie e antimafie OGGI" presso il Complesso Monumentale dello Steri, Sala delle Capriate (Piazza Marina, 61, Palermo). "Siamo dinanzi a un fenomeno macrosistemico" che ha attraversato "indenne il cambiamento di tre forme dello Stato, monarchia, fascismo e repubblica" e la transizione "dall'economia agricola a quella industriale a quella globale". Un tassello principale rimane comunque la "politica criminale di questa maggioranza di governo" che si sta sviluppando in due direzioni: la prima allargare le briglie sul potere pubblico in materia di appalti. L'Anac, l'Autorità nazionale anticorruzione, in un rapporto del 2024 ha rilevato "il 27% dei comuni italiani è implicato in fatti di corruzione".
A questo si aggiunge la seconda direzione della maggioranza di governo: la soppressione degli strumenti di controllo; l'abolizione dei poteri di controllo concomitanti della Corte dei Conti sul piano di attuazione del Pnrr e la "legalizzazione dell'abuso di ufficio come strumento del voto di scambio. Ma come funziona il voto di scambio? Si utilizza il potere pubblico come una serie definita di favoritismi della più varia specie, in cambio di un voto di scambio che è fidelizzato. E non è un caso che siano tornati in campo gli specialisti del voto di scambio. I quali vantano pubblicamente un patrimonio personale tra 150 mila e 200 mila euro che mettono sul mercato politico". Oltre a tutto questo, la politica non ha mai messo in cantiere un progetto di legge "sul conflitto di interesse e sulle lobby". Ciò determina la crescita di un "habitat perfetto per l'espansione della mafia-corruzione”. L’attuale classe dirigente, inoltre, sta portando avanti una vera e propria campagna militarmente e burocraticamente organizzata contro gli strumenti a disposizione della magistratura per contrastare le organizzazioni mafiose.
Scarpinato ha ricordato, ad esempio, "la limitazione di 45 giorni dell'intercettazione che significa il collasso sistemico in campo nazionale dell'intercettazione dell'indagine sui colletti bianchi; il divieto dell'uso del Trojan", senza il quale non vi sarebbe stata l'inchiesta sulla 'tangentopoli genovese'.
Non si deve dimenticare il programma di distruzione della Costituzione con il quale si comprometterà irrimediabilmente "l'indipendenza della magistratura". Un bene costituzionale senza il quale i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non avrebbero potuto fare le grandi inchieste sulla mafia e sui poteri che orbitano attorno ad essa.
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Il problema non è più giuridico, ma economico
La ricchezza delle mafie è ormai andata oltre i confini nazionali, tanto da non essere più risolvibile con gli strumenti giuridici. Il macrosistema 'mafia' ha ormai da tempo adottato sistemi alternativi per far fruttare i propri capitali. "Trans Crime - ha detto Scarpinato - ha fatto una ricerca e ha accertato che il volume dei beni sequestrati dal 2016 al 2023 è passato da 35.000 a 18.000, dimezzato. Perché? Perché soltanto le mafie senza cervello oggi continuano a investire in Italia. Le mafie dei lobbisti e macroscopiche hanno capito che il rischio penale si azzera investendo fuori dall'Italia e quindi è l'economia che ormai sta superando il problema e i giuristi vengono in grande ritardo".
Ci sono condizioni "macrosistemiche che hanno aperto vaste praterie alla normalizzazione della mafia, alla sua integrazione sistemica" ha continuato; prima fra tutte "la cancellazione della questione meridionale dall'agenda politica, il cui principale indice è l'approvazione dell'autonomia differenziata". In sostanza si tratta di un processo di revisione costituzionale che spaccherà l'Italia in 20 micro-stati. Come questo favorirà oltre ogni misura la mafia? Se i livelli di potere rimangono centralizzati a livello statale, la mafia dovrà impiegare molte più risorse per arrivare a scalarli mentre una regione è facilmente conquistabile: è facile "scalare un comune", una provincia ed è "molto facile scalare un livello di governance regionale che ha poteri statali. Bastano poche migliaia di voti per conquistare assessori strategici. E non è un caso che le mafie abbiano sempre avuto la vocazione del separatismo. Non è un'idea politica, è una cosa pragmatica. E non è un caso che la strategia stragista del '92 e del '93, come ci hanno riferito circa 15 collaboratori, avesse come progetto quello di balcanizzare l'Italia in tre macro-regioni" ha detto Scarpinato, riferendosi al progetto separatista delle leghe meridionali al cui seguito si annoveravano personaggi come l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e il capo della loggia massonica P2 Licio Gelli. "È Graviano che lo spiega" ha ricordato l’ex magistrato, ricordando l'intercettazione in cui spiega al "suo interlocutore cosa sarebbe diventata la Sicilia: Un paradiso (per Cosa nostra, ndr). La mafia sarebbe diventata la Singapore del Mediterraneo". Un luogo dove si sarebbero sviluppati ogni tipo di traffici; ma la storia ha superato quel progetto dal momento che “le mafie si sono trasformate in mafie mercantilistiche ed elitarie" ha detto Scarpinato, che con il benestare dei grandi potentati politici verranno inglobate “dentro il sistema economico legale". "Ormai l'Unione Europea nel 2014 - ha ricordato Scarpinato - ha cambiato i sistemi di calcolo del prodotto interno lordo nazionale prevedendo che venga contabilizzato anche il fatturato degli stupefacenti, del contrabbando e della prostituzione".
© Paolo Bassani
I depistaggi e le operazioni di sistema
"In nessun paese europeo si è verificato, come si è verificato in Italia dal dopoguerra ad oggi, una sequenza così lunga e ininterrotta di stragi, di omicidi politici e di tentativi di golpe" ha ricordato l'ex procuratore generale sottolineando che questi episodi hanno tutti un minimo comune denominatore, i depistaggi. Dalla strage di Portella della Ginestra a quelle del 1994 si può scorgere una trama che viaggia in parallelo con le versioni ufficiali. Queste ultime escludono a priori la presenza di mandanti esterni alle organizzazioni criminali o terroristiche. Tutte versioni in seguito smentite dalla storia e dalle indagini. Basti pensare alle condanne per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969: il generale Gianadelio Maletti (stato maggiore della Difesa) per depistaggio, il capitano del Sid Antonio Labruna e i dirigenti dell'ufficio affari riservati al ministero dell'Interno Federico Umberto D'Amato e Elvio Catenacci, Silvano Russomanno.
D'Amato è stato anche riconosciuto colpevole per la strage alla stazione di Bologna dell'agosto 1980. L'elenco potrebbe andare avanti ancora per molto. "Se poi esaminiamo i depistaggi del '92 e del '93 - ha detto Scarpinato - sono la replica di un protocollo di depistaggio che è uguale ai casi precedenti. Cosa significa questo? Per me significa che la mafia non è fatta soltanto di Riina e che le stragi non sono state fatte soltanto da fuori di testa appartenenti all'estremismo di destra o alla mafia. Penso che bisogna avere l'onestà intellettuale e un dovere morale nei confronti di personaggi come Falcone e Borsellino e non avallare la versione omologata e analgesica della retorica di Stato che li spaccia come vittime esclusive dei brutti sporchi e cattivi. Vorrei solo ricordare che la riduzione all'impotenza di Falcone con la smobilitazione del gruppo antimafia, con la sua emarginazione alla Procura della Repubblica di Palermo, la sua damnatio da parte del sistema di potere italiano che lo bollò come sceriffo perché aveva 'violato il dovere della terzietà' del giudice e l'aveva fatto perché dirigeva le indagini che dovevano essere lasciate alle forze di polizia. Falcone - ha continuato - si difese citando la Costituzione la quale stabilisce che la direzione delle indagini è della magistratura. Tutto questo furono operazioni di sistema non di Riina".
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