Il caso fa discutere ma è solo colpa degli studenti?
Sta facendo molto discutere l'applauso di un gruppo di alunni dell'Istituto comprensivo del Vomero Amedeo Maiuri durante la proiezione del film Fortapàsc, mentre scorrevano le immagini dell'omicidio del giornalista Giancarlo Siani per mano della Camorra.
Il gesto, anche se improvviso, non è passato inosservato tanto che il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, ha detto di voler immediatamente agire per capire quanto accaduto.
Sulle motivazioni dell'applauso in verità non c'è un'interpretazione univoca: secondo una insegnante, che accompagnava i ragazzi durante la visione del film, l'applauso c'è stato, ma gli studenti hanno applaudito anche durante altre scene. L'applauso, insomma, sarebbe stato un modo per esprimere emotività di fronte a quanto stavano osservando, e del resto sulla figura del giornalista assassinato nel 1985 la scuola aveva lavorato con un progetto preparatorio. Sconcertato per l'avvenuto, invece, è il fratello della vittima, il medico Paolo Siani.
"Alla morte - ha scritto sui social - non si applaude, mai, per nessuno. Davanti alla morte si resta in silenzio, questo non va neppure spiegato. Ma se invece accade, se alcuni ragazzi, pochi, molto giovani, di una scuola che si sta impegnando per far crescere in loro il senso della legalità e della giustizia, applaudono alla morte violenta e quindi scelgono di stare dalla parte di chi spara, c'è bisogno che noi tutti, ci si interroghi sul perché. Adesso, subito, prima che sia troppo tardi. Non possiamo far finta di nulla, dobbiamo intervenire, spiegare, raccontare, e lo dobbiamo fare con più forza, più veemenza, più coraggio, più passione, tutti. Perché ci riguarda tutti".
“Oggi i ragazzi crescono con modelli che non condivido – ha detto Siani durante l’inaugurazione della targa dell’Aula 2 del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre intitolata al fratello ucciso dalla Camorra il 23 settembre 1985 all’età di 25 anni -. Come ci si può meravigliare che alcuni ragazzi facciano un applauso fuori luogo e si schierino dalla parte del boss. Quello che manca è un racconto delle mafie bilanciato con il bene. E qui oggi comincia questo racconto”.
Non ha tutti i torti Paolo Siani. In attesa di chiarimenti su quanto accaduto, però, l’errore da scongiurare è quello di stigmatizzare gli studenti generalizzando sulla vicenda. E, soprattutto, è importante evitare la retorica parlando di “lavoro con i giovani” piuttosto che di “lavoro sui giovani”.
Questi applausi macabri si inseriscono in un contesto più ampio che da tempo vede normalizzare il fenomeno mafioso. Anche fra i banchi di scuola.
Da un lato con prodotti cinematografici oltremodo discutibili come “Gomorra” e “Mare fuori” che, seppure l’intento non fosse quello di sponsorizzare il crimine, in molti - specie nei più giovani - ha suscitato una mitizzazione dei boss e della trasgressione criminale della legge. Dall’altra lato, invece, con una latente e sempre più incresciosa ignoranza dentro le aule dell’antimafia del Paese a causa di programmi scolastici e ministeriali obsoleti che portano gli studenti ad acquisire un sapere sempre più generalizzato della storia.
Basti pensare a quanto accaduto a Partinico dove, ad un passo dall’intitolazione del liceo Santi Savarino a “Felicia e Peppino Impastato”, i rappresentanti dell’istituto hanno definito il militante di Cinisi ucciso da Cosa nostra il 9 maggio ’78 come “un personaggio divisivo”.
Ed è proprio da qui che dovremmo ripartire tutti. Facendo un lavoro “con” le scuole e le università, perché dietro l’ignoranza prolifera il germe della mafia. E non può essere relegata la responsabilità solo agli studenti. Piuttosto, interroghiamoci su quali strumenti concreti offre il sistema scolastico e quello universitario per costruire anticorpi alla mafia, così come al fascismo. E quindi: sono sufficienti?
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