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I tentacoli dello storico clan Coluccia della Sacra Corona Unita sul Basso Salento. Tanto emerge dalle indagini condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Lecce, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, concretizzatesi con l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Lecce nei confronti di 15 soggetti (11 in carcere e 4 agli arresti domiciliari. 

Al centro dell’attività investigativa, sviluppatasi sui territori di Galatina, Aradeo, Neviano, Cutrofiano e Corigliano d’Otranto, un’associazione di tipo mafioso finalizzata all’usura, alle estorsioni, alla violenza privata, alla detenzione e porto illegale di armi, allo spaccio di sostanze stupefacenti e, per alcuni dei sodali, anche allo scambio elettorale politico-mafioso.

Dagli elementi raccolti dagli inquirenti, emergono comportamenti associativi connotati dal carattere mafioso, finalizzati all’affermazione egemonica dell’organizzazione nei centri oggetto d’indagine mediante l’esercizio della forza intimidatrice, scaturita dallo spessore criminale di alcuni indagati, con conseguente condizione di assoggettamento di terzi soggetti.

Genesi delle indagini
Le indagini, espletate tramite intercettazioni e servizi di osservazione e pedinamento, sono iniziate nella primavera del 2019 e si sono concluse all’inizio del 2021. L’attività investigativa ha avuto la sua genesi nella necessità di dare riscontro alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Antonio Cianci. L’uomo, dapprima coinvolto nell’operazione di polizia giudiziaria denominata “Contatto”, è stato successivamente condannato in primo e secondo grado per il reato di associazione mafiosa. Nello specifico, per aver fatto parte, con il ruolo di referente a Sogliano Cavour, del clan Coluccia della SCU, attivo nel comune di Noha e nei territori limitrofi.

Durante il processo di primo grado, il Cianci dichiarava la sua volontà di collaborare, svelando, così, informazioni e dettagli sull’assetto e sulla struttura organizzativa del clan Coluccia e sulle attività lecite e illecite da esso controllate, facendo leva sulla fama criminale di cui godeva. Le indagini hanno documentato l’attuale operatività del sodalizio mafioso, “la cui esistenza è giudizialmente accertata con sentenze passate in giudicato”, scrive il GIP Sergio Mario Tosi, nelle 324 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare.

Cenni storici sul clan Coluccia di Noha
La famiglia Coluccia ha rappresentato, sin dagli anni Settanta, un punto di riferimento della criminalità organizzata salentina. Il suo capostipite è stato Pasquale Coluccia ed è composta dai figli Luigi Otello, Luciano, Carmine, Renato, Antonio e Michele.

Il clan Coluccia nasce “come gruppo a forte connotazione familiare attivo in Noha di Galatina ed originariamente dedito all’abigeato, ai furti e alle rapine, con il tempo, analogamente ad altri gruppi criminali salentini, ha superato l’iniziale caratterizzazione locale estendendo la propria operatività sui paesi contermini, venendo in contatto con gruppi criminali attivi su tutto il territorio provinciale e non, nonché aprendo i propri interessi a nuovi settori illeciti”.

Bastano due episodi, verificatisi nel tempo, a dimostrare la capacità economico-finanziaria del gruppo e delle sue intense e redditizie attività criminali.

Nel 1992, infatti, all’interno della masseria della famiglia Coluccia, abilmente occultati, venivano ritrovati circa 3 miliardi di lire in contanti.

Il 10 luglio 2003, invece, gli investigatori rinvenivano nella disponibilità di un affiliato diversi chilogrammi di cocaina, 500 grammi di eroina, 1300 grammi di hashish e armi varie.

Il clan Coluccia veniva riconosciuto come associazione di tipo mafioso e armata, dedita anche al traffico e allo spaccio di sostanze di stupefacenti, nell’ambito del processo scaturito dall’operazione di polizia giudiziaria denominata “Grifone”, con sentenza in abbreviato del 14 marzo 2005, parzialmente modificata dalla sentenza della Corte di Appello di Lecce dell’1 marzo 2007, divenuta irrevocabile il 9 luglio 2008.

Con questo procedimento penale si condannavano, tra gli altri, Luigi Otello Coluccia (anni 15 e mesi 2 di reclusione), Antonio Coluccia (anni 15 di reclusione), Carmine Coluccia (anni 15 di reclusione), Michele Coluccia (anni 16 di reclusione) e Pasquale Gugliersi (anni 10 di reclusione) perché appartenenti al clan.

Recentemente, l’esistenza e l’operatività del clan Coluccia è stata accertata nei processi nati in seguito alle operazioni di polizia giudiziaria denominate rispettivamente “Contatto” e “Offside”. I procedimenti penali in questione, infatti, si sono conclusi con sentenze di condanna per il reato di cui all’art. 416 bis del Codice Penale nei confronti di Luciano Coluccia e Danilo Pasquale Coluccia.

La struttura verticistica dell’associazione mafiosa
Il clan Coluccia, egemone sui territori di Noha, Aradeo, Cutrofiano, Neviano, Corigliano d’Otranto e Lecce, ha una struttura organizzativa di carattere verticistico, connotata da vincoli gerarchici. Michele Coluccia e Antonio Coluccia rappresentano le figure apicali del gruppo. I due, ritornati in libertà, riprendevano il controllo del clan esercitando usura, estorsioni e gestendo attività lecite come la sottoscrizione di contratti assicurativi o di fornitura di energia elettrica.

Queste attività venivano controllate facendo leva sulla condizione di assoggettamento che caratterizzava il contesto territoriale nel quale storicamente avevano imposto la loro capacità intimidatoria.

Il clan allungava così i suoi tentacoli anche sugli apparati amministrativi mediante la stipula di un “pactum sceleris” finalizzato ad uno scambio politico-mafioso tra voti e utilità economica.

Attraverso questi accordi i capi clan realizzavano l’asservimento della funzione pubblica ai desiderata mafiosa con la compiacenza di pubblici amministratori che si rivolgono all’associazione mafiosa per ottenere l’appoggio necessario al perseguimento dei propri interessi”, puntualizza il GIP nell’ordinanza.

Il controllo del clan sulle attività economiche lecite: gli interessi nel settore assicurativo e in quello della fornitura di gas ed energia elettrica sul mercato libero
Uno dei settori economici di interesse del clan era quello energetico. Dal contenuto delle conversazioni intercettate è emerso che Antonio Coluccia e i suoi familiari si occupavano della sottoscrizione di contratti per la fornitura di energia elettrica e di gas per conto di aziende che operano nel libero mercato e di polizze assicurative.

Su questo punto il collaboratore di giustizia Vincenzo Antonio Cianci, nel corso dell’interrogatorio del 21 novembre 2018, aveva dichiarato che la sottoscrizione dei contratti di fornitura di energia, di fatto, avveniva in seguito a un’imposizione implicita ai clienti, conseguenza del condizionamento ambientale derivante dall’intervento di un componente della famiglia Coluccia.

Affermava il Cianci: “Io stesso ho accompagnato Antonio Coluccia a Cutrofiano ed a Sogliano per proporre la stipula di contratti con la sua agenzia. In tali occasioni, la mia presenza e quella di Coluccia Antonio, senza che fosse fatta alcuna minaccia, era di per sé sufficiente a convincere le persone a stipulare i contratti”.

Sempre su questo punto, in un successivo interrogatorio del 12 aprile 2019, il collaboratore di giustizia riferiva che: “Il clan Coluccia opera nei territori di Noha, Galatina, Sogliano Cavour, Castrignano dei Greci, Aradeo, Neviano, Corigliano, Seclì e Cutrofiano. Gestisce tutte le attività illecite, in particolare il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, omicidi e tentati omicidi, attività estorsive mediante l’imposizione agli esercenti delle slot machine, delle bevande ed altro, l’imposizione di contratti riguardanti energia elettrica, gas ed acqua, l’esecuzione di atti intimidatori ed altro”.

Le intercettazioni e le attività di osservazione appuravano che Antonio Coluccia, avvalendosi della sua riconosciuta fama criminale, gestiva di fatto l’attività economica esercitata attraverso l’agenzia intestata alla figlia inizialmente situata a Noha e, dal mese di dicembre 2019, trasferita ad Aradeo. Mediante la suddetta compagnia veniva svolto prevalentemente il commercio di prodotti inerenti al mercato dell’energia elettrica, del gas naturale e del settore assicurativo.

Usura ed estorsioni
Le indagini hanno anche fatto luce sull’attività usuraria ed estorsiva del clan che imponeva tassi usurari, oscillanti dal 20 al 25% e in alcuni casi anche di più, a molte vittime, tra cui diversi imprenditori della zona.

Michele Coluccia si serviva di un suo sodale, Farhangi Alì, per prestare una somma a un imprenditore in difficoltà economiche, pretendendo il pagamento di interessi usurari. Il 12 settembre 2019, presso l’abitazione di Michele Coluccia, si svolgeva un incontro tra questi e l’imprenditore che giungeva accompagnato da Farhangi Alì.

Lo stesso imprenditore aveva chiesto in prestito, nel 2019, 30000 euro, al tasso mensile del 10%, ovvero del 120% annuo, a Sergio Taurino, soggetto dalla notevole caratura criminale, come si evince dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Il Taurino, infatti, alla fine degli anni 90, era inserito nel clan mafioso facente capo a Franco Vincenti che, divenuto collaboratore di giustizia, il 15 novembre 2002 dichiarava: “In merito a Taurino Sergio, sono a conoscenza che si occupava della vendita dello stupefacente nonché del recupero crediti. Ruolo importante lo rivestiva nel riciclaggio del denaro del gruppo in attività legate alle truffe. Allorquando è stato arrestato per l’operazione ‘Santa Rosa’ è divenuto un mio affiliato con il grado di ‘Vangelo’ consacrato da me stesso; sono a conoscenza inoltre che il Taurino traffica in armi che custodisce nelle vicinanze della sua abitazione. In particolare ha la disponibilità di mitra, pistole ed anche bombe a mano del tipo ‘ananas’. Ciò mi è stato riferito dallo stesso Taurino che forniva tali tipi di bombe a gruppi criminali per attività estorsive. Alcune di queste pistole e bombe a mano nella sua disponibilità sono quelle rinvenute davanti alla sua abitazione in occasione dell’arresto per l’operazione ‘Santa Rosa’. Sempre in merito, posso riferire che durante la nostra detenzione a Lecce, Taurino Sergio, dopo aver effettuato un colloquio con i propri familiari, mi confidò che era stata eseguita presso la sua abitazione l’ennesima perquisizione da parte dei Carabinieri, i quali non avevano rinvenuto un mitra ed una pistola che lo stesso custodiva sotto un mobile della cucina in un doppio fondo”.

Dalle indagini emerge che il Taurino, per recuperare il suo credito, rivolgesse minacce esplicite all’imprenditore che chiedeva la protezione del Farhangi ma, in seguito alle forti pressioni esercitate da Sergio Taurino, l’imprenditore era costretto a corrispondergli interessi usurari del 120% annuo su una somma di 30000 euro e la sua auto di grossa cilindrata.

L’interesse del clan per il settore delle scuole guida
L’attività investigativa ha inoltre evidenziato l’interesse del sodalizio mafioso per il settore delle scuole guida. 

In data 29 marzo 2019, il titolare di una scuola guida riferiva ai carabinieri alcune anomalie amministrative da lui rilevate nell’apertura di una scuola guida concorrente, situata proprio di fronte alla sua.

L’uomo, ritenendo questo un atto di concorrenza sleale, aveva affrontato il titolare della scuola guida concorrente, il quale gli avrebbe risposto che: “dietro l’apertura dell’autoscuola vi era gente ‘pesante e pericolosa’” alla quale doveva sottostare e sarebbe stato meglio per lui non osteggiare tale iniziativa.

La conferma del coinvolgimento del clan Coluccia nell’apertura e nella gestione della scuola guida in questione, avveniva alcuni giorni dopo quando Luigi Di Gesù, sodale del gruppo mafioso minacciava il titolare della scuola guida concorrente rivolgendogli queste frasi: “Tu devi lasciare stare…, non te ne fottere niente, quella è cosa nostra, fatti da parte altrimenti sono guai per te… lo sai che il mio amico… ha per te quanti proiettili vuole… so pure che tieni due conti in banca”.

Queste parole, dall’evidente contenuto minatorio, avevano indubbiamente lo scopo di costringere la vittima a desistere dal denunciare o comunque dal contestare la regolarità della presenza dell’autoscuola garantendo pertanto che l’altra attività venisse svolta senza incontrare problemi. Vittima che “riferiva di non voler sporgere denuncia per timore di eventuali rappresaglie nei confronti della sua famiglia tanto a conferma dell’intimidazione mafiosa che aveva ricevuto”.

Un patto criminale che portava all’assunzione del figlio di Michele Coluccia presso la scuola guida che avrebbe così consolidato la sua posizione economica sul mercato a discapito di un’agenzia concorrente. In cambio di tale “sponsorizzazione”, parte dei proventi sarebbero confluiti nelle casse dell’organizzazione criminale.

Le infiltrazioni mafiose nel Comune di Neviano e l’interessamento del clan alle elezioni amministrative. Il voto di scambio politico-mafioso
La pericolosità dell’associazione mafiosa contro cui si procede si manifesta in modo particolarmente pernicioso nella capacità di penetrare l’apparato politico-amministrativo, stringendo patti con pubblici amministratori ovvero collocando all’interno di esso propri uomini, condizionandone dall’interno l’operato nel proprio interesse.

La vicenda che riguarda Antonio Megha e il patto da questi stretto con il clan Coluccia è la prova della insidiosità dell’azione del clan e, a un tempo, della compenetrazione nel tessuto economico-sociale per cui è il politico che si rivolge direttamente al mafioso riconoscendone la capacità di attrarre consenso sociale per assicurarsi il risultato elettorale”, scrive il GIP nell’ordinanza.

Le intercettazioni consentivano di accertare l’esistenza di un rapporto tra Nicola Giangreco e Antonio Megha, Assessore della Cultura, Istruzione e Scuola, Contenzioso Legale e Neviano nel Mondo. In particolare, le conversazioni captate riguardavano la campagna elettorale per le elezioni amministrative del settembre 2020.

Sin dai primi riscontri investigativi, “risultava evidente la ricerca da parte del Megha dell’appoggio elettorale di Michele Coluccia mediato dall’intervento di Nicola Giangreco”.

Le successive intercettazioni “chiarivano in modo inequivoco che tra Megha e il capo clan Michele Coluccia era stato concluso un vero e proprio patto avente ad oggetto lo scambio tra voti e utilità economiche nella cui conclusione aveva avuto un ruolo decisivo lo stesso Giangreco”.

Dalle conversazioni emerge in modo evidente che Megha si rivolgeva a Giangreco perché temeva di non raggiungere un numero di voti sufficienti per vincere e Giangreco gli proponeva di rivolgersi a “Michelino” di Noha, diminutivo con cui notoriamente veniva indicato Michele Coluccia che gli avrebbe garantito 50 voti.

In cambio “Megha metteva da subito a disposizione la sua funzione pubblica assicurando ai Coluccia la piena disponibilità ad adoperarsi per soddisfare i desiderata dell’associazione mafiosa e, dopo avere conseguito la vittoria elettorale, gli garantiva il controllo incondizionato sul territorio di Neviano. Megha precisava che in cambio dei cinquanta voti si era impegnato a corrispondere la somma di 3000 euro nonché a rappresentare i loro interessi nel territorio calabrese. ‘Quello che devo fare lo faccio’”, affermava rendendosi disponibile a raggiungere anche Reggio Calabria per curare gli interessi del clan.

Le intercettazioni dimostrano che il Megha abbia effettivamente corrisposto a Coluccia il denaro concordato.

Le affermazioni: “Vedi cosa vuole e poi andiamo insieme che glieli porto”, si riferiscono alla promessa, poi mantenuta, da parte di Michele Coluccia di procurare i voti che hanno contribuito a garantire al Megha la vittoria in cambio di denaro.

In una conversazione captata il 5 ottobre 2020 nello studio di Megha, questi chiedeva a Giangreco di intercedere nei confronti di Coluccia per spiegargli che, avendo speso molti soldi per la campagna elettorale avrebbe sicuramente rispettato il suo impegno pagando i tremila euro concordati, ma che li avrebbe consegnati in più tranche cogliendo l’occasione per incontrarlo.

In sintesi, Megha era soddisfatto del rapporto instaurato con il clan Coluccia e, per riconoscenza, si metteva a disposizione al fine di ottenere illeciti profitti sfruttando il ruolo di assessore e quindi risultando una vera e propria insidia per l’apparato istituzionale comunale”, conclude il GIP nell’ordinanza.

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