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polizia arrestoPressioni anche sul Foggia Calcio
di AMDuemila
Sono trenta le persone, tutte già note alle forze di polizia, che ieri mattina sono state raggiunte da misure restrittive eseguite da parte di Polizia e Carabinieri in una importante operazione antimafia a Foggia, coordinati della Dda di Bari. Ad essere colpiti nell'operazione denominata "Decima azione", sono tutti presunti componenti dei clan mafiosi Moretti-Pellegrino-Lanza e Sinesi-Francavilla e una decina, invece, i pregiudicati che si trovano già in carcere. I reati contestati sono, a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, estorsioni e tentato omicidio. Le indagini hanno riguardato il periodo compreso tra i primi mesi del 2017 fino ad oggi. Secondo gli investigatori i trenta indagati sarebbero i responsabili di tutti gli episodi di estorsione nei confronti di negozianti ed imprenditori a Foggia. Così è emerso che soldi, beni e assunzioni venivano imposti, in modo "parassitario e tentacolare", ad agenzie di pompe funebri (50 euro a funerale, grazie anche alle segnalazioni dei decessi da parte di dipendenti comunali), ai fantini delle corse dei cavalli per truccare le scommesse, a grandi gruppi imprenditoriali come il "Don Uva" delle residenze sanitarie per anziani e disabili.
La Società, la criminalità organizzata foggiana, era assolutamente in ascesa, trasformandosi, come scrive il gip Francesco Agnino, "in un soggetto camaleontico, capace di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale di Foggia, avvalendosi di imprenditori, professionisti e appartenenti alle istituzioni collusi". Per non avere intralci nelle loro attività illecite, gli esponenti della "Società" avrebbero anche progettato di uccidere un poliziotto, un "bastardo" da "sparare in testa". E poi ci sono le minacce alle vittime di estorsione: "prepara 50 mila euro e altri 4 mila al mese sennò ti devo uccidere", solo per citare una delle centinaia di migliaia di intercettazioni.

I bambini testimoni degli agguati
Le indagini hanno anche accertato la grande ferocia del gruppo criminale. La presenza di bambini non scoraggiava gli agguati dei "killer" della mafia foggiana. Lidia Giorgio, pm della Dda barese, ha evidenziato proprio questo aspetto. Sono almeno nove gli agguati ricostruiti dagli inquirenti tra il 2015 e il 2016 e in quattro occasioni è stata accertata la presenza di minori. In un agguato, quello del 6 settembre 2016 ai danni del boss Roberto Sinesi, il nipote rimase anche ferito ad una spalla, mentre era in auto con il nonno. La Procura, mettendo insieme gli atti giudiziari di 11 diversi procedimenti, ha accertato che i bambini spesso erano testimoni oculari degli agguati. Quanto accaduto con la sparatoria ai danni di Mimmo Falco, il 21 novembre 2015, avvenuta nel pieno centro della città di pomeriggio. Dalle intercettazioni emerge che il sicario è stato poi rimproverato dai sodali i quali gli hanno detto "tu non sei buono a sparare" e lui si è difeso dicendo che c'era un bambino "balengo". C'è poi una sparatoria del 7 gennaio 2016 in cui viene gambizzato il pregiudicato Michele Bruno, anche in questo caso alla presenza di un bambino. Ancora l'assassinio di Rocco Dedda, il 23 gennaio 2016, colpito a morte sull'uscio della propria abitazione con accanto il figlio minorenne. Quindi l’episodio del settembre successivo in cui viene ferito il nipote del boss.

Calcio e mafia
La capacità di infiltrarsi con la violenza e le armi in tutti i settori dell'economia foggiana è arrivata al punto di imporre l'ingaggio di giocatori al Foggia Calcio, quando militava in Lega Pro. Le indagini della Dda di Bari hanno rivelato che tra il 2015
e il 2016 i clan foggiani avrebbero imposto l'ingaggio di due giocatori: Antonio Bruno, figlio del defunto boss Rodolfo, e Luca Pompilio (cognato dell’affiliato Ciro Spinelli), che il gip definisce "in realtà privo di doti sportive degne di nota", che da subito fu dato in prestito al Melfi (Potenza) dove gioca tuttora. "Gli ho detto: vedi che vengo giù agli spogliatoi e prendi un sacco di botte, ti do forte" diceva il pregiudicato Francesco Pesante, tra i destinatari della misura cautelare, al figlio dell'ex presidente della società calcistica, Antonio Sannella (suo padre Fedele è stato arrestato nei mesi scorsi per riciclaggio).
Gli indagati potevano "contare - aggiunge il giudice - anche dell'appoggio della tifoseria foggiana e, più in generale, degli sportivi". In particolare si evidenzia come non siano state denunciate le pressioni subite né dal presidente Sannella, né dal direttore sportivo Giuseppe Di Bari o dall’allenatore Roberto De Zerbi. "Lungi dal denunciare - si legge nell’ordinanza - hanno preferito in maniera pavida accettare le richieste formulate, abiurando i valori di lealtà e correttezza sportiva che dovrebbe ispirare la loro condotta".

La questione omertà
Il Gip ha anche evidenziato come "l'attività d'indagine ha evidenziato lo stato di omertà assoluta" che "si rileva anche dal dato numerico delle denunce, che dimostra chiaramente un limitatissimo apporto all'accertamento di reati commessi in danno di cittadini, imprenditori, operatori commerciali, rispetto alla elevatissima percentuale di ipotesi che vengono colte durante le attività tecniche e investigative in corso". "Che questi fatti-reato non siano denunciati - è scritto nel documento - è un'ulteriore conferma della totale soggezione di larghe fasce della popolazione, indotte a subire silenziosamente i torti e le angherie poste in essere da coloro che agiscono evocando l'appartenenza a questo determinato contesto criminale: la 'Società foggiana'". Solo due degli imprenditori vittime delle estorsioni, infatti, hanno parlato con gli inquirenti. Il gesto viene letto dal procuratore di Bari, Giuseppe Volpe come un "segnale positivo di rottura del muro di omertà che ci consente di guardare al futuro con maggiore ottimismo". Tuttavia è evidente che la strada da compiere è ancora molta.
"Se denunciano tutti, nessuno corre alcun rischio, se denunciassero tutti con un solo provvedimento di fermo potrebbero essere arrestati tutti i mafiosi. Questo ci auguriamo" ha detto il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho. "Pochi imprenditori coraggiosi hanno denunciato - ha aggiunto De Raho - ma tanti invece pagano le estorsioni che qui vengono esercitate a tappeto come una forma di coazione e di controllo del territorio. Oggi abbiamo fatto un passo in avanti e c'è stato ripetutamente l'invito alla società di denunciare". L'appello del procuratore nazionale è stato infatti condiviso dal procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro. "Noi ci siamo - ha detto - ma adesso tocca alla società civile", invitando imprenditori e cittadini ad "alzare la testa, ad evitare di subire le estorsioni e l'assoggettamento che viene dalla criminalità mafiosa. Lo Stato c'è". Anche il procuratore aggiunto di Bari, Francesco Giannella, coordinatore della Dda, ha invitato a "ribaltare certe convinzioni dell'opinione pubblica e cominciare a ragionare in termini di ribellione della società civile e di rivoluzione culturale che non è ancora veramente in atto. Le potenzialità economiche di quel territorio, turistiche e agricole, sono enormi ma vengono soffocate dalla pressione della criminalità organizzata. Non c'è crescita economica, sociale e civile se non c'è libertà dal condizionamento mafioso".
De Raho ha anche evidenziato come "oggi le mafie non lavorano più da sole ma con le altre mafie", soprattutto nel settore del traffico di droga, nel quale "fanno acquisti pro-quota e co-gestiscono gli affari". In particolare la mafia foggiana, ha precisato il Procuratore nazionale antimafia, "replica il modello 'Ndranghetista", basato sul "legame strettissimo per il vincolo di sangue, affiliazioni, gerarchie e cassa comune. La 'Società foggiana' utilizza come strumento di persuasione metodi violenti con armi, e in questo si distingue dalle altre mafie che hanno abbracciato la strategia della sommersione mentre a Foggia e a Bari si è ripreso a sparare". "La guerra che esiste all'interno della stessa ‘Società foggiana' - ha continuato - è finalizzata ad individuare una regola per la divisione dei profitti e la gestione degli affari", ma "vi è una sorta di organismo centrale di disciplina all'interno del quale compaiono e rientrano esponenti delle diverse famiglie interessate".

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