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oltre le mura 2 framedi Antonio Nicola Pezzuto
Il 1° maggio 1983 Pino Rogoli fondava la Sacra Corona Unita, come risulta da un’agenda trovata in suo possesso nel carcere di Bari in cui era detenuto. A distanza di 25 anni, due detenuti che per questioni anagrafiche potrebbero essere suoi nipoti, tentavano, dal carcere di Terni dove sono reclusi, di ricompattare un agguerrito gruppo criminale operante sul territorio brindisino. Al centro delle indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce ed eseguite dalla Squadra Mobile di Brindisi, ci sono Raffaele Martena e Antonio Campana, noti esponenti della SCU, il primo condannato per associazione di stampo mafioso a 14 anni di reclusione, “il secondo (fratello minore di Francesco Campana, personaggio in posizione apicale nel clan di Tuturano nato sotto l’egida dei leader storici Rogoli e Buccarella) condannato per l’omicidio di Massimo Delle Grottaglie, avvenuto nel 2001”.
L’attività investigativa, che ha portato all’arresto di 12 persone per associazione di tipo mafioso, è stata denominata “Oltre le mura” e nasce da intercettazioni disposte all’interno della casa circondariale di Terni.
Raffaele Martena, in particolare, risulta l’autore di alcune “sfoglie” sequestrate a Giuseppe Perrone e a Enzo Sicilia, in cui si fa riferimento alla forza del nuovo gruppo (“i vecchi non devono esistere più, ora siamo noi”), al vincolo di solidarietà (“voglio che vi amate più di prima, di essere più uniti di prima”), al ricorso alla violenza per il controllo del territorio (“se ci sarà da ammazzare si ammazzerà senza problemi…ho ammazzato di botte Mino Cafueri e questi sono i boss che piangevano…a casa nostra stiamo noi e nessuno più deve mettere piede…”), all’orgoglio di poter orchestrare le operazioni dal carcere (“grazie a te mi fai fare il boss dal carcere e Cristian solleverà il mio nome alle stelle…”).
Orbene, a partire da luglio 2017 le intercettazioni in carcere hanno evidenziato una vera e propria ‘chiamata a raccolta’ da parte del duo Campana-Martena volta a ricostituire un gruppo e dare direttive ai sodali in libertà residenti in provincia di Brindisi”, scrive il GIP Carlo Cazzella nell’ordinanza di custodia cautelare.
Antonio Campana, infatti, impartiva ordini al suo fidato zio Igino per serrare le file fra i vari adepti, incaricandolo di convocare un “ragazzo di Brindisi ai domiciliari di nome Jury”. Il ragazzo in questione è Jury Rosafio che forniva subito informazioni su alcune rappresaglie poste in essere in maniera piuttosto anarchica dai fratelli Polito.
Martena replicava con tono categorico che era necessario ricondurli sotto il suo controllo, verificare alcune cose a San Pietro Vernotico e prendere di mira un uomo che gestisce negozi a Lecce, Brindisi e Mesagne.
A questa conversazione partecipava anche Antonio Campana sottolineando l’esigenza di tenere sotto controllo i proventi delle attività illecite (“devono incominciare a capire che le dobbiamo prendere noi le cose…a fine mese quello che arriva ce lo dividiamo…”) e di mettere le mani sulla gestione dei parcheggi. Anche il Campana sosteneva che era necessario “chiamare a rapporto” i fratelli Polito facendosi comunicare da Rosafio il loro numero di telefono, visto che nel carcere era stato introdotto fraudolentemente un cellulare.
Martena consigliava a Rosafio di non recarsi di persona dai Polito, ma di rivolgersi a “Nocciolina” e “Ghemon”, soprannomi riferibili a Enzo Sicilia e Fabio Arigliano, rassicurandolo che dopo aver parlato con i Polito avrebbe imposto a loro il pagamento del “punto”.
Andrea Polito e Vincenzo Polito si mettevano in contatto con i due detenuti mostrando massima riverenza (“solamente tu sei la vita mia...compare, non te lo scordare…”), ascoltando gli ordini (“…se esce un cantiere, voi dovete andare e ve lo dovete prendere…io voglio che andate in tutti i posti…adesso parlo con Ghemon e gli altri, gli facciamo fare gli economisti…vedo se li faccio incanalare e così ti fanno il “punto”) e ribadendo la loro fedeltà (“sei un grande compare…ogni cosa che dici è legge…se adesso vuoi mi butto giù dal quinto piano…tutto quello che vuoi compare, pure la vita mia…”).
Antonio Campana faceva riferimento alle estorsioni nelle attività d’impresa: “a Brindisi si prendevano i soldi sui pescherecci…e sulla zona industriale…io tempo fa prendevo i soldi…ce li dobbiamo prendere noi…”.
Il 13 luglio 2017 veniva captata nel carcere di Terni una conversazione fra Campana, Martena, Jury Rosafio e Fabio Arigliano detto Ghemon, il quale si lamentava dell’aumento dei prezzi (probabilmente nell’acquisto della droga) e veniva subito sollecitato da Martena a trattare per ottenere uno sconto e a porgere i saluti a un uomo chiamato con il soprannome “Orso” (“salutamelo forte forte…digli che gli voglio bene, non deve pensare a quelli, deve pensare a me…”).
In un altro dialogo con Rosafio, il Martena imponeva le percentuali sui ricavi (adesso glielo dico, diglielo a lui…deve mettere un punto a me, un punto a te, un punto ai ragazzi e due me li mandi a me…”). Il Rosafio raccontava al Martena alcuni fatti, in particolare gli confidava di aver avuto screzi con il “nano” e con un soggetto che gli aveva fatto un “grosso bidone”.
Ottenute queste informazioni, Martena ordinava ad Andrea Polito, dopo averlo rassicurato che avrebbe avuto il “punto” da Ghemon) di minacciare il “nano” per gli attriti avuti con Rosafio e far capire a Tuturano chi aveva ormai le redini del comando (“al paese nostro lo sanno che stai tu?...devi far capire che là ci sei solamente tu…il primo che dice ‘a’ lo prendi e lo mandi all’ospedale…”). La conversazione proseguiva con Vincenzo Polito, al quale Martena ribadiva l’ordine di non agire scriteriatamente (“adesso statevi “ngarbati”…).
Al Rosafio, Martena intimava di controllare i fratelli Polito (“mi raccomando, tienili belli…loro devono fare solo quello che dici tu…mi raccomando, tieni frenati questi ragazzi…e al nano fateglielo capire…”) e di riservare ad Arigliano solo gli aspetti contabili (“Ghemon teniamolo solamente per i fatti economici…”).
Alle 23 del 13 luglio Antonio Campana veniva contattato da suo zio Igino che gli riferiva la disponibilità di Ronzino De Nitto a versare 200-250 euro. Il De Nitto si metteva subito in contatto con Campana garantendogli fedeltà: “non ti devi preoccupare, lo sai che io finché posso ti aiuto…quel poco…digli all’amico tuo che faccio aiutare pure lui…ogni mese non mi sono scordato di te…questa settimana ti aiuto di nuovo, non ti preoccupare…devi dormire tranquillo che il piatto ce l’hai a tavola…”. Campana, a sua volta, lo informava di aver dato ordini per estorcere denaro ai pescherecci e alle attività situate nella zona industriale.
Quanto scritto finora, documenta “la costituzione di un nuovo gruppo di matrice mafiosa per volontà di soggetti carismatici reclusi in carcere, tramite una vera e propria chiamata a raccolta, con l’ausilio di Igino Campana, di alcuni uomini disposti a rispettare le gerarchie e gli ordini e pronti sia a rastrellare il mercato con le estorsioni, sia ad imporre la forza d’intimidazione proveniente dalla stabilità del vincolo e tener sotto controllo il territorio di competenza, in particolare con riferimento ai rapporti con gli altri sodalizi criminali”.
Alla chiamata di Martena e Campana rispondeva subito Jury Rosafio, quindi i facinorosi fratelli Polito, poi Fabio Arigliano, Ronzino De Nitto, Mario Epifani, Enzo Sicilia, Nicola Magli, lo zio Igino e Andrea Martena, cugino di Raffaele, tutti pronti a darsi da fare sul territorio seguendo le disposizioni impartite dai capi.
Dalle indagini emergono i rapporti tra il gruppo facente capo a Martena e Campana e alcuni esponenti della SCU leccese. Infatti, il 10 ottobre 2017, avveniva a Lecce un incontro tra il Rosafio, nell’occasione accompagnato da Mario Epifani, e i noti pregiudicati salentini Antonio Pepe detto “Totti” e Stefano Monaco, a conferma di quello che era scritto sulla sfoglia sequestrata a Enzo Sicilia (“ho fatto tutto una cosa con Cristian Pepe ed Ivan Cavallo”), vale a dire l’ordine di collaborare in affari con il clan Pepe.
Il 6 novembre, Andrea Martena si recava a Lecce dove incontrava Stefano Monaco nei pressi dell’Obelisco, successivamente telefonava a Rosafio per ragguagliarlo sull’esito dell’incontro. Quest’ultimo affermava che era necessario parlare con Antonio Pepe, zio di Stefano Monaco, trattandosi di questione di rilievo (“là è importante la cosa, compà…”).
L’8 novembre venivano sequestrate presso l’abitazione di Enzo Sicilia due sfoglie inviate da Raffaele Martena datate rispettivamente 16 e 25 ottobre 2017, dalla cui lettura emerge la volontà di portare avanti il discorso associativo, il richiamo a “non usare telefoni e non parlare nelle macchine…” per non essere intercettati, e l’ordine di aiutare “le persone che sono in carcere”.
Gli inquirenti hanno anche scoperto il progetto di evasione studiato da Antonio Campana e le minacce nei confronti di un Pubblico Ministero dell’Antimafia che in passato l’aveva indagato e fatto condannare all’ergastolo.
La serietà e pericolosità del sodalizio viene confermata dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, in particolare da Sandro Campana, fratello di Antonio, che ha riferito dell’assiduo impegno in carcere di Raffaele Martena, già affiliato a Vincenzo De Giorgi, nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti, come si evince dalla sfoglia sequestrata a Giuseppe Perrone.
Il sodalizio capeggiato dal duo Martena-Campana, quindi, “assume le tipiche forme che storicamente hanno connotato la Sacra Corona Unita, in particolare attraverso il pieno controllo del territorio e la forza d’intimidazione promanante dal vincolo associativo. Ne sono prova, ad esempio, il controllo delle principali attività criminali nelle zone di competenza, la riscossione di una percentuale sui profitti, le gerarchie nei ruoli, le azioni di recupero dei crediti dominate dal timore quanto meno reverenziale verso i personaggi di vertice (in guisa da impedire iniziative autonome e personali), le ‘spedizioni punitive’ e gli attentati nei confronti dei soggetti poco avvezzi al rispetto degli ordini e della disciplina, la pretesa di devolvere parte dei proventi al mantenimento degli associati detenuti e delle loro famiglie e al pagamento delle spese legali”, conclude il GIP Carlo Cazzella nell’ordinanza di custodia cautelare.

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