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pistola sparo effL'analisi della Direzione Nazionale Antimafia
di Antonio Nicola Pezzuto
La presenza delle organizzazioni mafiose nel Salento è dimostrata da episodi di danneggiamento e da intimidazioni nei confronti della collettività.
I gruppi mafiosi cercano di assicurarsi la continuità attraverso il reclutamento di nuovi affiliati e sono alla ricerca di guadagni illeciti da destinare anche all’assistenza degli affiliati in carcere e delle loro famiglie.

Gli affari dei gruppi mafiosi
Le indagini hanno appurato la persistenza di una diffusa attività estorsiva sul territorio. Nel distretto di Lecce, riguardo a questo tipo di attività, vengono segnalate le peculiarità riguardanti il territorio jonico e la provincia di Brindisi.
Nel contesto tarantino il pizzo viene imposto in maniera mirata ai commercianti più solvibili. Molte estorsioni sono commesse con la richiesta di “regali” per aiutare i boss ancora detenuti. Durante le intercettazioni telefoniche, tali richieste di denaro vengono definite “estorsioni vecchio stampo” dagli stessi sodali.
In provincia di Brindisi, invece, l’attività estorsiva, da anni, viene esercitata con le “classiche” modalità mafiose, evitando quasi sempre di ricorrere ad atti intimidatori eclatanti o minacce esplicite, ma avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo. In alcuni casi, basta un atto di violenza “simbolico” come può essere il danneggiamento della serratura della porta d’ingresso dell’azienda o l’esplosione di un singolo colpo di arma da fuoco. Il destinatario di queste “attenzioni” capisce perfettamente che deve rivolgersi subito all’esponente dell’associazione mafiosa responsabile della zona per versare il proprio contributo. In altri casi, soprattutto nei confronti delle realtà imprenditoriali più importanti, in genere quelle del settore edile, le estorsioni avvengono mediante la stipulazione di contratti di “guardiania” ai cantieri. Così vengono assunti sodali del clan, il cui salario costituisce il prezzo dell’estorsione mentre l’imprenditore si garantisce l’immunità da danneggiamenti o furti documentando il versamento del denaro come una “normale” retribuzione a un dipendente. In altri casi ancora, l’estorsione consiste nel costringere la vittima ad accettare, in cambio di merce estorta, titoli di credito che non andranno a buon fine.
La “politica criminale” dei clan consiste nel rivolgersi agli imprenditori, soprattutto quelli commerciali, e di estorcere a molti piccole somme, invece di richiedere a pochi importi più elevati, come accade a Taranto. Questa strategia produce buoni risultati perché le vittime preferiscono pagare considerando il pagamento del “pizzo” come un costo di impresa facilmente sopportabile. Spesso accade che è lo stesso operatore commerciale a invocare preventivamente protezione, tranquillità e sicurezza per la propria attività, a fronte di un periodico tributo. Questo comportamento rende più difficile il lavoro degli inquirenti perché risulta complicato configurare giuridicamente il delitto di estorsione visto che l’iniziativa è della vittima.
Nel distretto di Lecce, come negli altri della Puglia, la fonte primaria di guadagno per i clan è rappresentata dal traffico delle sostanze stupefacenti.
Considerato l’elevato numero di persone coinvolte (si pensi ai tanti spacciatori al minuto, molto spesso a loro volta tossicodipendenti) l’organizzazione si preoccupa solo di controllare direttamente le forniture di grossi quantitativi di stupefacente. La distribuzione al minuto è ormai talmente diffusa da sfuggire ad ogni sorta di controllo o di imposizione, per cui l’attività di spaccio è spesso svolta da soggetti che non fanno parte dell’associazione criminale che, eventualmente, interviene solo per garantire il puntuale e corretto pagamento dei debiti.
Nel distretto di Lecce, la sostanza più commercializzata è la cocaina, il cui consumo è in continuo aumento e consente il massimo profitto con un mercato di consumatori in forte espansione.
In linea di massima, sono due i canali di rifornimento dei clan mafiosi: uno porta alle ‘ndrine calabresi, facendo leva anche sui buoni rapporti tradizionalmente esistenti tra ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita; l’altro, invece, è collegato con il Nord-Europa, soprattutto con l’Olanda.
Sempre caldo il Canale d’Otranto per i collegamenti con l’Albania da cui arrivano marijuana e hashish. Lo testimoniano i vari sequestri di marijuana trovata a bordo di gommoni “spiaggiati” e abbandonati sulle coste salentine.
Invece, cocaina ed eroina, se provenienti dall’Albania, vengono trasportate solitamente a bordo di autoveicoli, imbarcati su traghetti di linea che approdano nel porto di Brindisi ed anche in quelli più a Nord. In alcuni casi, le stesse modalità sono state utilizzate per l’importazione della marijuana.
Da sottolineare il tentativo dei fratelli Pellegrino, alias Zu Peppu, a capo dell’omonimo clan storico di Squinzano, di aprire un canale diretto di rifornimento della cocaina rivolgendosi direttamente ai trafficanti sudamericani. L’intervento della Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Lecce e da un magistrato della Procura di Brindisi, ha impedito la realizzazione di questo progetto criminale. Sono stati sequestrati, in diversi porti nazionali, ingenti carichi di cocaina trasportati da grosse navi mercantili (Operazione “White Butcher”).
Nell’analisi del fenomeno delinquenziale pugliese va rilevata la costanza dei rapporti tra le cosche calabresi e i gruppi locali attraverso la compravendita di sostanze stupefacenti ed armi.
Per quanto riguarda il contrabbando di sigarette, sembra ormai chiusa la vecchia rotta attraverso la quale, dalle coste adriatiche dei Paesi dell’Est, il tabacco arrivava sulle coste salentine.
È nel distretto di Bari che viene invece registrata una ripresa del contrabbando intraispettivo di tabacchi lavorati esteri provenienti dalla Grecia, motivo per cui è stata inoltrata rogatoria all’Autorità Giudiziaria ellenica.
Nel distretto di Lecce si registra, anche a causa della crisi economica, un incremento dell’usura mafiosa, ossia quella praticata facendo leva sulla forza di intimidazione dell’associazione, cui si affianca l’attività di recupero crediti dai debitori riottosi, utilizzando la stessa capacità intimidatoria di tipo mafioso. Le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà in cui versa la società civile sono dimostrate dai dati statistici sostanzialmente inattendibili. Basta pensare che, nell’intero anno giudiziario e nell’intero distretto delle tre province di Lecce, Brindisi e Taranto, vi è un solo procedimento iscritto per usura mafiosa nel registro della DDA di Lecce. Siamo al minimo storico, ancor più basso dei già irrisori 3 e 4 dei due precedenti periodi.
Per quanto riguarda gli interventi di recupero crediti, bisogna sottolineare che il creditore reputa sempre più inefficace la via giudiziaria per ottenere il pagamento dei crediti insoluti. Questo fatto gravissimo incentiva il ricorso alle organizzazioni mafiose, la cui capacità intimidatoria è molto efficace.
Per riscuotere i crediti la Sacra Corona Unita chiede una commissione il cui ammontare è pari alla metà della somma riscossa.
A tal proposito, sono interessanti ed esaustive le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia: “Sono molte le persone che, dovendo esigere dei crediti e non riuscendo ad incassarli per le vie legali, si rivolgono alla nostra associazione per chiederci di “intervenire” sui debitori al fine di ottenere quanto loro dovuto. Ovviamente chi si rivolge a noi è perfettamente consapevole del nostro ruolo e noi in cambio, come associazione, esigiamo la metà della somma che viene riscossa… Noi interveniamo avvicinando dapprima il debitore per renderci conto della situazione e fargli sapere del nostro interessamento e quindi, se necessario, compiendo degli atti intimidatori, che possono consistere nell’incendio di un’autovettura o nell’esplosione di colpi di arma da fuoco contro la sua abitazione”.

L’infiltrazione economica e politico-amministrativa
Le organizzazioni mafiose attive nel Salento, salvo il verificarsi di gravi evenienze che impongano diverse programmazioni criminali o strategie, hanno scelto un basso profilo. Una politica di pax mafiosa tendente a forme di alleanza e collaborazione, escogitata al fine di dedicarsi con maggiore serenità alle attività, criminali e non, da cui trarre profitto. Questa strategia mira al raggiungimento del salto di qualità da concretizzarsi con l’infiltrazione nell’economia e l’acquisizione e consolidamento dei rapporti con le realtà politico-amministrative.
Nell’ambito del distretto di Lecce, le organizzazioni mafiose attive nella città di Taranto continuano a controllare il mercato ittico, alterando le regole di mercato e della libera concorrenza, arrecando gravi danni allo sviluppo di una delle principali risorse dell’economia tarantina, quella della pesca e della vendita del pescato.
In questo distretto, gli ambienti mafiosi sono fortemente interessati al settore dei giochi e dei videogiochi, collegati alla rete telematica gestita dai concessionari autorizzati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. La criminalità organizzata trae grossi profitti sia dall’alterazione delle schede elettroniche (con la modifica delle caratteristiche tecniche e delle modalità di funzionamento) causando un danno ai giocatori, sia dall’interruzione del collegamento telematico con l’Agenzia dei Monopoli causando danno all’Erario, sia dalla distribuzione ed installazione nei bar e nei locali pubblici dei “propri” apparecchi. Si vengono a creare così, attraverso l’utilizzo di metodi mafiosi, delle vere e proprie situazioni di monopolio nei confronti dei titolari di pubblici esercizi. In alcuni casi i clan più forti riescono a imporre i propri apparecchi a scapito dei sodalizi più deboli innescando così conflitti all’interno dell’associazione criminale.
La Procura di Lecce ha individuato un gruppo di imprenditori interessato a questo settore nelle zone del Salento meridionale nell’ambito del procedimento denominato “Clean Game” del febbraio 2015. Gli indagati sono stati accusati di appartenere ad un’associazione di tipo mafioso, promossa, diretta e organizzata dai De Lorenzis, gravitante nell’orbita della Sacra Corona Unita e collegata ad alcuni esponenti e clan “storici” di quest’ultima, come i clan Troisi di Casarano e Padovano di Gallipoli.
Questo sodalizio usava la sua forza di intimidazione per acquisire e mantenere la gestione e il controllo delle attività economiche allo scopo di ottenere profitti e vantaggi ingiusti. Imponeva ai titolari di esercizi commerciali l’installazione di apparecchi da gioco illeciti prodotti da imprese riconducibili ai De Lorenzis ed alla stessa associazione, pretendendo il versamento di una percentuale sui proventi illeciti.
Una situazione di monopolio in cui le altre imprese venivano estromesse.
Il Tribunale del Riesame, però, ha respinto l’accusa di mafiosità mossa all’associazione dalla Procura e quindi sono state annullate le misure applicate con riferimento all’art. 416 bis.   
Le organizzazioni criminali operanti nel distretto di Lecce dimostrano grande attenzione ai rapporti con le amministrazioni pubbliche e con i rappresentanti del mondo politico al fine di accreditarsi quali interlocutori degli amministratori, accrescere il proprio prestigio e consenso sociale per infiltrarsi nelle attività imprenditoriali legate a quelle della Pubblica Amministrazione.
Nel procedimento denominato “Baia Verde”, riguardante il territorio di Gallipoli, sono emersi collegamenti tra esponenti dell’Amministrazione Comunale e della criminalità organizzata mafiosa. Nello specifico, veniva intercettata una conversazione tra un membro del clan mafioso dei Padovano ed un commercialista vicino allo stesso clan. Il primo, parlando degli amministratori comunali, esprime all’altro la convinzione che questi ultimi, essendo stati eletti grazie all’interessamento del clan, avrebbero dovuto assecondare la volontà degli esponenti dell’organizzazione mafiosa.
A Squinzano, dalle indagini, è emerso che il sodalizio mafioso capeggiato dai fratelli Pellegrino era alla continua ricerca di un consenso sociale. A tal fine aveva “assunto il ruolo di erogatore di servizi in favore della popolazione, anche di servizi propri dell’Amministrazione Comunale, avvalendosi a tal fine sia dell’inerzia di quest’ultima, sia della presenza in Consiglio Comunale quale presidente di Fernanda Metrangolo (già direttrice dell’Agenzia delle Dogane di Brindisi), persona vicina all’ambiente della criminalità mafiosa, sia della possibilità da parte del gruppo mafioso di Zu Peppu (Pellegrino Francesco), anche attraverso di lei, di incidere sulle scelte della stessa Amministrazione Comunale tramite suo figlio Carlo Marulli, inserito nel clan mafioso dei Pellegrino”.
Le indagini sul clan Coluccia, da sempre impegnato nel traffico delle sostanze stupefacenti a Galatina, Noha e zone limitrofe, hanno evidenziato come lo “storico” sodalizio mafioso, affermata la forza d’intimidazione sul territorio, sia alla ricerca del consenso della popolazione. Per raggiungere questo obiettivo svolge attività di recupero di beni rubati punendo chi compie azioni violente sul territorio e gestendo di fatto la squadra di calcio di Galatina.
Anche a Gallipoli è stato appurato l’interesse della criminalità organizzata alla gestione della locale squadra di calcio. Infatti, sono stati nominati direttore generale e direttore sportivo due pregiudicati: Antonio Cardellini e Silvio Allegro.
Importantissimi gli elementi emersi dalle indagini successive alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioele Greco sui rapporti tra gli ambienti criminali mafiosi e diversi candidati alle elezioni comunali del 2012 a Lecce. Esponenti dell’associazione mafiosa, d’accordo con i candidati e su loro incarico, si occupavano dell’affissione dei manifesti e della distribuzione di materiale propagandistico. Coordinavano questa attività esercitando violenze e minacce nei confronti di coloro che non volevano sottomettersi alla volontà dell’associazione mafiosa, curavano i contatti con i comitati elettorali, assicuravano i rapporti con i candidati, incassavano il denaro ricavato dall’affissione dei manifesti e dalla distribuzione del materiale propagandistico e lo suddividevano tra i membri dell’organizzazione mafiosa.
Alcuni candidati chiedevano il voto agli esponenti del clan capeggiato da Pasquale Briganti che garantivano il loro impegno.
A Taranto, il clan D’Oronzo-De Vitis-Ricciardi aveva messo le mani, tramite estorsioni, sulle attività commerciali di maggior prestigio e visibilità, quali ristoranti e negozi. Questo assume anche un forte valore simbolico e testimonia il potere acquisito.
L’esempio più eclatante di ciò è il controllo da parte del sodalizio di un circolo sportivo cittadino denominato “Magna Grecia”, di proprietà del Comune di Taranto e ottenuto attraverso un politico tarantino, Fabrizio Pomes, arrestato per concorso in associazione di tipo mafioso. Il Pomes, a tal fine, aveva costituito delle cooperative sociali a cui era stata affidata la gestione del circolo sportivo. I soci di queste cooperative erano di fatto riconducibili all’associazione mafiosa.
Le indagini hanno appurato “una sorta di indifferenza” da parte di esponenti del Comune riguardo a questo affidamento.

Il condizionamento della collettività civile e sue conseguenze
La percezione del controllo del territorio da parte dei gruppi mafiosi determina, malgrado i risultati ottenuti nel contrasto a tali organizzazioni, un atteggiamento di complessiva omertà nella collettività e di scarsa collaborazione da parte di molte vittime di atti intimidatori e violenti.
Nel distretto di Lecce si colgono i segnali di un allarmante mutamento dei rapporti tra la società civile e la criminalità mafiosa, cui fa seguito una crescente sottovalutazione della pericolosità di tali organizzazioni che provoca una brusca caduta della riprovazione sociale nei confronti del fenomeno. Accade quindi che, non solo si abbassa o viene meno quella soglia di attenzione che fa sviluppare gli anticorpi necessari a tenere lontana da possibili rischi di contaminazione la società ma, purtroppo, si riscontra una richiesta dei “servizi” offerti dalle organizzazioni criminali o dai singoli associati.
Le indagini, rafforzate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,  hanno appurato che il ruolo della criminalità organizzata risulta enfatizzato dalla crisi economica che ha aperto per le organizzazioni nuovi spazi di intervento. Ne deriva un pericolosissimo consenso sociale, un’accettazione e condivisione di logiche criminali e mafiose che legittimano i clan, abbassano la soglia di legalità e, soprattutto, consentono “il riconoscimento di un loro ruolo nel regolare i rapporti nella società civile in una prospettiva  della loro definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato”. Le indagini hanno riscontrato la disponibilità di alcuni creditori di ricorrere ad esponenti della criminalità organizzata per il recupero del proprio credito dovuto da debitori morosi facendo uso del metodo mafioso, intimidatorio e violento.
Questi sono segnali assai gravi e preoccupanti e devono essere intercettati e contrastati con un sinergico impegno tra la società civile e politica, la Magistratura e le Forze dell’Ordine. Occorre invertire subito una tendenza che appare veramente preoccupante, soprattutto alla luce dell’espansione turistica dell’intera Puglia, con conseguenze disastrose per l’intera collettività.

FINE SECONDA PARTE

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