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conf gallipoli sequ clan padovanoFotogallery
di Antonio Nicola Pezzuto

I Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale, guidati dal Colonnello Paolo Vincenzoni, e quelli del Comando Provinciale di Lecce hanno inferto un duro colpo al potente clan Padovano di Gallipoli sequestrando beni per un milione di euro.
Un compito durissimo quello portato a termine con successo dagli uomini del Comandante Paolo Vincenzoni in un contesto territoriale e sociale assai avverso al lavoro delle Forze dell’Ordine.
Il Decreto di Sequestro Preventivo è stato emesso dal Gip del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo, su richiesta del Procuratore Aggiunto Antonio De Donno della Direzione Distrettuale Antimafia.
Il sequestro dei beni a componenti del clan Padovano rappresenta l’ultimo atto dell’operazione “Baia Verde”.
Le indagini si sono svolte tra il 2013 e il 2015 e nel luglio dell’anno scorso si sono concretizzate nel blitz a cui fu dato il nome di uno dei quartieri di Gallipoli: “Baia Verde”, appunto.
Nell’occasione furono emesse 15 ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione di tipo mafioso e altro.
Un’inchiesta che documentava l’ascesa della Sacra Corona Unita, ambiziosissima organizzazione criminale salentina, denominata “quarta mafia”, con un forte rischio di sottovalutazione.
Il lavoro del R.O.S. appurava il tentativo della Scu di infiltrarsi nell’economia sana gallipolina, soprattutto nel settore del turismo e del divertimento notturno.

Tra gli indagati spiccava il nome di Angelo Padovano, figlio di Salvatore detto “Nino Bomba”, storico capo dell’omonimo clan ucciso il 6 settembre 2008 su ordine del fratello Rosario Pompeo.
Una Sacra Corona Unita così concentrata sugli affari che preferisce sotterrare l’ascia di guerra che spesso ha caratterizzato il rapporto tra i vari clan, stringere alleanze e indossare l’abito buono. Così, a Gallipoli, dopo l’uccisione di Salvatore Padovano e la condanna all’ergastolo del fratello Rosario Pompeo come mandante dell’omicidio, il clan si è riorganizzato attorno alle figure di Angelo Padovano, come già detto figlio di Salvatore, di Roberto Parlangeli e del suo gruppo attivo su Lecce ed organicamente inserito nel clan Tornese di Monteroni, alleato storico dei Padovano. Una federazione mafiosa di un certo spessore.
L’obiettivo ambizioso delle nuove leve della Scu è quello di infiltrarsi nell’economia legale oltre che praticare la sempre fiorente attività di spaccio delle sostanze stupefacenti.
Quindi, in una città come Gallipoli che fa del turismo un punto di forza della sua economia, le attenzioni dei nuovi boss sono cadute sul fiorente settore del turismo e della movida notturna. Il sodalizio mafioso ha cercato di accaparrarsi il controllo e la gestione diretta dell’attività di security nei locali pubblici e nei lidi balneari oltre che nelle discoteche e la gestione dei parcheggi.
A tal fine è stata fatta oggetto di attentati un’agenzia investigativa che si occupava della sicurezza dei locali del territorio gallipolino. Anche il sindaco aveva subito “pressioni” da esponenti del clan, soprattutto da Parlangeli, in quanto non aveva garantito la gestione dei parcheggi alla società “Lu rusciu te lu mare” gestita da quest’ultimo anche tramite il prestanome Amerigo Liaci.
“I clan vogliono imporre le loro agenzie di security e iniziano una serie di episodi intimidatori, prima alla discoteca Praja, poi nei confronti di De Giorgi (il titolare dell’agenzia che si occupava della sicurezza della generalità dei locali n.d.a.) – affermava poco più di un anno fa il Procuratore Aggiunto Antonio De Donno – fra cui l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco verso l’abitazione dei genitori. A quel punto si capisce chiaramente che vi è un’escalation che ha un preciso scopo. L’indagine ha consentito di individuare le agenzie di security gradite al clan”.
I messaggi intimidatori sono stati recepiti dagli operatori economici della zona che, in modo generalizzato, non hanno più rinnovato l’incarico di provvedere alla sicurezza dei locali al precedente referente per paura di subire ritorsioni da parte del clan egemone sul territorio.
Il sodalizio mafioso ha scelto inizialmente come agenzia di security, da imporre per controllare direttamente le attività economiche, quella di Fabio Pellegrino e, successivamente, per sopravvenute complicazioni burocratiche legate alla mancanza di regolarità di licenza, quella gestita da Luca Tomasi, legato al clan Tornese di Monteroni.
“Abbiamo ritenuto queste persone organiche al clan. Abbiamo ritenuto che quel comportamento, cioè mettere a disposizione la propria agenzia per il controllo delle attività economiche della zona - sosteneva il Procuratore Aggiunto Antonio De Donno - fosse sintomatico dell’adesione al clan dal momento che il controllo della security è avvenuto con metodo intimidatorio. Gli imprenditori sono stati costretti, attraverso una serie di atti intimidatori chiari ed evidenti che miravano principalmente a colpire De Giorgi e a mandare il segnale che De Giorgi doveva farsi da parte, a rivolgersi ad altre agenzie. Sono segnali mafiosi veri e propri e quindi abbiamo contestato il reato di associazione mafiosa sia a Fabio Pellegrino che a Luca Tomasi”.
Questo emergeva dalle meticolose indagini del R.O.S. che svelavano le mire egemoniche di una Scu che ambiva ad allungare i suoi tentacoli anche su altri settori economici come quello del movimento terra.


Un blitz così importante, quello del luglio dell’anno scorso, da meritare la presenza del Generale  Mario Parente che si complimentò con il Colonnello Vincenzoni e i suoi uomini: “Un’operazione difficile in un ambiente non sempre favorevole caratterizzato da quelle condizioni tipicamente mafiose-ambientali – dichiarava il Generale Mario Parente – e questo qualifica ulteriormente le attività svolte. Le indagini hanno fotografato un quadro molto attuale della situazione. Si è riscontrato una sorta di adattamento progressivo da parte degli stessi imprenditori e degli operatori commerciali. Ci troviamo davanti ad un oggettivo salto di qualità perché si è verificata un’estromissione delle imprese sane a beneficio di quelle controllate dal sodalizio mafioso che aveva messo le mani su un mercato molto remunerativo e lucroso come quello del turismo estivo nel Salento. L’auspicio è che l’operazione possa restituire una certa fiducia agli imprenditori”, concludeva il Generale Parente.
A distanza di un anno, l’attività investigativa di natura patrimoniale ha dato i suoi frutti, facendo emergere la riconducibilità al clan di ingenti beni mobili e immobili intestati a tre soggetti affiliati al clan Padovano: Gabriele Cardellini, trentunenne di Gallipoli, Eugenio Corchia, trentaquatrenne di Gallipoli e Luca Tomasi, di quarantadue anni, nato a Lucca e residente a Carpignano Salentino.
I beni sottoposti a sequestro preventivo ammontano a circa un milione di euro. Vediamoli nel dettaglio. La sala giochi “Games Room”- circolo culturale ricreativo - ubicata in Viale Europa a Gallipoli; un appezzamento di terreno agricolo denominato “Nanni” ricadente in zona “V7- sottoposto a vincolo di salvaguardia paesaggistica”; un appartamento sito in Gallipoli in Corso Italia, facente parte del compendio immobiliare “Residence Corso Italia”; quattro motocicli e due conti correnti bancari. Questi i beni sequestrati a Gabriele Cardellini.
Per quanto riguarda Eugenio Corchia i beni sequestrati sono i seguenti: l’impresa individuale denominata “Mare Nosciu di Corchia Eugenio” attiva nel commercio di prodotti ittici, con sedi in Aradeo e Collepasso; un’autovettura e due conti correnti bancari.
Questi, invece, i beni sequestrati a Luca Tomasi: l’impresa individuale “T & T Investigazioni di Luca Tomasi” con sede a Lecce; la società “T & T Investigazioni e Gestione Crediti S.r.l.”, con sede a Lecce; la società “N & T Investigazioni di Tomasi Luca e … SAS, con sede legale a Lecce; due autovetture e due conti correnti bancari.
“L’operazione ha un suo valore strategico nel senso che tende a dimostrare, ancora una volta, che il delitto non paga in quanto i proventi del crimine verranno sottratti agli autori dei reati, specie quando si procede per gravi reati di natura mafiosa”, afferma a distanza di un anno il Procuratore Aggiunto, Antonio De Donno.
“Naturalmente i tempi tecnici degli accertamenti patrimoniali sono tempi tecnici complessi – continua il Procuratore Aggiunto – perché non è agevole individuare patrimoni che non sempre sono intestati agli autori dei reati bensì a terzi di comodo e quindi la differenza cronologica tra l’esecuzione delle misure custodiali e l’esecuzione della misura patrimoniale è giustificata da questa esigenza di approfondimento investigativo. È chiaro tuttavia che la logica è sempre quella. Noi miriamo non solo ad eliminare dal circuito criminale quei soggetti che direttamente operano, ma anche ad espungere dalle attività criminose tutte le società che sono provento del crimine e ne costituiscono il reimpiego. L’aspetto patrimoniale, come sapete, nelle strategie di lotta alla mafia moderne ha un ruolo prioritario e in questa logica ci siamo mossi con l’operazione di oggi”.
Il Procuratore Aggiunto Antonio De Donno ringrazia pubblicamente i Carabinieri del R.O.S. e quelli della Compagnia di Gallipoli “perché hanno svolto un’attività molto complessa e difficile in quanto si è dovuto operare in un’area profondamente ostile o quantomeno diffidente nei confronti delle Forze di Polizia perché vi sono interessi mafiosi diffusi e quando vi è intimidazione vi è anche paura e difficoltà ad acquisire elementi probatori. Quindi, superare queste difficoltà e ottenere i risultati che abbiamo ottenuto è stato molto importante. Gallipoli è diventata una città dove si concentra un flusso turistico enorme che ha dato origine ad una moltiplicazione delle attività economiche specialmente nel periodo estivo, soprattutto con riferimento alle attività balneari che sono di interesse diretto dei clan”.
Il Colonnello Paolo Vincenzoni, Comandante del R.O.S., sottolinea “il valore simbolico dell’operazione, perché innanzitutto ci troviamo per la prima volta, credo, di fronte a un sequestro di agenzie investigative ma, soprattutto, abbiamo sequestrato la società del commercio di prodotti ittici. Questo ha un valore simbolico estremamente importante perché gli eredi del clan con questa società volevano ripristinare quella che era stata per anni una gestione egemonica del mercato del pesce e dei prodotti ittici più in generale come era successo con la “Pescheria del mare”, luogo dove era stato ucciso Salvatore Padovano “Nino Bomba”. Questa pescheria era stata a sua volta oggetto di sequestro in un’operazione congiunta del R.O.S. e del G.I.C.O. della Guardia di Finanza. Con questa società c’era l’intenzione, stroncata con l’odierna operazione e con quella di un anno fa, di ripristinare simbolicamente il controllo mafioso sul commercio più importante a Gallipoli che è quello dei prodotti ittici e contestualmente il monopolio su tutta la città. Questa è una cosa che mi premeva sottolineare perché è su questo che si è incentrata l’attività investigativa condotta dal R.O.S., con penetrazioni e informative realizzate anche in ambienti ostili”.
Il Colonnello Paolo Vincenzoni, da lunedì prossimo, ricoprirà un nuovo prestigioso incarico, quello di Comandante del Reparto Crimini Violenti del R.O.S. di Roma. Io, che ho avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo, lo ringrazio pubblicamente per quanto fatto in questi anni nel Salento sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.
Ad maiora, Comandante!

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