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eclisse1di Antonio Nicola Pezzuto - 24 novembre 2014
Sono giorni particolari quelli che sta vivendo il Salento. Nelle ultime due settimane, infatti, ci sono state tre importanti operazioni condotte dalle forze dell’ordine sotto la regia della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce: l’operazione “Vortice Déjà Vu”, l’operazione “Eclissi” e la confisca dei beni appartenenti al clan Padovano.
La prima, portata a termine dai Carabinieri del Ros e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Lecce, ha assestato un duro colpo ai clan della Sacra Corona Unita del Nord Salento.
Non solo, questa indagine ha coinvolto anche alcuni amministratori del comune di Squinzano portando alla luce il grave problema della commistione tra politica e criminalità organizzata.
Di questo blitz ho abbondantemente scritto in un altro articolo. Mi soffermo, adesso, sulle altre due operazioni.

“Eclissi” è il nome dato dagli investigatori all’operazione che ha ridisegnato il panorama criminale Leccese. Le indagini hanno documentato la caduta, l’eclissarsi di un gruppo, quello di Roberto Nisi, a vantaggio di quello capeggiato da Pasquale Briganti, detto “Maurizio” e di quello guidato dai fratelli Antonio e Cristian Pepe. Questa evoluzione importantissima dei rapporti di forza all’interno della Sacra Corona Unita del capoluogo salentino ha indotto gli inquirenti a denominare l’operazione “Eclissi”.
Trentacinque le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip Alcide Maritati su richiesta del Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Guglielmo Cataldi. Ad eseguirle, la Squadra Mobile di Lecce coadiuvata dalle Squadre Mobili di tutta la Puglia, ma anche di Matera e Potenza e dal personale del Reparto Volo e dei Cinofili di Bari.
Le persone colpite dai provvedimenti restrittivi rispondono, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, rapina, estorsione, favoreggiamento personale, detenzione illegale di arma, minacce, morte come conseguenza di altro delitto.
La lotta per la supremazia tra clan aveva seminato il terrore in città, perché i contendenti avevano intrapreso una guerra che li portava anche a effettuare attentati dinamitardi ai danni di esercizi commerciali per accaparrarsene la “tassa sulla sicurezza”. Uno scenario ad alta tensione in cui non sono mancati gli agguati tra gli affiliati alle diverse fazioni con ferimenti e aggressioni avvenute anche all’interno degli istituti penitenziari.
Strategie di vecchio stampo mescolate all’innovazione dettata dai tempi moderni. Infatti, le indagini hanno appurato come i boss riuscissero a comunicare dal carcere con i propri familiari grazie alle nuove teconologie. Facebook, Video Calling e Skype venivano utilizzati per impartire ordini all’esterno.
Ma ciò che sembra accomunare le nuove leve della Sacra Corona 2.0 è l’efferatezza. Pur di incassare il denaro dovuto per una fornitura di droga i nuovi boss hanno assunto atteggiamenti vessatori nei confronti di un ragazzo di 21 anni, Luca Rollo di Cavallino, con problemi di tossicodipendenza. Il giovane, per sfuggire alle angherie, il 12 gennaio del 2013 decide di impiccarsi.
Scrive a tal proposito il Gip Alcide Maritati: “Le condotte reiterate di vessazione, minaccia e violenza compiute da tutti i soggetti nei confronti del povero Luca Rollo sono state di tale insistenza e cattiveria da non potersi certamente ritenere che l’evento suicidario non debba essere messo in stretta relazione causale con il delitto di spaccio e con l’estorsione pluriaggravata finalizzata a recuperare i debiti maturati da Rollo”.
Terzo fatto, ma non per importanza, la confisca dei beni già sequestrati al clan Padovano.
I Finanzieri del G.I.C.O. di Lecce e i Carabinieri del R.O.S. hanno infatti apposto i sigilli a un tesoro del valore di oltre 3 milioni di euro. Tutto nasce dalle indagini “Canasta” (Nucleo P.T.) e “Galatea” (R.O.S.). Il “Decreto di confisca ed applicazione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno” è stato emesso dalla Prima Sezione Penale – Misure di Prevenzione, del Tribunale di Lecce che già in data 20 dicembre 2012 aveva ordinato il sequestro in via d’urgenza del patrimonio del capoclan della Scu gallipolina Pompeo Rosario Padovano, degli eredi del defunto boss Salvatore Padovano e dei sodali Giorgio Pianoforte e Cosimo Cavalera.
Il 4 gennaio 2013, il R.O.S dei Carabinieri e il G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza avevano operato un ulteriore sequestro  di una somma contante  di 155mila euro e di un deposito bancario di 110mila euro.
In data 24 gennaio 2013 sempre la Prima Sezione Penale – Misure di Prevenzione aveva convalidato entrambi i sequestri.
Nello specifico, diventano dello Stato 7 fabbricati, 4 terreni, 2 società di capitali, 2 società cooperative, 6 autocarri, 3 motocicli, un’autovettura, 9 rapporti bancari, una polizza vita e una somma di 265.050 euro in contanti.
Inoltre è stata applicata la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per tre anni nei confronti di Cosimo Cavalera, appartenente al clan Padovano.
Il procedimento di confisca è stato applicato anche nei confronti del defunto boss Salvatore Padovano, reggente del clan prima di essere assassinato su ordine del fratello Rosario Pompeo.
Questo grazie all’art. 18 del vigente Codice delle Leggi Antimafia e delle Misure di Prevenzione che, a differenza del Codice di Procedura Penale, consente di avviare il procedimento di prevenzione anche nei riguardi degli eredi entro il termine di cinque anni dal decesso.
Questi i fatti accaduti nelle ultime due settimane che hanno cambiato i rapporti di forza all’interno della Scu che, malgrado il costante impegno di magistratura e forze di polizia, sembra trovare sempre la forza per rigenerarsi come dimostrano le inchieste ancora in corso.

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