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La-scena-del-delitto-PrestaQual è il movente che ha portato all’ uccisione del figlio dell’ ex boss della Scu, Gianfranco Presta?
di Antonio Nicola Pezzuto - 9 settembre 2012

Sono passati quasi tre giorni dall’ omicidio di Antonio Presta, figlio di Gianfranco, ex luogotenente del fondatore della Sacra Corona Unita Pino Rogoli, ex fedelissimo del boss dei boss di Brindisi Salvatore Buccarella, ed ex collaboratore di giustizia. In queste ore ci si interroga sul possibile movente. Ciò che è più opportuno fare, a mio avviso, è raccontare i fatti. Ognuno, poi, potrà farsi un’ idea in attesa che gli investigatori facciano il loro lavoro.

Chi era, quindi, Antonio Presta? Antonio Presta, come già accennato, era figlio di un potente boss della Scu degli anni Novanta, Gianfranco, vicinissimo a Salvatore Buccarella e al fondatore della Scu Pino Rogoli. Una carriera criminale la sua che, da potente capozona a San Donaci, aveva, nel 1998, cominciato un inesorabile declino.     
Braccato dai militari dell’ Arma che lo tenevano sotto stretto controllo avendone capito la pericolosità, era caduto nella rete della giustizia a seguito dell’ ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico nell’ ambito dell’ operazione “Cerbero”. Gianfranco Presta riuscì a sfuggire all’ arresto diventando così un latitante. Forse fiaccato dalla latitanza cominciò a maturare l’ idea di pentirsi. Idea che, trapelata negli ambienti criminali, provocò subito una forte reazione. Infatti, riuscì miracolosamente a sfuggire a un agguato il 22 luglio 1998, quando un commando di uomini incappucciati tentò di ucciderlo. Un altro pesante avvertimento, il Presta, lo subì pochi giorni dopo quando da un’ auto in corsa di fronte a un mobilificio di San Pietro Vernotico partì una raffica di colpi che ferì mortalmente per errore un ingegnere. Gli inquirenti intuirono che l’obiettivo vero era il sampietrano Raffaele Rizzo, uomo di fiducia di Presta.     
Ma la vendetta arrivò puntuale il 31 agosto dello stesso anno quando i sicari uccisero Lucia Pagliara, una giovane donna di 21 anni, che era diventata la sua compagna. Un omicidio tra i più efferati nella storia della Sacra Corona Unita. La donna, infatti, fu brutalmente lapidata. Gianfranco Presta decise così di collaborare con la giustizia, e fu anche grazie alle sue rivelazioni che le forze di polizia portarono a termine l’ operazione “Meridiana” che consentì l’ arresto di 160 persone nel 2011. Un colpo micidiale per la Scu.
Al boss fu quindi conferito il programma di protezione con tanto di stipendio assicurato e nuova vita in località protetta per sé e la sua famiglia. Ma la sua, evidentemente, non era una vera riconversione a onesta esistenza, anzi. Si rese protagonista, infatti, di una serie di rapine in farmacie, parrucchieri, uffici postali, tabaccherie e supermercati delle Marche e dell’ Emilia Romagna.
Ed è a questo punto della storia che entra prepotentemente in gioco il figlio Antonio, freddato due giorni or sono. Le rapine, infatti, venivano compiute da entrambi con l’ aiuto di altri complici. Nel 2009, il Tribunale di Rimini condannò Gianfranco Presta a 4 anni e 4mesi e suo figlio Antonio a 5 anni e 4 mesi. Per gli inquirenti e per il giudice, ormai, il leader era diventato Antonio. All’ ex boss, in seguito alla condanna, fu revocato il programma di protezione. Però, dopo un anno, i due furono scarcerati.
Questo il percorso che ci porta alla sera dell’ agguato che ha visto soccombere Antonio Presta (29 anni). Due, forse tre individui arrivati a bordo di una Lancia Delta bianca risultata rubata, hanno esploso diversi colpi di fucile e pistola contro l’ uomo che era seduto davanti al club “Le Massè” a San Donaci in via Tobagi. Il Presta ha cercato di fuggire imboccando via Tunisi ma è stato raggiunto dai Killer che lo hanno finito brutalmente colpendolo con inaudita violenza in testa con il calcio del fucile a tal punto che l’ arma si è spaccata.
Per compiere l’ efferato delitto i sicari hanno utilizzato un fucile calibro 12  e una revolver calibro 38 che sono stati lasciati sul luogo del delitto. L’ auto con la quale i killer sono arrivati sul posto è stata ritrovata nelle campagne tra San Donaci e Mesagne in contrada Uggio. Durante l’ agguato è rimasto ferito un ragazzo di 22 anni che era presente sulla scena del crimine. Non è in pericolo di vita.
Gli investigatori, adesso, stanno cercando di raccogliere le testimonianze dei presenti, mentre nel paese  cresce la paura e l’ angoscia al solo pensiero di tornare ai bui anni Novanta. Anni in cui la guerra all’ interno della Sacra Corona Unita mieteva vittime. Gli inquirenti stanno anche interrogando soggetti che possono essere “interessanti” ai fini dell’ indagine.
Questi i fatti. Poi ci sono le domande alle quali ognuno, in attesa della verità, può darsi una risposta.
Evidenzio alcuni punti di discussione: il modo brutale con cui è stato ucciso il Presta e il luogo pieno di gente. C’ è chi dice che gli uomini della Scu hanno voluto dimostrare la loro forza e chi dice che non avrebbero mai agito così; così come c’ è chi reputa un grave errore aver lasciato le armi del delitto sul posto, cosa effettivamente strana; da segnalare l’ utilizzo di una Lancia Delta che negli anni ruggenti della Scu era, spesso e volentieri, l’ auto  utilizzata per compiere i crimini; e poi la domanda che più divide, si è trattato o no di una vendetta contro il padre per l’ antico pentimento? Se è vero che è passato tanto tempo, è vero pure che un’ organizzazione mafiosa non dimentica.
Per concludere, in attesa che il lavoro del Sostituto Procuratore Giuseppe De Nozza, al quale sono state affidate le indagini, cominci a dare i primi risultati, c’ è da chiedersi perché Antonio Presta fosse rientrato da poco a San Donaci. Se, come sostengono alcuni, abbia rappresentato una minaccia per gli equilibri criminali esistenti. Equilibri delicati in una Sacra Corona Unita che cerca di riorganizzarsi. Oppure se l’ omicidio sia magari maturato in un contesto di vicende personali come sostengono altri.
Questi i fatti e i punti interrogativi sollevati da questa vicenda. La prudenza è d’ obbligo nei giudizi. Almeno fino a quando gli investigatori  non porteranno a termine il proprio lavoro. Nel frattempo ognuno può farsi liberamente un’ idea su ciò che è successo.

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