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di Aaron Pettinari*

Il figlio di don Vito deve essere ancora ascoltato al processo trattativa Stato-mafia, nel quale assume la doppia veste di teste chiave ed imputato. Nella requisitoria del pm Tartaglia si evince per la prima volta un giudizio, da parte della Procura di Palermo, su quanto da lui dichiarato.

“Dopo la strage di Capaci il capitano De Donno incontrò mio padre per tutta l’estate del 1992. Una volta De Donno mi consegnò la piantina di Palermo ed un elenco di utenze telefoniche presumibilmente in uso a Totò Riina: mio padre avrebbe dovuto segnare la zona e indicare i numeri. Dopo una settimana riconsegnai tutto con indicato il quartiere di Viale Regione Siciliana e dissi: ‘Lì dovete cercare Riina’”. E’ il 14 dicembre 2007 quando Massimo Ciancimino rilascia queste dichiarazioni in un’intervista sul settimanale Panorama. All’età di 44 anni il figlio dell’ex sindaco mafioso, Vito Ciancimino, aggiunge che mai nessuno lo ha interrogato su questo aspetto tanto delicato dando il via, di fatto, alla sua storia di “testimone privilegiato”. Un ruolo che riveste anche se è imputato al processo trattativa Stato-mafia per concorso esterno e per calunnia, un’accusa quest’ultima che a Palermo nasce dalla produzione di un foglietto, che giurava essere stato redatto dal padre in persona, dove il nome di Gianni De Gennaro era inserito in una lista di investigatori avvicinabili da Cosa nostra. Le perizie dimostrarono inesorabilmente come quel foglietto fosse falso al punto che il 22 aprile 2011 per Ciancimino scattò persino l’arresto, ordinato proprio dalla procura di Palermo. Da quel momento il dibattito sull’attendibilità del figlio di don Vito divenne ancora più feroce con opinioni divergenti in particolare tra la Procura di Caltanissetta e quella di Palermo. Tuttavia quest’ultima non si era mai finora espressa “ufficialmente” in sede processuale.
(segue)

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