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di Maria Loi

E’ una storia ancora attuale la vicenda dei cosiddetti ‘scappati’, i boss perdenti della guerra di mafia degli anni ’80 costretti all’esilio negli Usa dai corleonesi di Riina. La prima novità è che hanno riconquistato un ruolo di vertice all’interno di Cosa nostra. Le recenti operazioni contro i clan palermitani e le interviste ai magistrati della Dda di Palermo Del Bene e De Francisci hanno provato che “gli scappati sono stati rilegittimati in Cosa nostra” ha detto il pm Del Bene e “il loro rientro definitivamente autorizzato nel momento in cui Salvatore Lo Piccolo prese il potere dentro Cosa nostra”.

Nel mandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano infatti comandava uno di loro, Giovanni Bosco finché non è stato recentemente arrestato. Un cambiamento che conferma quanto fossero fondati  i timori del vecchio boss di Pagliarelli Nino Rotolo, preoccupato di ritorsioni e del potere che avrebbero potuto prendere gli Inzerillo se fossero tornati a Palermo. Un dibattito quello sul loro ritorno che si inserisce nel momento  in cui, in seguito alla cattura dei grandi capi all’interno di Cosa nostra, si apre la corsa alla successione. Dentro una Cosa nostra  dal futuro  incerto e con un vuoto di potere che gli uomini d’onore  forse non hanno mai conosciuto ‘gli scappati’ inizialmente “al loro ritorno – hanno spiegato gli inquirenti – hanno mantenuto un profilo basso” ma “hanno ritrovato un loro posto a tavola recuperando il terreno perduto” e oggi sono diventati ricchi imprenditori d' oltreoceano.
Questi fatti si intrecciano con un’altra novità: le dichiarazioni di Rosario Naimo, un pezzo da novanta di Cosa nostra. Naimo, infatti, è il garante di quell’accordo tra siciliani d’America e siciliani di Sicilia secondo il quale ad alcuni dei perdenti  sarebbe stata risparmiata la vita a patto che non rimettessero piede in Italia. Sarà lo stesso boss ad essere mandato a Palermo, dal padrino americano Paul Castellano, per trattare la pace con i corleonesi. Oggi le sue dichiarazioni hanno un loro peso. Col neopentito i magistrati palermitani stanno infatti riscrivendo per la prima volta una pagina di storia ancora densa di misteri, quella della guerra di mafia del 1981. Una mafia fatta di tradimenti e di mafiosi che vendono i propri familiari per salvarsi la vita. Come prova la vicenda di Antonino Inzerillo. Mentre il nipote Tommaso Inzerillo lo attirava in trappola, Gianni Gambino, il cognato, invece, prendeva a calci il cadavere del parente “ancora caldo” accusandolo di avere “rovinato una razza, una generazione”. Il vecchio boss che per anni visse negli Stati Uniti questa storia la conosce molto bene. Anche perché ne fu protagonista. Ma Naimo ha raccontato anche dell’altro, questa volta però ai magistrati americani che sono arrivati in Italia per interrogarlo, ma su quelle dichiarazioni, vige il più stretto riserbo.

Segue sul n. 68 di ANTIMAFIADuemila

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