Centinaia di persone a rischio in un gioco grande tra mafie, NATO e un Governo cieco
Pesano come una condanna definitiva le 1.526 pagine con cui nei giorni scorsi la Stretto di Messina ha reso pubblici i riferimenti urbanistici e quelli anagrafici di tutti coloro che in qualche modo saranno interessati alle operazioni di esproprio per la realizzazione del Ponte sullo Stretto.
È uno dei risvolti più angoscianti dell’ecomostro che il governo Meloni vuole realizzare.
Va precisato che la Stretto di Messina fa una distinzione fra gli espropri e l’asservimento. I primi saranno in tutte quelle aree sulle quali dovrà essere costruita la torre che sosterrà il ponte, o dovrà passare la ferrovia o sarà realizzata un’opera complementare. Il bene privato sarà dunque espropriato con indennizzo pieno. Mentre per le aree funzionali al cantiere verrà applicato l’istituto dell’asservimento, cioè una limitazione che si impone alla proprietà privata. Il proprietario dell’immobile cioè non perde la proprietà nel suo completo, ma “solo” - si fa per dire - nell’esercizio di talune specifiche fattispecie.
Ad ogni modo, 450 persone dovranno lasciare la casa, i terreni e le attività per fare spazio al ponte. Intere famiglie che, a partire dall’8 aprile, avranno 60 giorni per studiare i documenti e presentare eventuali osservazioni presso “Sportelli informativi” che la società ha aperto sia a Messina che a Villa San Giovanni. Ma oltre al danno c’è anche la beffa.
Gli sportelli, infatti, sono operativi solo tre giorni a settimana. E per concordare l’appuntamento i cittadini devono chiamare a Roma tramite uno dei tre numeri messi a disposizione.
L’iter per gli espropri
Prima degli abbattimenti sono previsti diversi passaggi. Il “Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile” (CIPESS) deve approvare il progetto definitivo per poi dichiarare la pubblica utilità. Segue la comunicazione diretta ai soggetti interessati dall'attività di esproprio. A questo punto si parte con l'avvio della fase espropriativa. I soggetti coinvolti possono fornire ogni elemento utile per determinare il valore del bene.
Per i terreni, entro 60 giorni dall'accordo bonario sarà corrisposto l'80% dell'indennità. Il restante 20% sarà erogato al rogito. Al versamento dell'80% si ha l'immissione in possesso. Il trasferimento della proprietà avviene al rogito notarile. Per i soli terreni, in caso di non condivisione dell'indennità, potrà essere avviata la procedura di occupazione anticipata anche prima dell'accordo bonario. Per i fabbricati l'indennità terrà conto anche di tutti gli oneri necessari al rilascio. In caso di non accordo, - conclude la società - l'espropriato può chiedere la determinazione dell'indennità in via amministrativa o giudiziale.
Il tutto, però, si baserà su una valutazione di mercato del bene, mediante la comparazione con altri immobili venduti nella zona, con rilevazioni di quotazioni di mercato come l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate e tramite la capitalizzazione di tutti redditi che l’immobile è in grado di garantire al proprietario.
E con lo spettro del ponte i prezzi possono subire notevoli influenze al ribasso.
Il governo Meloni © Imagoeconomica
L’ecomostro: una follia ingegneristica che viene da lontano
Stiamo parlando del ponte a campata unica più lungo al mondo: 3,3 km. Con una larghezza complessiva di 60,4 metri, il ponte sarà sospeso a 65 metri di altezza, per consentire il transito di grandi navi nel canale di Sicilia. Sul ponte correranno sei corsie stradali e due binari ferroviari.
I due piloni del ponte sullo Stretto verranno costruiti nei punti più vicini tra l’Isola e il continente: Torre Faro in Sicilia e Villa San Giovanni in Calabria. Luoghi in cui abitano centinaia di persone.
Il primo avviso di espropri risale al 2011 con il governo Berlusconi. Anche in quell’occasione con un documento di poco più di mille pagine, furono dati 60 giorni agli abitanti nelle zone interessate alla costruzione del ponte per presentare osservazioni. Con il governo Monti il progetto fu accantonato perché troppo oneroso e con esso anche il pericolo degli espropri. L’incubo si è ripresentato con l’insediamento del governo di Giorgia Meloni che, di fatto, ha ripreso il progetto lasciato dal Cavaliere e lo ha aggiornato.
Il mese scorso è stato pubblicato il progetto definitivo accompagnato anche dalla relazione del comitato tecnico scientifico del ministero delle Infrastrutture, che, nonostante persistessero ben 68 criticità - fra cui pericolo terremoti, venti e altro - ha approvato il progetto definitivo.
Le proteste
"Non me ne vado, ma nemmeno per idea”, ha detto all’Ansa Mariolina De Francesco, che sarà espropriata della casa nella quale con marito e figlie ha vissuto per 23 anni sulla sponda messinese dove dovrebbe sorgere un pilone del ponte. Una donna battagliera: “Se la mia casa la dovessi cedere per un ospedale oncologico per i bambini la cederei, ma non per una cosa inutile come questa”.
Se il ponte si dovesse comunque fare “vivremmo per anni in mezzo ai cantieri in Calabria e in Sicilia. Ma non solo: lo Stretto di Messina non si deve toccare; come ha detto National Geographic nel settembre del 2022 la spiaggia di capo Peloro è la più bella spiaggia italiana dal punto di vista naturalistico. L'articolo 9 della Costituzione dice che le zone ricche di biodiversità e pregio naturalistico sono intoccabili. E la regione Sicilia nel 2001 ha fatto decreto nel quale dice che la zona di capo Peloro è zona di pregio che va salvaguardata. La stessa regione che ora gli dà i miliardi...".
Anche se lo Stato può espropriare le proprietà private (Art. 42 comma 3 della Costituzione) sulla base del principio della pubblica utilità, nel caso del Ponte sullo Stretto questo principio non è stato ancora approvato. Il progetto dovrà prima essere esaminato nella conferenza dei servizi a cui partecipano tutti gli enti coinvolti e poi approvato dal CIPESS.
“Pensano che la gente se ne vada senza fare storie con 20mila euro in più, ma non è così e comunque non è stato ancora formalizzato niente”, ha detto Daniele Ialacqua, ex assessore all’Ambiente durante il mandato del sindaco Renato Accorinti e fondatore del comitato “No Ponte – Capo Peloro”. “Le cose sono cambiate rispetto al 2011: molte persone non sanno nemmeno di essere interessate dagli espropri”.
Matteo Salvini © Imagoeconomica
Una follia per la spesa pubblica
Capofila del comitato del “Sì” c’è, appunto, il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Matteo Salvini. Rispetto al progetto del 2011, accantonato dal governo Monti, i costi previsti per la realizzazione del ponte sono aumentati, passando da 8,5 a 13,5 miliardi, ai quali va aggiunto un ulteriore miliardo di opere accessorie. Il progetto, infatti, sfiora i 15 mld di euro e potrebbero aumentare considerando le opere complementari stradali che “verranno dettagliate nell’ambito dei contratti di programma con Anas”.
Con la legge di bilancio, l’esecutivo ha stanziato 11,63 miliardi di euro fino al 2032, dei quali 9,3 saranno a carico dello Stato e 718 milioni graveranno sul fondo di sviluppo e coesione (Fsc). Altri 1,6 miliardi saranno invece investiti dalle due regioni, Sicilia e Calabria. Per il 2024 la cassa consta di 780 milioni.
Apertamente contrario al progetto è il “Comitato No Ponte” che più volte è sceso in strada assieme a decine di collettivi, associazioni e movimenti, tra cui anche Legambiente, WWF e tante altre sigle ambientaliste per denunciare, tra le altre cose, il pericolo dell’infrastruttura per la biodiversità presente nel territorio (unica al mondo).
Infine, c’è il pericolo dell’infiltrazione mafiosa nel progetto. Senza un controllo rigoroso e coadiuvato da un pool di esperti nel contrasto alle organizzazioni mafiose, infatti, Cosa nostra e ‘Ndrangheta potrebbero mettere le mani sui miliardi destinati al ponte, sfruttando i “colletti bianchi”.
La mafia non resta a guardare
Un pericolo aggravato dagli espropri che colpiranno centinaia di famiglie, le quali rischiano di essere assoggettate dalle consorterie mafiose per fare fronte ad eventuali spese o disagi creati dallo Stato.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, i forti interessi delle organizzazioni mafiose che intravedono nel ponte a campata unica più lungo al mondo un’occasione d’oro per riciclare denaro e guadagnare consenso sociale, tramite prestanome ovviamente.
A raccontarlo sono diverse inchieste e le relazioni della Dia che si sono susseguite nel corso degli anni. Basta leggerle per comprendere il ruolo che la criminalità organizzata potrebbe avere nella costruzione di questa grande opera.
Nel 1998 la Dia affermava di essere "preoccupata dalla grande attenzione della 'Ndrangheta e di Cosa Nostra per il progetto relativo alla realizzazione del ponte sullo Stretto”. “Appare chiaro - aggiunge la Direzione Investigativa Antimafia - che si tratta di interessi tali da giustificare uno sforzo inteso a sottrarre il più possibile l’area della provincia di Messina all’attenzione degli organismi giudiziari ed investigativi".
Pochi anni dopo, nel 2000, sempre la Dia segnalava che “le famiglie di vertice della 'Ndrangheta si sarebbero già da tempo attivate per addivenire ad una composizione degli opposti interessi che, superando le tradizionali rivalità, consenta di poter aggredire con maggiore efficacia le enormi capacità di spesa di cui le amministrazioni calabresi usufruiranno nel corso dei prossimi anni”. Addirittura, guardando alle ingenti somme previste dai fondi europei, gli investigatori ipotizzavano l'esistenza di vere e proprie "intese fra Cosa nostra e ‘Ndrangheta ai fini di una più efficace divisione dei potenziali profitti”.
Un'altra relazione della Dia, nel 2005, affermava che “la mafia è pronta ad investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del ponte sullo stretto di Messina”.
Ed è proprio grazie al narcotraffico di cui la 'Ndrangheta è leader che le organizzazioni criminali detengono grandissime disponibilità di denaro. Quella relazione si basava particolarmente su quanto dimostrato dall’inchiesta “Brooklyn” in cui si individuava un’operazione concepita da Cosa nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga proprio nella realizzazione dell’infrastruttura.
È in quell'inchiesta che compariva il nome dell'italo-canadese ingegner Zappia. Un personaggio con una lunga esperienza nel campo delle grandi opere che in un'intercettazione affermava anche che qualora fosse riuscito a fare il ponte avrebbe fatto tornare don Vito Rizzuto (oggi deceduto) e al tempo figura chiave dell’internazionalizzazione di Cosa nostra.
Gli sporchi interessi della NATO
In questo giornale abbiamo più volte sottolineato come questo ecomostro serva anche per “creare una rete di mobilità militare sicura” volta a favorire gli interessi della NATO. Il Ponte sullo Stretto, infatti, “costituisce un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di importanti basi NATO nell’Italia meridionale”. Ad affermarlo è il disegno di legge (convertito in decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35) presentato nel 2023 dalla premier Giorgia Meloni e dai ministri Salvini e Giorgetti. A confermare l’esistenza di una dimensione militare nel progetto, che esula dal senso strettamente civile dell’infrastruttura, è anche l’Unione Europea.
Il ponte, infatti, rientra nel Trans-European Transport Network (TEN-T), il cui scopo, tra gli altri, è quello di creare una rete in grado di soddisfare “un piano d'azione sulla mobilità militare 2.0”. A sostenerlo economicamente ci pensa l’UE con i finanziamenti provenienti dal Connecting Europe Facility (che finanzia progetti di infrastrutture di trasporto a duplice uso) e dal Fondo Europeo per la Difesa (che sostiene lo sviluppo di sistemi logistici e digitali interoperabili).
Quindi, oltre alle possibili - per non dire “sicure” - ingerenze delle organizzazioni mafiose, come Cosa nostra e ‘Ndrangheta, anche la NATO sta investendo su questo progetto.
"Un approccio coerente e coordinato alla mobilità militare - si legge - è un interesse condiviso con la NATO. La mobilità militare continua a essere un 'fiore all'occhiello' per una cooperazione rafforzata e intensificata tra le due organizzazioni, in linea con i principi guida UE-NATO, con un'interazione e uno scambio di informazioni efficienti nell'ambito del consolidato dialogo strutturato tra personale". E la Commissione, come già anticipato, “sostiene il piano d'azione con strumenti di finanziamento quali il Connecting Europe Facility e il Fondo Europeo per la Difesa”.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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