Intervista a La Repubblica nella speranza che si arrivi a “dipanare i nodi che rimangono"
"Il processo del 20 febbraio servirà a questo, a dipanare i nodi che rimangono". Lo spiegano Paola e Claudio Regeni, genitori del ricercatore ucciso in Egitto, in un'intervista a Repubblica. "Affrontiamo il processo sapendo i nomi, ma sappiamo bene che coinvolti nel rapimento, nelle torture, nella morte di Giulio c'è una catena di oltre 50 persone che arriva molto in alto. Essere arrivati al processo è già un essere arrivati oltre le aspettative, sia di chi ci vuole bene, sia di chi non ce ne voleva e non ce ne vuole granché", proseguono sottolineando che il loro riferimento è alla "politica". "A quei sei governi che si sono succeduti dai quali abbiamo ricevuto tante promesse, ma pochissimi fatti. Questo governo ci ha fatto sapere che l'Egitto e Al Sisi avrebbero collaborato al cento per cento - proseguono -. Eppure, alle nostre continue richieste di incontrare l'ambasciatore egiziano a Roma non sono mai arrivate risposte. Nemmeno una di cortesia. Ignorati, come se non esistessimo". "Abbiamo un governo che non è stato neanche in grado di dire all'ambasciatore egiziano di incontrarci. Ai primi di ottobre, poi, dopo il via libera al processo, il nostro ministro degli Esteri ha addirittura sentito il bisogno di avvisare il Cairo della decisione della Corte. L'Italia che avverte l'Egitto, quasi come a scusarsi, perché non è riuscita a fermarci - spiegano Paola e Claudio Regeni -. Questo governo in particolare ha l'obiettivo principale di incrementare gli affari le buone relazioni con l'Egitto: scambi commerciali e vendita di armi, come se Giulio non fosse stato assassinato". Quello che ora intravedono questi due genitori dopo tutti questi anni di battaglie è "la verità, seppur in una piccola parte e ancora in lontananza. Ma c'è. E poi giustizia - concludono -: quella che ci darà una sentenza espressa da una corte italiana. Sarà importante per noi. Ma, credeteci, non soltanto per noi".
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