A Catania per il 40° anniversario dell’omicidio mafioso presente anche lo storico redattore de I Siciliani
Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 7-01-2023
“Quello che faceva paura di Fava, in modo particolare a coloro che questa notte hanno brindato a Catania, non era il 'colpo' nascosto nel cassetto o la rivelazione sensazionale, bensì l'analisi puntuale che faceva. E soprattutto il fatto che quest'ultima non rimaneva chiusa in un cassetto, ma andava in stampa regolarmente, senza iattanza, senza paura e con la massima serenità”. Diceva così Riccardo Orioles, uno dei giovani redattori de I Siciliani, rispondendo alle domande dell’inviato Rai a poche ore dall’assassinio mafioso di Pippo Fava. Dietro di lui la rotativa che lavorava a pieno regime. Cosa nostra aveva appena ucciso il loro direttore e non si poteva rimanere in silenzio. Fava quella sera aveva lasciato la redazione del suo giornale per recarsi al teatro Verga di Catania. Doveva prendere la nipote che si sarebbe esibita con “Pensaci, Giacomino!”, di Pirandello. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu ucciso da cinque proiettili alla nuca. Per l’omicidio vennero condannati il boss catanese Nitto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano (rispettivamente come mandante ed esecutore materiale).
Venerdì scorso, nella provincia etnea, si è tenuta la manifestazione in memoria di Pippo Fava. Centinaia le persone che si sono messe in cammino da Piazza Roma, luogo di partenza del corteo, per raggiungere il Teatro Stabile all’angolo del quale si trova la lapide. “Qui è stato ucciso Giuseppe Fava. La mafia ha colpito chi con coraggio l’ha combattuta, ne ha denunciato le connivenze, col potere politico ed economico, e si è battuto contro l’installazione dei missili in Sicilia”. Fava era un "profeta" armato di penna e arte, lui che amava il teatro. Intuì il grande gioco del Potere all'interno del Sistema criminale. Era una voce libera e per questo andava eliminata.
Tra i presenti in Piazza Roma c’è anche Orioles. Prima di venerdì scorso non lo avevo mai incontrato personalmente, anche se ogni tanto ci siamo sentiti al telefono. È stata una delle prime persone che mi contattò quando il 23 maggio scorso a Palermo le forze dell’ordine caricarono un corteo popolare indetto da studenti, associazioni e sindacati per commemorare il 31° anniversario della strage di Capaci. Voleva sapere cosa fosse successo “da quelle parti” , pronto - nonostante gli acciacchi fisici - a scendere in campo perché “quando i fascisti menano, i compagni rispondono”. Come biasimarlo, quella volta le forze dell’ordine furono veramente “capaci di tutto”, come titolò l’indomani Il Manifesto.
Nonostante il tempo trascorso dall’omicidio di Pippo Fava, Orioles ne parla ancora al presente, come se fosse vivo. E forse non ha tutti i torti. Quando si è veramente compagni di vita, la morte è solo un distacco fisico. L'unione continua nelle idee.
Appena ci incontriamo mette subito mano al suo gilet, pieno di tasche. “Dove si è nascosta la mia dannata pipa”. Al posto della pipa trova una Pennetta USB che mette sul tavolo: “Tieni, questa è per te. Ci sono alcuni documenti che potrebbero esserti utili. Studia ragazzo mio”. Orioles ama stare con i giovani e scherzare. “Un po’ come Pippo Fava”, mi dice mentre lascia squillare il telefono perché intento a organizzare il suo prossimo scherzo.
Quarant’anni dopo, per ricordare il suo amico, Orioles mi racconta un aneddoto di quando Pippo Fava, rimasto senza lavoro dopo che venne licenziato dal Giornale del Sud, si rimboccò le maniche e con i suoi collaboratori fondò una cooperativa. Si chiamava Radar e serviva a finanziare il nuovo progetto editoriale. I Siciliani, appunto.
“Immagina che c'è una riunione della cooperativa. E c'è la discussione - dice Orioles -. Pippo Fava arriva dopo un'ora e mezza. 'Scusate ragazzi ho avuto un problema’, ci dice. Noi, che eravamo giornalisti, indaghiamo e scopriamo che Pippo Fava aveva visto i ‘carusi’ (i bambini, ndr) che giocavano in strada col pallone e si era messo a giocare con loro. Dimenticandosi completamente della riunione della cooperativa. Ecco, questo è Pippo Fava. Capisci? Non è una cosa triste, ma gioiosa. Non riesco ad essere triste pensando a lui. Pippo Fava è quello che si mette la cravatta in due occasioni: al matrimonio di suo figlio e il giorno in cui lo cacciano dal giornale. Noi lo occupiamo e lui viene a dire la sua. È veramente un uomo bello, simpatico. Unico”.
Orioles non riversa in ottime condizioni di salute, ma nonostante i dolori del tempo la sua testa non molla e con essa anche la grinta e la voglia di fare. "Avrò anche il bastone, ma ciò non significa che sono impedito nell'intelletto. Per cambiare non serve fare il partito o il gruppetto. Devi fare rete. Non te lo dimenticare Jamil”, mi dice. Non smette di dare consigli, nonostante non ami definirsi un "leader". Anzi, lo detesta proprio.
Cresciuto a Vicolo Paternò, nella centralissima Palermo degli anni ’50, Orioles, come Fava, è un giornalista di vecchio stampo. Uno di quelli che i pilastri dell'antimafia di un tempo li ha conosciuti vivi e ha avuto l'onore di parlarci e di custodirne anche alcune confidenze. Come quella che gli fece Paolo Borsellino in persona, con la precisa richiesta di non farne parola alcuna per nessun motivo al mondo. Una promessa che ancora oggi resiste nonostante siano passati 32 anni dalla strage di Via d'Amelio e nonostante, con molta probabilità, quella confidenza non abbia più nessuna valenza processuale. “Ti posso solo dire che si tratta di alcune opinioni che Borsellino aveva su alcune presone dentro al Tribunale di Palermo”. Poi torna subito su Pippo Fava, e con un grande sospiro mi dice: “Sono passati 40 anni e ne stanno cominciando altri 40. Ma non mi chiedere cosa resta di Fava perché altrimenti ti rispondo: ‘Sta minchia’”, mi dice ridendo. “Oggi ci sono questi ragazzi - continua indicandomi alcuni giovani che scrivono per I Siciliani Giovani -. In loro c’è una concezione di grande serietà artigianale per questo mestiere. Per l’arte del giornalismo”. “Lo strumento di lavoro più importante per un giornalista sono le scarpe - continua Orioles -. Non puoi stare dietro una scrivania. Il giornalismo non nasce e non si esaurisce col rimpasto di un'agenzia. Al contrario, è indagine, approfondimento, analisi dei contesti in esame nella loro interezza, nella loro complessità. E soprattutto ricerca e cura delle fonti. Come faceva Pippo Fava, appunto”.
A questo punto gli chiedo se Cosa nostra sia cambiata in questi 40 anni. E se sì, come. Non si fa attendere la risposta. “Immagina di avere una tazzina di caffè in una mano e un po’ di zucchero nell’altra - mi risponde -. Se io li mischio, c'è più caffè o più zucchero? Dietro a questo quesito c’è la risposta che cerchi. Se c'è poco zucchero il caffè è amaro e non lo digerisci, se invece c'è né troppo il caffè perde il suo sapore. Serve il giusto dosaggio. La mafia è un sistema di potere. E in quanto tale anche lei ha bisogno di un equilibrio”. E ancora: “Analizzando il nostro PIL siamo il Paese che in Europa produce più mafia, ma anche più antimafia. Ecco, forse dovremmo partire da questo dato per comprendere cos'è cambiato in questi 40 anni e cosa ci aspetta nei prossimi”, continua mentre nel frattempo ha trovato la sua “dannata” pipa. Un paio di tiri e boccheggi e poi torna a spiegarmi. “In questi 40 anni sono cambiate tante cose, e altre sono rimaste uguali. Se parliamo di governo, ad esempio, molto è cambiato. In meglio? In peggio? Io ho un’idea. Quello attuale, ad esempio, non è assolutamente un governo di ‘destra-destra’ come alcuni lo chiamano. Diamo il giusto nome alle cose: è un governo fascista. E lo dimostra la fiamma che il partito di maggioranza ha nel suo stemma: identico alla fiamma del vecchio MSI”.
Nel frattempo, Piazza Roma si riempie sempre più di persone. Orioles, però, a differenza degli altri anni questa volta non marcia per motivi di salute. Prima di salutarci gli faccio un'ultima domanda, forse scontata, sicuramente ingenua. "Riccardo, come si diventa un buon giornalista?" Mi risponde: "Come fai per andare in paradiso? Vendi tutto ciò che hai e lo dai ai poveri". Devo essere sincero: sto ancora meditando su quelle parole. Incerto se si trattasse dell’ennesima battuta sarcastica tipica del suo essere giocoso - per eludere la risposta, ovviamente -, oppure se effettivamente volesse trasmettermi un messaggio più profondo. Probabilmente entrambe le cose. Come Orioles, d'altronde: un grande giornalista ma anche perenne ragazzino. Quel giovane siciliano di Vicolo Paternò rinchiuso in un corpo che porta i segni dalla storia della Sicilia. E del Paese tutto. Lui che assieme a Fava ha avuto il coraggio di lottare. "Ciao Jamil, fatti sentire. E salutami la banda. Tutta".
In foto di copertina: Jamil El Sadi e Riccardo Orioles @ Angelo Vitale
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