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A 44 anni dall’omicidio del presidente della Regione Sicilia resta ignoto il killer, ma ora sappiamo moventi e presunti mandanti

Palermo, 6 gennaio 1980. Quella mattina di Epifania Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, era appena salito sulla sua Fiat 132; con lui, pronti per dirigersi in chiesa a celebrare messa, la moglie, Irma Chiazzese, i due figli (Maria e Bernardo) e la suocera. Pochi istanti prima di mettere in moto, la quiete di una sonnacchiosa via Libertà venne frantumata dai sordi colpi di pistola esplosi a due passi dal finestrino dell’auto. Il presidente della Regione Piersanti Mattarella, leader politico del riscatto e di una nuova rivoluzione siciliana ispirata ai valori dell'antimafia, fu ferito a morte. A nulla valsero i soccorsi. A proteggerlo non c’era nessuno: il presidente rifiutava la scorta nei giorni festivi, voleva che anche gli agenti si godessero le loro famiglie.

Il primo a precipitarsi a dare aiuto fu il fratello Sergio, che qualche decennio dopo è diventato il Capo dello Stato. L'immagine dell’attuale presidente della Repubblica intento ad estrarre il cadavere crivellato del fratello dalla vettura venne immortala dalla storica fotografa palermitana Letizia Battaglia, che per puro caso stava proprio passando per via Libertà in quel momento. Uno scatto struggente, oggi tra i più celebri della defunta fotoreporter de L’Ora.

L’omicidio di Piersanti Mattarella fu tra i più eccellenti dei tanti che hanno insanguinato la Sicilia. E, come tale, fu avvolto fin da subito dal mistero. A quale mondo criminale apparteneva l’uomo in giacca a vento che fece fuoco quel 6 gennaio? Al mondo di Cosa nostra o al mondo neofascista? Il suo delitto va incasellato in seno alle uccisioni eccellenti dei politici che si mettevano di traverso alla mafia come Michele Reina, Placido Rizzotto e Pio La Torre, o bisogna incasellarlo nel marasma della strategia della tensione di quegli anni? O magari sia l’una che l’altra. Per il delitto vennero condannati all'ergastolo i boss mafiosi Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo ProvenzanoGiuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci quali mandanti dell'omicidio. Del resto, via Libertà rientra nel territorio del mandamento di Resuttana, governato da Francesco Madonia, che oltretutto, secondo alcuni collaboratori di giustizia, avrebbe avuto legami con esponenti dei Servizi segreti. La stessa dote in possesso del figlio, Nino Madonia, mafioso di tanti misteri e relazioni mai svelate con uomini delle istituzioni, temuto anche da Riina. Questi somiglia molto al terrorista dei Nar Giuseppe Valerio Fioravanti, l’uomo con la giacca a vento e lo sguardo di ghiaccio identificato, in aula, da Irma Chiazzese quale killer del marito. "Esaminando le fotografie - avevano scritto i giudici nel 1998 - balza all'evidenza una solare somiglianza tra i due (Madonia e Fioravanti, ndr) che hanno tratti somatici molto simili sia con riferimento al colorito degli occhi, all'altezza, al taglio e al colore dei capelli e comunque ai tratti complessivi del viso, anche l'età dei due, poi, appartiene alla stessa fascia".

All'epoca, però, queste indicazioni non avevano portato ad alcun approfondimento. Eppure, erano molto dettagliate, la corte citava le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo: "Bernardo Brusca, componente della commissione provinciale, mi ha detto che il delitto Mattarella l'ha fatto Nino Madonia". Commento dei giudici: "Peraltro, nell'ottica di un delitto voluto e deliberato dalla commissione all'unanimità, non regge, sul piano logico, l'impiego di killer esterni all'organizzazione mafiosa. L'ottica dello scambio di favori - prosegue la sentenza - ha un senso per i terroristi neri che avrebbero tratto grande vantaggio dall'aiuto della mafia, ben più radicata nel territorio. Lo stesso non è a dirsi per Cosa nostra, alla quale non fanno difetto né armi di qualsiasi tipo, né killer abili e spietati".


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Il corpo assassinato del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, tra le mani di suo fratello Sergio, attuale Presidente della Repubblica © Archivio Letizia Battaglia


Ma anche quella neofascista non è da escludere. La cosiddetta "pista nera" fu per prima battuta dal giudice Giovanni Falcone, che puntava sulla colpevolezza dei terroristi dei Nar Gilberto Cavallini e Fioravanti (poi assolti). Secondo l'accusa i due, coinvolti in un altro attentato, quello alla stazione di Bologna del 2 agosto dello stesso anno, nei giorni dell'omicidio si sarebbero trovati a Palermo, trovando appoggio in personaggi dell'estrema destra palermitana.
Lo stesso fratello di Giusva Fioravanti, Cristiano, dopo essere stato arrestato nel 1981, collaborando coi magistrati disse, come ricordava a Report l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato: “Io so, perché me lo ha confidato lui stesso, che Valerio Fioravanti ha ucciso un politico siciliano che identifica in Piersanti Mattarella, insieme a Gilberto Cavallini e racconta alcuni particolari dell’omicidio”. “Su di lui si svolse - spiegava l’attuale senatore - una pressione fortissima da parte del padre perché non accusi il fratello e allora a un certo appunto ammette di avvalersi del cod. di procedura penale che vale per i familiari di non testimoniare contro un proprio parente”.

Negli anni successivi alla morte di Falcone prese poi corpo l'ipotesi dell'assassinio per mano mafiosa. Ipotesi suffragata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso BuscettaFrancesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo. E poi certificata in sentenza. Ma la pista nera resta in piedi ancora oggi, nonostante, dopo tanti anni, sia difficile trovare analogie tra i proiettili usati il 6 gennaio e le armi dei Nar. “Si stanno facendo passi avanti significativi”, ha commentato ieri il sostituto procuratore generale di Cassazione Antonio Balsamo ad AdnKronos. “Sono stati eliminati alcuni ostacoli che si erano frapposti per la ricerca della verità e ci sono i presupposti per un lavoro giudiziario incisivo, ma anche per una ricostruzione storica condivisa, per una memoria storica”.

Le indagini di Falcone e il movente del delitto

Giovanni Falcone nel 1989 parlò con l’estremista palermitano Alberto Volo, professore ed ex militare della Folgore a Pisa, nonché migliore amico del neofascista ex MSI e ed Ex Ordine Nuovo Francesco Mangiameli, che gli disse, come spiegò a ‘Report’ l’ex sostituto procuratore di Palermo Roberto Tartaglia, che “l’omicidio di Piersanti Mattarella è stato realizzato da Fioravanti e da Cavallini. E che questa decisione nasce da una volontà politica e massonica che lui ascrive in quei verbali direttamente alla volontà di Licio Gelli di arginare definitivamente l’apertura a sinistra della DC e di interrompere quel nuovo tentativo di riprendere il vecchio discorso lasciato in sospeso con il sequestro Falcone. Disse anche che tutte queste cose le sa non solo perché amico di Mangiameli ma perché appartiene ad una organizzazione paramilitare di servizi italiani e americani che lui definisce ‘Universal Legion’, non parla di Gladio, però ci assomiglia molto. E poi c’è un dato: lo stesso Volo lo definisce in un verbale come una specie di ‘rosa dei venti ma più complicata e complessa’”.

Mattarella, infatti, avrebbe pagato con il sangue il suo progetto di modernizzare l'amministrazione regionale in nome della legalità. L’ex presidente della regione siciliana, negli anni, era diventato punto di riferimento della corrente legata ad Aldo Moro, era orgogliosamente in aperto contrasto con il sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e con quel mondo  democristiano che orbitava attorno a Cosa nostra.

Mattarella pagò la sua linea “morotea” di apertura ai comunisti. Apertura iniziata dall’ex presidente della Regione già nel 1978. Non è un caso, infatti, che Mattarella venne assassinato un mese prima del congresso della DC che lo avrebbe nominato, con buonissime probabilità, al vertice del partito, diventando il vice segretario nazionale della DC.


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Antonio Balsamo


Si trattava di un congresso decisivo, come dichiarò lo stesso Sergio Mattarella, dove la corrente di Benigno Zaccagnini, e quindi di Mattarella, si scontrava con la corrente di destra della DC che invece voleva chiudere ogni possibilità di qualsiasi apertura al Partito Comunista e quindi chiudere definitivamente la linea del segretario del partito Aldo Moro.

Dalla sentenza per la strage di Bologna del 1980 contro i terroristi neri emerge che l’omicidio dell’ex presidente della Regione siciliana non è stato solo un omicidio di mafia, ma anche un omicidio politico che nasce all’interno di un contesto di mafia e di “antistato”.

D'altronde, l'omicidio dell’ex presidente della Regione siciliana “e quello dell'onorevole Aldo Moro”, per la Corte d'assise di Bologna, “furono precisi momenti attuativi” di una “strategia” in cui è compresa anche la strage del 2 agosto. Strage per la quale sono stati condannati sia Fioravanti (in via definitiva) che Cavallini (condannato in appello). Per entrambi, Falcone emise mandati di cattura per omicidio e favoreggiamento.

Non mi si vorrà fare credere - disse Falcone, citato da Antonio Balsamo - che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa nostra nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi”.

L’eredità del presidente e il ricordo di Antonio Balsamo

A distanza di anni gli esecutori materiali non sono mai stati identificati; le ombre attorno a quel tragico episodio non si sono ancora diradate. Di Piersanti Mattarella, ricordato oggi a Palermo, resta la lungimiranza e l'esempio di un politico che credeva nel riscatto dell'Isola, che progettava il rinnovamento delle istituzioni e la loro liberazione dalla logica e dal mondo mafioso. “Un aspetto fondamentale del progetto di innovamento portato avanti da Piersanti Mattarella”, ha ricordato Balsamo. “E’ la sua capacità di valorizzare nel contesto internazionale la Sicilia, come esempio paradigmatico delle grandi potenzialità che hanno i Paesi del Mediterraneo per lo sviluppo dell’intera costruzione europea. E’ questo il significato profondo del suo impegno per una Regione ‘con le carte in regola’. La capacità di Mattarella di creare un rapporto di fiducia e di stima profonda con i più autorevoli leader internazionali, queste sono cose più attuali che mai. A ciò - ha aggiunto Balsamo - si univano misure estremamente incisive per la trasparenza dell’azione amministrativa, e la capacità di suscitare un forte senso di passione per l'impegno in favore della collettività, mobilitando le energie migliori presenti nella società”.

L’ex presidente del Tribunale di Palermo ha poi concluso il ricordo dell’ex presidente della Regione sottolineando che “quella che è stata definita nella sentenza di Bologna come una 'convergenza operativa tra mafia e antistato', adesso è un tema al centro dell’accertamento processuale in corso”. “L’anno prossimo - ha proseguito - credo che potrebbe esserci una sentenza definitiva, che può costituire un passo avanti importante verso la ricostruzione, non solo giudiziaria ma anche storica, più corretta di tutta questa vicenda”.

Foto di copertina © Archivio Letizia Battaglia

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