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Dopo l’archiviazione del boss calabrese D’Onofrio parla la figlia del procuratore Bruno Caccia

La verità sull’omicidio di mio padre? Non penso uscirà mai. Potrebbe scardinare alcuni equilibri attuali; se non politici, comunque di potere. Sicuramente a qualcuno dà fastidio”. È un fiume in piena Paola Caccia, figlia del procuratore capo di Torino Bruno Caccia ucciso 40 anni fa, raggiunta dai nostri microfoni per commentare l’archiviazione definitiva del boss calabrese Francesco D’Onofrio, ex militante di Prima Linea, accusato dell’omicidio. Non la ferma nemmeno il Covid e va dritta al punto: “Alcuni soggetti hanno messo i bastoni fra le ruote nelle ultime indagini, cioè dal 2013 ad oggi. Non abbiamo avuto il sostegno morale da tutti”. A pochi giorni dal 40° anniversario dell'assassinio del Procuratore capo di Torino, la procura generale di Milano aveva chiesto l’archiviazione per D’Onofrio. Con la decisione assunta ieri dal gip di Milano Mattia Fiorentini. Il boss calabrese, che si è sempre proclamato estraneo all’agguato di 'Ndrangheta del 26 giugno 1983 in via Sommacampagna a Torino, esce dunque dall'inchiesta definitivamente. La famiglia Caccia aveva deciso di proporre opposizione a questa istanza tramite il legale Fabio Repici. Di D'Onofrio, già condannato anche per armi, residente a Moncalieri, aveva parlato il collaboratore di giustizia Domenico Agresta che già nei primi verbali resi alla Dda di Torino nel novembre 2016 affermava di aver appreso (in carcere e da fonti di alto rango criminale, tra cui il padre Saverio Agresta) che a sparare al procuratore fossero stati Rocco Schirripa (già condannato all’ergastolo con pronuncia definitiva) e proprio D’Onofrio. Ma i magistrati di Milano non avrebbero trovato riscontri sufficienti ad avvalorare questa tesi e quindi processare il boss calabrese.
La famiglia da sempre sostiene che ci sono ancora molte ombre e misteri legati alla morte del primo magistrato ucciso nel Nord Italia. Un omicidio di alto livello che vede la partecipazione di più aggregati criminali in una convergenza di interessi. Non solo di matrice 'ndranghetista, come ha più volte sottolineato l'avv. Repici.

Paola, cos'ha pensato appresa la notizia su D’Onofrio?
Mi è parso evidente che ora è tardi.

Ci sono state carenze nelle indagini?
Dal primo processo in poi non è stato utilizzato tutto il materiale. Le maggiori carenze, le più gravi, sono state nel primo processo, quello a carico di Belfiore (uno dei mandanti dell’omicidio Caccia, ndr). Mi riferisco a carenze di indagini macroscopiche. Nel secondo processo, invece, si è ristretto il perimetro delle indagini a carico di una sola persona amica di Belfiore. Non si è indagato su ciò che noi (parte civile, ndr) avevamo suggerito.


caccia paola 19luglio1992

Paola Caccia


Possiamo dire, però, che la Procura generale di Milano si è distinta?
Si, diciamo che la Procura generale di Milano ha lavorato bene, perché per la prima volta noi familiari siamo stati sentiti. E assieme a noi sono stati ascoltati anche alcuni colleghi magistrati di mio padre, fino ad allora mai interrogati prima. Nonostante tutto però, come ha evidenziato il nostro legale, l’avv. Fabio Repici, ci sono ancora cose che non sono state approfondite.

Quindi continua ad esserci una visione frammentata dei fatti?
Si, sembra che lo facciano apposta per non avere problemi. Noi stessi, come familiari, per tanti anni non ci siamo resi conto di questo aspetto perché avevamo una fiducia cieca nella magistratura. La storia della nostra famiglia ha un legame antico con la magistratura. Non ci siamo posti nessun problema, dunque. Purtroppo, col tempo ci siamo resi conto che si poteva fare molto di più.

E ora?
Ci restano poche certezze. Una su tutte: sono passati 40 anni, quindi molti testimoni e persone coinvolte sicuramente sono morte.

Resta la speranza?
Certamente. La speranza resta così come l’ingenuità con cui ci auguriamo che qualcuno racconti ciò che sa. Sicuramente c’è tanta gente che sa su questo caso e non ha mai aperto bocca. Abbiamo anche la speranza che qualche procura coraggiosa allarghi il campo di indagine.

Alla ricerca di una visione unitaria, giusto?
Gli omicidi eccellenti sembrano essere tutti collegati. O comunque sono accomunati da uno stesso copione che prevede, dopo la consumazione del delitto, la sparizione di documenti importanti della vittima. Ad esempio, l’agenda rossa di Paolo Borsellino, i documenti dal computer di Giovanni Falcone, i documenti del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa. A mio padre, invece, gli hanno preso le chiavi della cassaforte mentre si trovava esanime sul marciapiede. E, come se non bastasse, per due giorni dopo il delitto non sono stati messi i sigilli nel suo ufficio in Procura. Io e mio fratello siamo andati e abbiamo potuto toccare cose di papà. Come noi chissà quante altre persone.

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