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Il recentissimo caso del Presidente di Confindustria Catania Angelo Di Martino (in foto), coinvolto nell’inchiesta antimafia “Doppio Petto”  in cui è emerso che il gruppo imprenditoriale di famiglia pagava “regolarmente” il pizzo da 20 anni, ha nuovamente riaperto il dibattito - in realtà mai chiuso - su quale sia oggi la vera antimafia, al netto di tutte le vicende che periodicamente ci vengono riportate dalle cronache giudiziarie.
Sembra essere, dopo tanti anni, pura utopia l’idea che la politica possa assumere una posizione seria rispetto al tema: non solo, le istituzioni sembrano sempre più deboli, complici e passive. Certa antimafia sembra essere diventata uno stanco rito, dove sempre le stesse persone ricordano i caduti della guerra: da un lato è amara, amarissima, la constatazione che un pezzo di società civile sia stata ormai trasportata a forza in un tourbillon fatto di emozioni, memoria, ma anche disillusione e una certa sensazione di tradimento; dall’altro tutta quella parte insana di istituzioni a tutte i livelli che hanno dietro la facciata di una fonte antimafia hanno celato le loro trame ed i loro affari illeciti.
Quanti sono i personaggi che grazie all’antimafia sono diventati politici e hanno ricoperto ruoli di prestigio scendendo anche a compromessi proprio con chi è stato coinvolto con le mafie? Tanti, troppi. Qualcosa si è rotto evidentemente, e da tempo: l’antimafia, quella vera, è un modo di essere, non può e non deve diventare professione, è una sorta poi di condizione etica di base dell’essere umano, non una categoria autoreferenziale nella quale sono gli stessi esponenti del gruppo che decidono chi è dentro, chi è fuori, chi conta, chi non conta nulla.
L’antimafia di facciata che purtroppo è spesso prevalente e che a lungo andare sta provocando una enorme, e voluta, confusione, fino a non riuscire più a distinguere quale sia il confine tra mafia e  antimafia, non in maniera pulita, netta, risponde ad un vero e proprio piano "eversivo": una regia che muove le cose e le persone in un ambito importantissimo ma al contempo delicatissimo.
E allora ci piace pensare che l’antimafia oggi sia quella di chi la pratica, quasi inconsapevolmente, per “spirito di servizio”, a chi fa in modo che se ne parli nelle scuole, nelle piazze, nei mezzi di comunicazione: alle forze dell’ordine, a pochi coraggiosi magistrati degni eredi di Falcone e Borsellino. A chi non cerca il consenso o il fondo pubblico e privato spesso frutto di compromesso. Appartiene a chi va contro corrente, tiene la schiena dritta e cerca di raccontare la verità.
L’antimafia si pratica non si manifesta.

Foto © Imagoeconomica

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