Ospite anche Lia Sava: “Apriamo gli archivi o qualche anziano racconti come sono andate le cose durante le stragi”
"La cattura di Matteo Messina Denaro è un punto ma non segna la fine, piuttosto un inizio”. È la frase a più riprese ripetuta dal Procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia intervenuto domenica 24 sera durante la presentazione del libro scritto a quattromani con il giornalista di “la Repubblica” Salvo Palazzolo (“La Cattura”, Ed. Feltrinelli) presso l’atrio della biblioteca comunale di Casa Professa. Accanto agli autori erano presenti anche la procuratrice generale di Palermo Lia Sava e Umberto Lucentini, giornalista del “Giornale di Sicilia” che ha moderato l’incontro.
L’atrio era gremito di persone, molte delle quali addirittura in piedi evocando il ricordo di quando 31 anni fa, il 25 giugno 1992, a un mese dai funerali di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, Paolo Borsellino prese la parola al convegno organizzato dalla rivista Micromega per ricordare il giudice ucciso accusando “i Giuda” che tradirono l’amico fraterno. Domenica sera si è potuto respirare un clima assembleare e cittadino fra persone comuni e rappresentanti delle alte cariche civili e militari. Tutti pronti ad ascoltare il backstage di questo libro, ciò che non è stato scritto e che si nasconde dietro le closure della cattura del super boss Matteo Messina Denaro.
“La Cattura racconta una storia che appartiene a tutti - ha detto Palazzolo -. Siamo moltissimi questa sera e questo rende omaggio a chi ha portato avanti negli anni la lotta alla mafia. Perché scrivere questo libro? Perché è necessario raccontare i fatti. E non è una questione solo da giornalisti. Ho trovato il senso di questo libro nelle parole di Mattarella quando lo scorso 3 settembre ha sottolineato come lotta alla mafia deve avere il contributo di tutti”. Il Capo dello Stato, nel giorno commemorativo della strage di via Carini che costò la vita al Generale dalla Chiesa, alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo, ricordò come “dall’efficacia delle azioni di contrasto e di prevenzione, dai germi di consapevolezza che la società, le famiglie, la scuola, il terzo settore sapranno far sbocciare nelle giovani generazioni, dipendono la stabile affermazione della cultura della legalità e lo sviluppo di durature prospettive di progresso economico e sociale”.
“La Cattura” ha il grande merito di “ricostruire la storia in maniera semplice”, ha detto il procuratore de Lucia. Lui che si è trovato a coordinare le indagini e aver raggiunto l’obiettivo poco dopo il suo insediamento a Palermo, non ha nascosto le difficoltà. Non solo nelle attività di indagine, ma anche nella scrittura del libro assieme a Palazzolo. Ha dovuto ammettere - se questo è il termine giusto - di essere sia analista sia testimone dell’arresto del boss. “Con Matteo Messina Denaro si chiude un periodo di storia di Cosa nostra che è anche di Palermo e della Sicilia - ha sottolineato il magistrato -. Tutti gli stragisti del periodo corleonese sono stati catturati e condannati dalla Repubblica. Un grande successo ottenuto con gli strumenti del diritto con cui abbiamo combattuto lo scontro terribile contro la Cosa nostra del ’92, quella che fece gli attentati e le stragi”.
Nel parlare la sua compostezza viene tradita da un sorriso di soddisfazione, ma è comprensibile per chi fa parte di quella generazione arrivata a Palermo a cavallo delle stragi. Lui che si insediò 20 giorni prima dell’assassinio di Rosario Livatino, ha vissuto nella sua interezza il periodo in cui “i magistrati venivano uccisi”. Erano gli anni in cui “in Sicilia arrivavano i giudici ragazzini. E io ero uno di quelli, forte delle armi del diritto”. Aver posto fine alla latitanza dorata di Matteo Messina Denaro “ha rappresentato un segno di onore per tutti noi - ha aggiunto de Lucia -. Sentirsi partecipi di un successo che non è solo della Procura di Palermo, dei Carabinieri del Ros e dei poliziotti che per anni hanno messo l’anima nella ricerca di MMD, ma è per tutti i cittadini che vogliono sentirsi liberi in questa città”.
Parole condivise anche da Lia Sava, la quale ha evidenziato i tre piani di lettura del volume. Il primo quello investigativo. Gli autori, infatti, “raccontano e decriptano il metodo sistemico attraverso cui la Procura e la Dda di Palermo sono arrivate alla cattura del boss”. In secondo luogo, c’è “l’analisi storica, sociale e culturale su cos’è la mafia oggi”. E quindi “l’importanza fondamentale di parlare di questi argomenti in questo momento storico in cui percepisco una società civile che a tratti si distrae”. Infine, c’è il piano dell’analisi sistemica del libro che “è un piano di prospettiva futura che ci riguarda tutti e sulla quale tutti dobbiamo interrogarci e domandarci per comprendere cosa siamo chiamati a fare oggi”. Attorno a queste tre chiavi di lettura ruota la figura del boss di Cosa nostra le cui condizioni di salute si aggravano sempre più.
Ed è all’attualità che Maurizio de Lucia rivolge particolare attenzione. “Cosa nostra è un'organizzazione criminale che, come Giovanni Falcone ha insegnato, è capace di dialogare con soggetti esterni - ha detto -. Oggi c’è una borghesia che cammina tra l’indifferenza e la complicità”. Un’ampia fetta di borghesia, infatti, stando alle recenti attività investigative, “ha voglia di mafia perché rappresenta una forma di risoluzione dei problemi. Non ci si rivolge quindi allo Stato. Al contrario, avanza l’abitudine a trovare le scorciatoie che alla base hanno sempre la violenza. Questo è ciò che rende forte Cosa nostra”.
L’organizzazione mafiosa oggi “è indebolita ma trova la forza in coloro che gliela riconoscono anche se non ce l’ha - ha aggiunto -. Gli si riconosce una forza superiore rispetto a quella che in realtà ha. Cosa nostra oggi è privata del suo vertice. Siamo di fronte ad una struttura povera perché fra le cose fatte in questi 30 anni è averla impoverita. Attorno a Messina Denaro, per esempio, è stato sequestrato tutto il patrimonio possibile”. Il pericolo concreto, ha aggiunto il procuratore, si nasconde “nel traffico di stupefacenti grazie al quale Cosa nostra dialoga anche con altre consorterie mafiose. Se Cosa nostra resta forte, dunque, è perché riesce ancora a trovare complicità”.
Per svelare le complicità e le connivenze alte ed altre che hanno garantito la latitanza al boss, Lia Sava ha ribadito con forza la necessità che “le commissioni parlamentari istituite ‘ad hoc’ e gli archivi ancora coperti (dal segreto di Stato, ndr) ci aiutino a svelare i segreti. Il cerino non può essere lasciato in mano solo alla magistratura e alle forze di polizia. Tutto si deve tenere insieme per arrivare a verità completa anche con l’apertura degli archivi. È giunto anche il momento che qualche anziano racconti come sono andate le cose in quel periodo. Altrimenti lasciamo fare alla commissione parlamentare antimafia e alla storia”.
Foto © Paolo Bassani
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