Vullo si racconta ai microfoni di Adnkronos e parla del trauma che lo ha segnato: “Un inferno che non dimentichi”
Antonio Vullo, l’agente del servizio di scorta assegnato a Paolo Borsellino e unico sopravvissuto alla strage di via D’Amelio, si è sempre considerato un miracolato costretto a convivere quotidianamente con i terribili ricordi che lo legano a quel tragico 19 luglio del 1992. A distanza di 31 anni dall'eccidio che ha strappato via la vita ai suoi colleghi Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e al giudice Borsellino, Vullo è costretto a rivivere, giorno dopo giorno, quello che lui stesso ha definito “un inferno di fuoco e sangue”. Una scena impressa nella sua mente, alla quale basta veramente poco per riemergere. “Fumavo tra le otto e le dieci sigarette al giorno, l'ho fatto per dieci anni. Da quella domenica di 31 anni fa il fumo lo detesto. Quello che ho respirato in quei minuti in via D'Amelio me lo sono portato dentro”. Anche gli allarmi delle auto scattati nel momento in cui esplode la Fiat 126 imbottita di tritolo oggi rappresentano un doloroso collegamento sensoriale con quei momenti traumatici e impossibili da cancellare. “Gli allarmi avevano un suono particolare, adesso è difficile sentirlo, ma quando mi capita quel suono mi fa andare in tilt. Da quella maledetta domenica il mio modo di esistere è stato stravolto. Il 19 luglio per me è ogni giorno, perché ovunque io sia e qualunque cosa faccia ci sarà sempre qualcosa che mi riporterà a quell'istante, a quell’odore di bruciato che ancora sento”. L’agente di scorta sopravvissuto alla strage ha provato molte volte a dare una spiegazione logica a quello che gli è successo nel ‘92. Per molti, nonostante tutto, l’agente Vullo è stato fortunato perché è riuscito a scampare ad un attentato spaventoso che ha sventrato edifici e sollevato auto. Ciò nonostante, Antonio Vullo non sembra essere dello stesso parere. “Non so ancora perché sia toccato a me, ma è stato un miracolo e non una fortuna come molti mi ripetono. Vivere ogni giorno con questo peso non è affatto una fortuna. Essere l'unico sopravvissuto a quell'inferno di fuoco mi ha danneggiato sia fisicamente sia mentalmente. L'ho sentito e lo sento ancora come una grande colpa, anche se razionalmente so che non è così, che io ho fatto solo il mio dovere”. Ancora oggi, in via D'Amelio Vullo ci torna spesso, sia mentalmente che fisicamente, soprattutto quando ha bisogno di stare meglio con se stesso. “E’ il luogo in cui trovo pace. Ogni volta che, magari leggendo la cronaca sui giornali, la rabbia mi assale, vado là, davanti quell'ulivo. Mi fermo qualche minuto, da solo, e ritrovo la mia serenità”. Infatti, quel luogo di morte oggi è diventato anche luogo di speranza. Per questo motivo, il prossimo 19 luglio l'agente di scorta di Paolo Borsellino tornerà in via D'Amelio con l'obiettivo di ricordare alle giovani generazioni la necessità e il dovere di continuare il percorso intrapreso dai martiri della giustizia, che hanno sacrificato la propria vita. “Ci sarò anche il 19 luglio - ha assicurato -. Cerco di dare il mio contributo, anche se rivivere quei momenti è difficile e pesante. Lo faccio con il cuore, perché i giovani sappiano cosa è successo in via D'Amelio dalla voce di chi ha vissuto quell'orrore”. Anche se resta l’amarezza di chi, 31 anni dopo, è costretto a sopportare il sapore amaro della “mancata verità”. “Dietro quella carneficina - ha ribadito - non c'è solo la mafia. Credo che una trattativa tra pezzi deviati dello Stato e la mafia ci sia stata, ma le sentenze vanno accettate, anche se a malincuore. La storia del nostro Paese è costellata di tante mancate verità, da Emanuela Orlandi ad Aldo Moro, da Attilio Manca fino al piccolo Claudio Domino. Spero ancora che si possa arrivare a scoprire tutta la verità su via D'Amelio ma la vedo dura perché in tanti ancora non hanno la volontà di oltrepassare il limite, di arrivare a scoprire i tasselli mancanti. Per questo motivo - ha proseguito Vullo - le spaccature dell'antimafia mi amareggiano e mi feriscono, perché allontanano quella verità. Dobbiamo restare uniti perché c'è qualcuno che fa di tutto per non arrivare a quella verità". Antonio Vullo ha ricordato anche il momento in cui ha conosciuto il giudice Borsellino: il 31 maggio del ‘92, un periodo in cui c’era molta paura, dal momento che “tutti sapevano che dopo Giovanni Falcone lui era a rischio”. - prosegue - “Borsellino aveva l'apparenza di una persona dura, un po' burbera. Lo avevo visto sempre molto serio. Quando un collega delle scorte me lo presentò ero timoroso. Persino a dargli la mano. Invece, lui si avvicinò e mi allungò la mano. Mi ha chiesto 'Sei sposato? Hai bimbi?' Da quella stretta di mano ho capito che tipo di persona era: non un magistrato distaccato come tanti altri, ma un amico, una persona di famiglia. Questo suo modo di fare allentava la paura, anche se tutti conoscevamo a cosa andavamo incontro. Lo abbiamo fatto con tanta dedizione e amore perché sapevamo che stavamo dalla parte giusta dello Stato. Dopo Falcone - ha concluso Vullo - non sarebbe dovuto succedere. E' una delle più grandi vergogne della storia della nostra Repubblica”.
Fonte: Adnkronos
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