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Vittima innocente della barbarie mafiosa

“Noi abitiamo qui e non abbiamo nessuna voglia di andare via”. Da qui inizia il racconto di una storia tragica, di sangue: la storia di Michele Fazio. Iniziamo dalle parole di un uomo a cui il figlio è stato strappato dal caldo abbraccio paterno, troppo presto.

La storia
Michele nasce a Bari, il 21 settembre 1985. Viene da una famiglia umile, ma ricca di valori. Proprio l’amore per la famiglia, come testimoniato da chi più da vicino lo ha conosciuto, sarà uno dei tratti che meglio descriverà il giovane.
Una volta terminata la scuola media decide di andare a lavorare in un bar, per dare, economicamente, un contributo a casa, decidendo, comunque, di continuare gli studi presso l’istituto Vivante.

Bari vecchia, però, agli inizi del 2000, è un quartiere in cui vivono brave famiglie, come quella Fazio, ma anche tanti mafiosi. Le lotte intestine alla criminalità organizzata segnano di sangue le strade della zona. E come è prassi in queste occasioni, nella calda serata del 12 luglio 2001, dopo il boato degli spari, Lella e Pinuccio Fazio insieme ai figli rimangono chiusi in casa, non osando guardare oltre le tapparelle. È la piccola Rachele a dare l’allarme, riconoscendo il fratello steso a terra.
Sì, perché Michele era di ritorno verso casa, per passare una speciale serata di pizza e allegria con il padre, spesso fuori per lavoro.
Da lì le strade si svuotano e cala il silenzio. Il ragazzo era lì, esanime, disteso con la faccia a terra. A nulla servirà la corsa sfrenata dello zio verso l’ospedale Michele Fazio morirà poco dopo. Ucciso dalla mafia.

Il processo e le condanne
“Abbiamo ucciso un bravo ragazzo”, dirà uno dei killer, che era stato compagno di scuola del giovane Michele. Un bravo ragazzo, perché Michele così era conosciuto.

L’omicidio sarebbe avvenuto per vendetta. Michele sarebbe stato confuso con uno degli Strisciuglio. Qualche settimana prima, infatti, un altro fatto di sangue aveva segnato il quartiere: proprio per mano del clan Strisciuglio era stato ucciso un rivale dei Capriati, che avrebbero voluto subito dare una risposta.
Una lotta fra clan, per il controllo del territorio, che non conosce limiti, che non si ferma davanti a nulla e strappa la vita a giovani innocenti.

Dopo una prima archiviazione, nel 2003, il caso è stato riaperto. Le prime condanne sono arrivate nel 2005: quindici anni e otto mesi per Francesco Annoscia, diciassette per Raffaele Capriati. Nel 2016, infine, è stato condannato, a sette anni e sei mesi, anche il ragazzo che guidava lo scooter, Michele Portoghese.

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