Il giornalista durante il festival “Panorami” ricorda il libro “Il patto”: un successo giunto alla diciassettesima ristampa
“Questa è una storia vera che supera le trame di un romanzo di fantasia”. Lo ha detto il giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, ricordando il suo libro “Il patto. La trattativa fra Stato e mafia nel racconto inedito di un infiltrato”, edito da Chiarelettere e giunto alla sua diciassettesima ristampa. Difatti, Il Patto, scritto insieme a Nicola Biondo, anche lui giornalista e autore di diversi libri, è stato l’elemento centrale che ha catturato l’attenzione del pubblico presente al festival "Panorami", l’evento che dal 30 giugno al 2 luglio, dal suggestivo borgo medievale di Montefiascone, in provincia di Viterbo, si è occupato di letteratura, musica e cultura. “La forza di questo libro - ha proseguito Ranucci - è stata dimostrata nel tempo e dalla sua narrazione dei fatti”. I fatti a cui si riferisce il giornalista ruotano attorno a Luigi Ilardo, detto “Gino”. Ilardo è l’ex boss della mafia, divenuto confidente dei carabinieri, viene ucciso la sera del 10 maggio del ‘96 nei pressi della sua abitazione a Catania. Dopo aver scontato dieci anni di carcere, nel 1993 decide di iniziare a collaborare con lo Stato e lo fa da infiltrato all’interno di Cosa nostra con il nome in codice “Fonte Oriente” e con il valido aiuto di un carabiniere, il colonnello Michele Riccio. Il suo ruolo di infiltrato all’interno della mafia è importante perché “racconta la trattativa avvenuta tra alcune parti dello Stato e Cosa nostra. Ilardo ha raccontato per primo degli omicidi eccellenti che sono stati realizzati. Tra questi, quello di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e molti altri. Omicidi che, in realtà, non erano solo frutto di Cosa nostra, ma di un ‘consorzio’ che, in alcuni momenti, si unisce per determinare una storia fatta anche di massoneria, servizi segreti e destra eversiva. Ilardo è il primo che fa i nomi di personaggi presenti durante la strage di Capaci e fa il nome di Giovanni Aiello”, detto anche “faccia da mostro”: un poliziotto con il volto deformato da una fucilata, vicino ai servizi segreti e presente durante le stragi di mafia. Sempre Ilardo ha indicato i referenti di Cosa nostra; in particolare, indica “Marcello Dell'Utri come punto di riferimento per la politica di Cosa nostra e l’appoggio elettorale della mafia a Forza Italia e altri partiti politici. Addirittura - ha ricordato Ranucci - Ilardo fa il nome di Antonino La Russa, padre del nostro presidente del Senato, Ignazio La Russa. Come da informativa - ha precisato il giornalista di Report - La Russa padre era un’altra figura di riferimento”. Particolare non trascurabile: nel ‘95, “Ilardoconduce i carabinieri nel covo di Mezzojuso, dove il boss Bernardo Provenzano stava trascorrendo la sua latitanza”. Altro particolare non trascurabile, “Provenzano non viene arrestato perché il Ros dei carabinieri ritiene inopportuno fare un’incursione, dal momento che erano presenti troppi pastori”. Il bagaglio conoscitivo di Luigi Ilardo sembra essere talmente ricco di informazioni da provocare non pochi timori, forse anche ad alcuni personaggi esterni alla mafia. Il 2 maggio del ‘96, appena otto giorni prima di essere ucciso, Ilardo si rivolge direttamente al Ros dei carabinieri che ha deciso di non catturare Provenzano, il colonnello Mario Mori. “Lei sa che le stragi non sono opera solo di Cosa nostra, sono anche responsabilità di alcune parti dello Stato. Alle parole di Ilardo - ha ricordato Ranucci - Mori non risponde e si allontana stizzito”. Ma le circostanze, quantomeno anomale, che accompagnano la storia di Ilardo, ucciso poco prima di poter entrare nel programma di protezione, assumono una connotazione ancora più enigmatica quando, per un clamoroso errore di notifica, “un atto che lo riguarda, viene notificato per errore a casa di uno dei boss denunciati da Ilardo”. In quel preciso istante Cosa nostra viene a conoscenza che Ilardo ha iniziato un processo di collaborazione con lo Stato. “Il colonnello Riccio intuisce subito che qualcosa di pericoloso potrebbe accadere e, mentre prova ad avvisare con una telefonata Ilardo del clamoroso ‘errore di notifica’, apprende dal televideo che Ilardo è stato ucciso sotto casa”. Nel racconto che Ranucci ha offerto al pubblico del festival "Panorami" attraverso i microfoni di “Dark Side” - format presente su YouTube - il giornalista Rai ha ricordato anche alcuni punti che hanno caratterizzato la famosa “trattativa Stato-mafia” e il relativo processo dove, ancora una volta, troviamo Mario Mori. “Qualcuno ha detto che la trattativa è stata un’invenzione dei magistrati e di alcuni giornalisti - ha ricordato Ranucci - ma il termine ‘trattativa’ è stato utilizzato proprio da Mori all'interno di una pubblica udienza del ‘95. A Firenze, Mori ha detto di aver iniziato una sua trattativa con Vito Ciancimino: corleonese legato non solo a Totò Riina, ma anche a Provenzano.” - prosegue - “Pochi sanno che Ciancimino, oltre ad essere stato il sindaco di Palermo e l’uomo nella disponibilità di Cosa nostra, è stato anche l'insegnante di matematica di Bernardo Provenzano. Una circostanza che ha favorito il contatto con il boss. Mori - ha ricordato - si avvicina a Ciancimino chiedendo: ‘cos’è questa guerra allo Stato, questo muro contro muro. Cosa vogliono questi per cessare le stragi?'. Questa è una trattativa. La richiesta formulata da Mori - ha precisato - fa capire a Cosa nostra che la linea stragista pagava, dal momento che una parte dello Stato era disponibile a cedere qualcosa”. Un episodio che, secondo la Cassazione, non costituisce reato, ma non significa che non sia successo. Pertanto - ha concluso - "il fatto non costituisce reato ma sussiste".
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