L'imprenditore Antonino De Masi, che ha denunciato gli estorsori, scrive alle istituzioni
“Sono un cittadino calabrese, un imprenditore vittima di reati di mafia”, inizia così la lettera di Antonino De Masi (in foto) diretta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo, al procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e al prefetto Massimo Mariani.
De Masi, negli scorsi anni, ha denunciato le richieste estorsive ricevute dalla ‘ndrina dei Crea. Non piegandosi, è andato incontro a gravi minacce per le quali oggi vive sotto scorta.
“Nonostante tutto -scrive nell’epistola- ho scelto di continuare a vivere e lavorare in Calabria, terra che amo, pagandone prezzi altissimi, ma lo debbo ai miei figli ed ai tanti giovani che oggi hanno come unica prospettiva quella di emigrare.
Un appello, quello lanciato dal testimone di giustizia che è riuscito a far condannare i suoi estortori, diretto alle istituzioni, con parole chiare e nette.
La condizione descritta da De Masi viene spesso dimenticata dai grandi media: “La realtà quotidiana che emerge delle imponenti azioni della magistratura – dice- è di una situazione di controllo totale del territorio da parte delle organizzazioni criminali. Certamente ognuno di noi ha sperato e spera che tale ‘oppressione’ sia marginale e circoscritta ma le indagini evidenziano purtroppo una realtà, nonostante il lavoro della magistratura e forze dell’ordine, drammatica.”.
Un’amara realtà -prosegue- nella quale il sistema democratico ed il territorio tutto sono condizionati dal potere criminale, generando una normalizzazione del “male” ed un’accettazione e sottomissione alle cosche mafiose che ormai ha ammazzato la speranza. I dati economici e sociali della Calabria sono sotto gli occhi di tutti, è un territorio che si sta spopolando ed impoverendosempre di più, dove entro pochi anni non ci saranno più giovani, costretti ad emigrare per cercare altrove una vita dignitosa”.
E poi l’interrogativo che i tanti onesti di questo Paese, e nello specifico di Calabria, si pongono ogni giorno: “Nella società calabrese vi è una devastazione sociale impressionante che ha generato un senso di rassegnazione ed apatia, si sono spente le luci della speranza, normalizzando una realtà drammatica. Quali prospettive di futuro può avere questa Regione? L’economia, il sistema imprenditoriale è o dovrebbe essere generatore di ricchezza quindi di lavoro, opportunità e speranza, ma come ciò può avvenire se vi è la presenza di un condizionamento mafioso massiccio?”
Alla fine della lettera la richiesta ai destinatari: “Da ciò chiedo alle massime Istituzioni, consapevoli della gravità del contesto, di essere i propulsori di tale cambiamento, di venire tra la nostra gente, stare al nostro fianco, di essere da stimolo ai calabresi che devono sentire la presenza dello Stato e delle Istituzioni. Tutti noi abbiamo bisogno di vedere nello Stato il punto di riferimento, attraverso messaggi e atti positivi e concreti di cambiamento e speranza. Credo che ciò sia un atto dovuto al nostro Paese ed ai nostri valori democratici”.
L’imprenditore pone anche l’accento su un tema fondamentale, quello dei testimoni di Giustizia: “Le mie forti scelte e l’aver fatto il mio dovere – dice -, con l’essere considerato “testimone di giustizia”, mi hanno portato alla solitudine, alla marginalizzazione all’isolamento, al venire giudicato un “infame”. Nonostante la sottolineatura del sostegno ricevuto da magistratura e forze dell’ordine, il punto toccato da De Masi è assolutamente centrale. Sono, infatti, tanti i testimoni di Giustizia ad aver denunciato, negli ultimi anni, di vivere in solitudine, spesso abbandonati dalle istituzioni.
Di ieri è il commento del testimone Ignazio Cutrò, a proposito della possibilità, introdotta con la Riforma Cartabia, per coloro i quali hanno patteggiato una condanna per associazione mafiosa di continuare a fare impresa e, addirittura, ricevere finanziamenti pubblici.
“Lo Stato condanna al fallimento le imprese degli onesti, di coloro che con coraggio civile dicono NO alle mafie mentre le imprese di coloro che patteggiano per reati gravi previsti dal codice antimafia possono continuare a lavorare. Ma che razza di Stato è questo?”, ha detto Cutrò.
Anche Pino Masciari, testimone che ha denunciato varie cosche di ‘Ndrangheta, a cui, recentemente, è stata tolta la scorta, si è espresso nei giorni scorsi.
“Sono più di venticinque anni - ha affermato- che non posso godere di nulla. Sono vivo, ma è come se fossi morto. Questa non è vita! Non vivo, sopravvivo, grazie alla mia forza d’animo, alla mia rettitudine”, e poi ancora: “In tanti anni si sono succeduti governi, sono cambiati i vertici delle istituzioni, ma si continua ancora ad interpretare e non applicare integralmente le sentenze”.
Quale sarà, allora, la risposta del Governo guidato da Giorgia Meloni ad un’emergenza così grande? Vi sarà una risposta ai tanti testimoni lasciati soli e, di conseguenza, un segnale forte a tutte le persone che denunciano la mafia? Oppure il Governo preferirà passare oltre, rafforzando, di conseguenza, il potere delle organizzazioni mafiose, che sta anche nello sfruttare tutte le assenze e le mancanze dello Stato?
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