E' ancora al di sotto della media europea il ricorso da parte dei magistrati italiani alla banca dati nazionale del Dna, strumento all'avanguardia in molti casi decisivo per le indagini. Da quando è operativa, ossia dal 2016, i pm di Milano l'hanno utilizzata solo su sollecitazioni delle forze di polizia e in modo occasionale: hanno avuto risultati di match utili per le loro inchieste al massimo due o tre volte all'anno. È quanto emerge da un questionario proposto tra dicembre e febbraio nell'ambito di una ricerca promossa dalla cattedra di diritto processuale penale dell'Università Statale, i cui risultati saranno illustrati e commentati durante un incontro organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, oggi, 25 maggio, al Palazzo di Giustizia milanese. L'incontro, che vede tra i relatori magistrati e tecnici delle forze di polizia esperti di genetica e scienze forensi, tra cui Renato Biondo, direttore della banca dati nazionale del Dna e Giampietro Lago Comandante del Ris di Parma, si propone di fare il punto della situazione e, in particolare, sulla sua percezione tra gli operatori di questa risorsa, partendo per l'appunto dalla ricerca tra le toghe che lavorano nel capoluogo lombardo. Gli esiti del questionario inviato a 190 tra pubblici ministeri e giudici penali e al quale hanno risposto in 95, sarà occasione per riflettere sulle potenzialità, spesso sconosciute, di tale database di profili genetici, istituito con una legge del 2009, attivo da sette anni, e collegato con quelli di tutta Europa. Dallo studio, oltre al fatto che su circa 40 pm 25/26, ossia il 67 per cento, hanno ricevuto match ai fini investigativi mentre gli altri non hanno mai utilizzato alcun profilo genetico, è venuto a galla che tutti gli intervistati, requirenti e giudicanti, non sanno che la banca del Dna è utile soprattutto nei fenomeni di recidiva e quindi in casi di reati seriali come furti, rapine e violenze sessuali. Secondo lo studio, la totalità degli intervistati ha dichiarato che la banca dati del Dna ha la sua maggior utilità per cercare di risolvere i grandi fatti di sangue. In realtà tale archivio di profili genetici serve specialmente per i reati seriali - di cui gli omicidi, eccetto quelli di mafia, non fanno parte - come furti, rapine e aggressioni e violenze sessuali. Quindi in una città come Milano, passata alla ribalta per l'allarme sicurezza, dovrebbe essere interpellato di sovente e invece la gran parte dei pubblici ministeri, risulta dalle loro risposte, hanno ricevuto riscontri positivi tra un profilo trovato sulla scena del crimine e un possibile colpevole al massimo un paio di volte l'anno. Inoltre, dalla ricerca si evince che i magistrati si lamentano per i tempi biblici per ottenere le analisi di laboratorio del materiale repertato sulla scena del crimine, cosa che tante volte li induce a gettare la spugna. "Questo accade - ha spiegato Giuseppe Gennari, giudice che da anni si occupa di scienza applicata ai processi - perché ci si rivolge solo ai laboratori pubblici del Ris e della Polizia di Stato, i quali non ce la fanno a soddisfare la domanda. Ci sono in Italia 8 laboratori privati, di cui 5 universitari, con cui è possibile fare delle convenzioni in quanto sono accreditati". In questo modo è possibile avere esiti in termini accettabili ai fini delle investigazioni, e inserire il profilo genetico nella banca del Dna. A riprova della scarsa conoscenza tra le toghe della banca nazionale del Dna ci sono anche i dati. Il numero attuale di profili è pari a 95.000: 55.000 di questi provengono da persone identificate e sottoposte a tampone e 35.000 da reperti prelevati sulla scena del crimine. Il numero di match attualmente ottenuto, a partire dal 2016, è di 2.000, con la seguente distribuzione tra tipologie di reato: 43% furti, 23% rapine, 10% omicidi dolosi, 5% violenze sessuali, 3% tentati omicidi.

La banca dati del Dna è ancora poco usata per le indagini
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