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I giudici di Bologna: “Stefano Delle Chiaie era di casa negli uffici degli Affari Riservati”

La strage di Bologna fa parte di quel meccanismo proprio della strategia della tensione iniziato dal 25 aprile 1969, giorno in cui esplosero due bombe: la prima esplose alle 18:57 nel tunnel di uscita del padiglione della Fiat alla fiera campionaria di Milano, un locale sempre immerso nella semioscurità perché vi venivano proiettate diapositive. La seconda esplose alle 20:45 alla Stazione centrale, nell'ufficio cambi del Banco Nazionale delle Comunicazioni, situato nella galleria superiore.
Il 12 dicembre vi fu anche la strage di Piazza Fontana.
Tale strategia ha avuto una duplice intenzione: la manovalanza neofascista voleva realizzare una svolta autoritaria in Italia mentre i loro ispiratori – “gli strateghi della strategia della tensione” come li definì Aldo Moro nel 1978 nel suo memoriale dalla prigionia - volevano destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico così da favorire una svolta in senso moderato, scalzando i comunisti.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici hanno argomentato con “prove granitiche” che a Bologna quella mattina del 2 agosto era presente anche il neofascista Paolo Bellini, il quinto uomo della strage dopo Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, condannati in via definitiva, e Gilberto Cavallini, riconosciuto colpevole per ora soltanto in primo grado come appunto Bellini.
Ma oltre ai neofascisti c'erano anche altre 'entità' dietro al meccanismo della strategia della tensione.
Andiamo per ordine.

La figura di Federico Umberto D'Amato nell'analisi della Procura generale
Emerge con forza dalla lettura della sentenza la figura di Federico Umberto D'Amato, il potente direttore dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno dal 1971 al 1974.
"Si è già detto - si legge nella sentenza - che Federico Umberto D'Amato era affiliato alla loggia massonica P2 ed in contatto personale con il 'capo' Licio Gelli anche durante la latitanza di costui in Svizzera".
La tesi della Procura generale è che nel "progetto stragista di Licio Gelli subentrò il binomio Federico Umberto D'Amato - Mario Tedeschi, menzionati nel Documento/Appunto Bologna come destinatari di finanziamenti da parte di Gelli. I due uomini erano uniti non solo da amicizia, ma da una risalente cooperazione nei servizi d'intelligence, di cui si trova riscontro nel libro di Lando Dell'Amico 'La leggenda del giornalista spia', acquisito agli atti del processo".


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Il Maestro venerabile della loggia P2, Licio Gelli © Imagoeconomica


I giudici inoltre ribadiscono che "i servizi segreti italiani militari e civili avevano a rispettivo punto di riferimento le due organizzazioni eversive della destra: Ordine Nuovo lavorava con i militari; Avanguardia Nazionale con l'Ufficio Affari riservati.
Questa divisione dei compiti appariva evidente nella vicenda di piazza Fontana nella quale l'azione fu realizzata da ON con i suoi agganci tra i militari, mentre il depistaggio verso gli anarchici fu organizzato, diretto e gestito, come ormai le fonti storiche danno per certo".
Sul punto l'ex magistrato Giuliano Turone è stato esplicito: "L 'altro gruppo neofascista, Avanguardia nazionale (An), fu particolarmente efficiente nell'infiltrazione di suoi militanti nei gruppi dell'estrema sinistra (Mario Merlino, infiltrato tra gli anarchici, fu il più noto). Questo gruppo, fondato e capeggiato da Stefano Delle Chiaie, allacciò rapporti stretti con l'Ufficio affari riservati (Uar), il 'servizio segreto' del ministero dell'Interno, diretto dal potente Federico Umberto D'Amato, da cui ebbe aiuti finanziari e protezione". "Delle Chiaie - si legge - era di casa negli Uffici dell'Uar, come ha ammesso lo stesso Federico Umberto D'Amato". "Numerose le testimonianze in proposito, tra cui quella del generale Gianadelio Maletti, già capo del reparto di controspionaggio del Sid: 'La protezione era assicurata a Delle Chiaie dall'Ufficio affari riservati e specie dal suo capo, dottor D'Amato'. Ordine nuovo, in particolare, era in stretto contatto con i servizi informativi americani e con l'intelligence delle basi Nato. Lo stesso Pino Rauti, nelle dichiarazioni rese nel dibattimento del processo per piazza Fontana del 2000, lo ha ammesso: 'È possibile che in Ordine nuovo si siano verificati episodi di contiguità e collaborazione con gli americani della Cia'. E sul punto vi sono anche le deposizioni di alcuni alti ufficiali delle nostre forze armate, come il generale Emanuele Borsi: 'Ordine nuovo era una struttura sorretta dai servizi di sicurezza della Nato con compiti di guerriglia e informazione'; e il generale Umberto Nardini: 'Noi sapevamo dell'esistenza di una organizzazione paramilitare, Ordine nuovo, sorretta dai servizi di sicurezza della Nato'.

Franco Freda: 'Ndrangheta, massoneria ed eversione nera
Processato per la strage di Piazza Fontana insieme a Giovanni Ventura e assolto per insufficienza di prove in appello nel 1985 a Bari, Freda viene indicato (con Ventura) esecutore materiale della strage dai giudici della Cassazione che nel 2005 confermarono l’assoluzione definitiva per Carlo Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni.
I giudici di Bologna hanno ricostruito uno spaccato della sua latitanza (avvenuta nel 1979) a Reggio Calabria che si intreccia con la ’Ndrangheta e non solo: fu Filippo Barreca (oggi collaboratore) lo ‘ndranghetista incaricato dai De Stefano della protezione in latitanza dell’ex terrorista Franco Freda. In quel periodo, il collaboratore si sarebbe anche occupato dei trasferimenti per degli incontri avvenuti a casa di Barreca tra De Stefano, Stefano Delle Chiaie e lo stesso Franco Freda. Alcune di quelle riunioni erano state registrate dal Barreca, il quale era diffidente e non comprendeva il motivo del proprio coinvolgimento nella protezione di Freda, richiesto dai De Stefano.


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L'estremista di destra, Franco Freda


"Freda - scrivono i giudici - aveva a suo tempo fondato una Loggia massonica, confermandosi l'ambiente massonico il luogo più idoneo per scambi, trattative, accordi indicibili e senza limiti. Freda sarebbe stato massone prima della latitanza ma è indiscutibile che durante la latitanza fu aiutato da massoni di estrema destra. Durante il processo aveva l'obbligo di dimora in Calabria, una misura che sarebbe stata insostenibile per un padovano senza radici al Sud, se non fosse stato invece 'preso in mano' da esponenti della 'Ndrangheta che ne organizzarono la fuga" precisano i giudici nel capitolo dedicato all'esame della dottoressa Piera Amendola, consulente tecnico delle parti civili.
Per i giudici, "il numero di riscontri della connessione mafia - destra eversiva - massoneria diventa tale da superare la soglia del dubbio ragionevole per ciò che concerne tutta una serie di specifici episodi".
Durante la latitanza a casa di Barreca, Freda "incontra esponenti 'ndranghetisti del calibro di Giorgio De Stefano e Paolo Romeo e fonda una loggia massonica. La consulente (Amendola n.d.r) cita la testimonianza di Barreca secondo cui Freda in quel momento era già massone. Nella nuova loggia entrano esponenti della 'Ndrangheta che possedevano una caratteristica speciale, quella della contemporanea appartenenza a formazioni della destra eversiva come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale".
L'importanza di questa loggia, secondo la consulente, è dovuta al fatto che Stefano Bontate "aveva cercato di "mettere in piedi una holding di logge massoniche coperte e la prima loggia contattata fu proprio quella di Franco Freda".


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Il giornalista, Mino Pecorelli


Il 'Noto Servizio' o 'Anello'
L'Anello o 'Noto Servizio' è stato un servizio segreto non ufficiale della Repubblica negli anni della strategia della tensione. "Gelli - si legge - lo attribuisce a una personalità ancora in vita al tempo in cui vi allude. Il riferimento conduce univocamente alla figura di Giulio Andreotti".
Dell'organizzazione spionistica denominata Anello "si trovano riscontri nelle indagini bresciane del colonnello Giraudo e dell'ispettore Cacioppo. L'Anello era un gruppo che coordinava gli apparati di sicurezza deviati. Nelle attività clandestine dell'Anello gli inquirenti bresciani si sono imbattuti più volte. L'espressione 'noto servizio' era stato cripticamente adoperata da Mino Pecorelli. Esso originava da uomini del servizio segreto fascista diretto negli ultimi mesi della guerra dal generale Mario Roatta, considerato tra i criminali di guerra, fuggito poi in Spagna. Era un gruppo di uomini senza scrupoli, che avevano fatto pratica anche infiltrandosi nelle formazioni partigiane. Nel dopoguerra il gruppo rimase in attività: cambiò nome, assumendo quello di Anello e mettendosi a disposizione dell'on. Andreotti, manifestando disponibilità alle operazioni 'sporche'".
Per la precisione va osservato che "ad espressa domanda sull'esistenza di un qualche atto formale, una sentenza o qualche altro documento che ne attesti direttamente o indirettamente l'esistenza, Giraudo ne ha escluso l'esistenza dichiarando che "ufficialmente la struttura non esiste", ma ne ha riscontrato l'impiego ufficiale in specifiche operazioni come il caso Cirillo.

Foto di copertina: Legione carabinieri di Bologna/Associazione 2 agosto 1980

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