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Analizzare il DNA presente su una cravatta trovata in prossimità del luogo dell'omicidio di Mino Pecorelli, il giornalista ucciso il 20 marzo del 1979 nella Capitale. A chiederlo gli avvocati dei familiari Valter Biscotti e Claudio Ferrazza, insieme all'avvocato Giulio Vasaturo, legale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana che, nei prossimi giorni si recheranno a piazzale Clodio, per sostenere questa richiesta. In procura c'è un fascicolo aperto sulla morte di Pecorelli: i pm avevano affidato delega ai poliziotti della Digos per svolgere una serie di accertamenti preliminari dopo l'istanza depositata, il 17 gennaio del 2019, negli uffici della procura da Rosita Pecorelli, sorella di Mino. "Oggi 20 marzo ricorre l'anniversario dell'omicidio di Pecorelli, uno dei più grandi misteri della storia della Repubblica - scrivono in una nota gli avvocati -. Il movente di questo delitto va certamente ricollegato alle inchieste scomode condotte da questo giornalista coraggioso su potenti e potentati dell'Italia degli anni settanta". "In quasi 45 anni i metodi di indagine sono particolarmente evoluti, soprattutto nell'ambito delle indagini genetiche", aggiungono. I tre legali rammentano che "in prossimità del luogo dell'omicidio fu rinvenuta una cravatta (certamente non di Pecorelli). Il reperto fu a suo tempo analizzato per verificare se vi fossero frammenti di vetro, ma l'esito negativo ne fece un elemento trascurato. Oggi, sostengono i legali, quella cravatta dovrebbe essere ancora conservata fra i corpi di reato e con l'esame del DNA si potrà verificare se sono rinvenibili sul tessuto tracce biologiche da confrontare col profilo genetico di potenziali sospettati". "Lo Stato lo deve alla famiglia di Mino Pecorelli ed all'intera comunità dei giornalisti italiani ed ogni pista investigativa deve essere percorsa", concludono.

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