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Intervista a Fabio D’Agata, imprenditore edile

Incontro Fabio D’Agata a casa sua, nei pressi di Acireale, in una splendida giornata di sole. Insieme a me c’è anche Giovanni Pistorio, Segretario generale della Fillea Cgil Sicilia.
Fabio, imprenditore edile, ha più volte denunciato i diversi tentativi di estorsione che ha subito negli anni, fino all’episodio dell’ottobre 2020 in cui un Direttore dei lavori cercò di estorcergli una cifra considerevole per l’appalto in un cantiere di San Marco D’Alunzio, in provincia di Messina. Denunciato e processato, il Direttore in questione  ha patteggiato con rito abbreviato una condanna (pesante) a 3 anni e due mesi.

Fabio, cosa vuol dire fare l’imprenditore edile oggi in Sicilia?
Significa portare avanti una sfida soprattutto con la complessità degli apparati burocratici che ruota attorno al governo dei lavori pubblici. Ci si scontra con numerosi ostacoli: dal ritardo nei pagamenti alle norme spesso conflittuali fino all’ingerenza, ormai storica, della criminalità organizzata.

In un sistema che si nutre di illegalità la anomalia è cercare di fare le cose in regola?
Il sistema in teoria dovrebbe reggersi su meccanismi legali, sembra scontato, il problema è che poi ci si scontra con una realtà sul territorio, che non è solo mafia, ma anche, e soprattutto, la presenza della corruzione nella pubblica amministrazione. La corruzione non è un fenomeno, come si è portati spesso a pensare, che proviene esclusivamente da soggetti privati, ma purtroppo trova uno dei punti di forza nella complicità di funzionari corrotti.

Pensi sia possibile scardinare il meccanismo? Come eventualmente?
Il meccanismo è favorito dal fatto che chi gestisce le risorse pubbliche ha da sempre visto nell’interlocutore dei lavori pubblici, quindi l’imprenditore, una sorta di potenziale socio, un soggetto interessato ad entrare in questa relazione “tossica” fatta di corruzione. Questo avviene perché nella stragrande maggioranza dei casi chiaramente questa relazione ed interlocuzione va a buon fine. Quindi, come nel mio caso, il Direttore dei lavori, in qualche modo, è andato a colpo sicuro certo che anche questa volta il modus operandi sarebbe stato condiviso. Purtroppo per lui ha trovato me.   La semplificazione delle procedure nell’affidamento degli appalti ha favorito il gioco criminale perché una efficace semplificazione non può fare a meno di una evidenza pubblica, di trasparenza totale: procedure ristrette con inviti a pochissimi soggetti non vanno nella direzione che ci si auspicherebbe.

Ritieni che ci sia qualche vuoto normativo da colmare?
Non servono nuove norme, l’Italia vanta una legislazione avanzatissima sul contrasto alle mafie ed alla corruzione. Le mafie hanno attinto alle risorse dei lavori pubblici prima con una strategia predatoria e violenta poi, in una sorta di trasformazione, diventando essa stessa impresa, non più soggetto esterno ma interno al sistema degli appalti, con la capacità di infiltrazione che gli è propria. La corruzione in questo meccanismo ovviamente diventa un’arma potentissima ed efficacissima in cui, all’interno del sistema, vincono tutti i soci: il politico, l’amministratore pubblico, l’impresa mafiosa.  Si è passati da una situazione in cui c’era una vittima ed un estortore ad una situazione in cui ci sono due o tre soci che hanno tutti un vantaggio. La mafia rappresenta, in questo gioco, un global service, perché fornisce più servizi dello Stato, a cominciare da quella liquidità di cui le aziende, soprattutto in questa fase, hanno grande necessità. Quindi, tornando alle norme, riguardo quelle che ci sono attualmente, anche sul contrasto alla corruzione, sono efficaci, il problema è che vengono poco applicate. In più, come ricordavo prima la mancanza di trasparenza, la difficoltà di accesso agli atti, non aiutano la applicazione delle leggi.

Quanti Fabio D’Agata ci sono in Sicilia?
La stragrande maggioranza degli imprenditori in Sicilia è onesta. Sono tantissime le imprese oneste che cercano di fare il loro lavoro nella legalità: Il problema è che queste imprese vengono spesso marginalizzate dai meccanismi perversi che la P.A. ha creato e che la politica continua a sostenere. Sono tanti gli imprenditori che mi chiedono di fare da portavoce per denunciare fenomeni di illegalità in cui incappano, manca però la capacità di fare rete, a partire dall’atteggiamento assunto da  Confindustria che se da un lato opera, come è giusto che sia, per la legalità, dall’altro però non si espone in maniera decisa verso una trasparenza nel settore degli appalti e verso una emersione delle imprese e delle procedure regolari.
Non possiamo affidare il contrasto alla corruzione e all’infiltrazione della mafia solo alla magistratura e a quel momento della “repressione” che essa rappresenta: i tempi della giustizia non coincidono con i tempi che occorrono per arginare i fenomeni criminali che vanno fermati sul nascere, già all’interno delle amministrazioni, denunciando le mele marce e tutto ciò che è facile ravvisare per chi vive “da dentro” la cosa pubblica. La politica in tal senso ha grande potere e grandi responsabilità, spetta ad essa il primo livello di contrasto se vogliamo evitare che gli imprenditori onesti siano isolati lanciando un messaggio non positivo all’esterno, occorre far capire che denunciare conviene e che non si rischia nulla sia sotto il profilo personale che imprenditoriale.

Giovanni Pistorio, imprese oneste e legali significano lavoro garantito e legale. Una necessità più che una opportunità. Cosa ci insegna la storia imprenditoriale di Fabio D’Agata?
Ci insegna e suggerisce tante cose… La prima è che pur nella difficoltà spesso la magistratura riesce ad imporre la propria forza nel territorio a difesa delle libertà e dei diritti. Però c’è sempre un prima e un dopo rispetto alle indagini giudiziarie, il prima è relativo ai costi economici perchè denunciare ha un costo, al logorio dei rapporti sociali sostenuti da imprese che denunciano e lavoratori che non sono risarcibili se non a mezzo di una positiva riconoscibilità sociale,  perché esistono tutta una serie di forze, P.A. e colletti bianchi, che in parte concorrono esternamente a rafforzare i poteri criminali, e che  molto spesso agiscono solidamente in un sistema di reciproco vantaggio con la mafia. Un dopo che, come spesso accade alle nostre “latitudini”, è fatto di ritardi, esclusioni, rallentamenti nelle procedure, impossibilità di reperire il materiale sul mercato. Cala la morte sociale ed economica. Se le imprese non hanno le spalle solide a queste condizioni non riescono a sopravvivere.

L’allentamento delle regole e il tentativo di liberalizzare totalmente il subappalto, consegnerebbero nelle mani del potere criminale anche quella parte di economia sana che fino a questo momento resiste. La storia di Fabio D’Agata va presa ad esempio, perché tutto ciò che prima era urgente in fase di assegnazione e esecuzione lavori dopo la denuncia diventa tutto melmoso nel momento in cui i lavori dovrebbero ripartire, anche nel caso di lavori da eseguire urgentemente per la messa in sicurezza del territorio e delle persone che vi abitano. In questi casi la Regione dovrebbe non solo accelerare le procedure ma rimuovere con decisione le cause di questi rallentamenti: questo l’auspicio….

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