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Fu condannato per mafia e omicidi. Ardita: “Chi ha commesso fatti gravi non può tornare libero se c’è rischio che continui a uccidere”

Prima ha freddato con un colpo al volto Melina Marino (48 anni), poi, dopo circa un’ora e mezza, ha assassinato un’altra donna, Santa Castorina (50 anni). Infine si è sparato togliendosi la vita davanti alla caserma dei Carabinieri. E’ successo a Riposto, località balneare di Catania. A uccidere e uccidersi è Salvatore 'Turi' La Motta, 63 anni. La Motta era un ergastolano in semilibertà ritenuto vicino al clan Santapaola, di giorno lavorava e di sera tornava in carcere ad Augusta. Sabato scorso doveva essere l’ultimo giorno di permesso premio di una settimana e invece il detenuto ha deciso di impugnare una calibro 38 e fare una mattanza nel lungomare di Riposto per poi togliersi la vita. La prima vittima, Melina Marino, era ferma in auto, una Suzuki Ignis, quando La Motta ha fatto fuoco. I due avrebbero avuto una relazione. I carabinieri del Comando provinciale, coordinati dalla procura distrettuale di Catania, hanno accertato che il duplice omicidio è avvenuto tra le 8.30 e le 10 circa di sabato mattina.
Le riprese video acquisite dai militari dell'Arma mostrano che il killer, dopo essere sceso dal veicolo guidato da un’altra persona, ha velocemente raggiunto la donna che sedeva sul lato guidatore, ha aperto la portiera lato passeggero e sporgendosi nell'abitacolo ha fatto fuoco, colpendola al viso.
Dopo circa un'ora, nella centrale via Roma, La Motta ha ucciso la cinquantenne Santa Castorina mentre scendeva dalla sua automobile, una Fiat Panda, ferma sul marciapiede. Castorina è stata raggiunta da due colpi letali d'arma da fuoco, anche questi al viso. Immediato l'intervento dei militari dell'Arma, che hanno quindi avviato una serie di controlli a tappeto, effettuando sia numerose perquisizioni a individui ritenuti in qualche modo coinvolti negli eventi omicidiari, sia posti di controllo sulle vie d'accesso del Comune, mentre i colleghi della Sezione Investigazioni scientifiche eseguivano i rilievi balistici e dattiloscopici sulle due scene del crimine. L’imponente dispiegamento di forze potrebbe avere indotto il presunto autore degli omicidi a recarsi a piedi davanti alla Stazione carabinieri di Riposto, dichiarando di volersi consegnare, nonostante però impugnasse in quel momento un revolver calibro 38. I militari della caserma, tenendolo sotto tiro per questioni di sicurezza, hanno quindi subito cercato di convincerlo a lasciare l'arma a terra e a non fare alcun tipo di gesto insensato, né contro se stesso, né contro le persone affacciate dai balconi. Tuttavia l'uomo, che aveva alzato le braccia in segno di resa, tenendo salda in mano l'arma, improvvisamente ha rivolto contro di sé la pistola a tamburo, una Smith & Wesson, sparandosi un colpo alla tempia.

Una tragedia che fa discutere
Salvatore La Motta
è un pluripregiudicato. In carcere scontava una condanna all'ergastolo per associazione per delinquere di stampo mafioso e per gli omicidi di Leonardo Campo (ritenuto uno dei capi storici della malavita di Giarre) e Cosimo Torre, detenuto in semi libertà nel carcere di Augusta (Siracusa) e in quel momento in licenza premio. La Motta venne arrestato il 16 giugno 2000. Suo fratello, Benedetto (detto “Benito”), sta scontando 30 anni anch’egli per omicidio (il 31 ottobre 2016 fece assassinare con sedici coltellate alla gola e al torace il pizzaiolo Dario Chiappone) ed è indicato esponente di spicco del clan Santapaola-Ercolano. Tornando al killer suicida, mentre i carabinieri indagano un’altra persona, l’accompagnatore di La Motta, per concorso in omicidio, è grande l’ondata di indignazione per quanto accaduto nella piccola Riposto. Com’è possibile che sia stata concessa la semi libertà a un soggetto di questo calibro? “Non so se alla base di questo gesto vi sia solo capacità criminale o anche follia”, ha commentato su Facebook Sebastiano Ardita. Il magistrato conosce bene la sua storia, nel 1996 fu lui, da pubblico ministero, a chiederne l’arresto per l’omicidio Campo, scaturito, ha ricordato Ardita, “dalla faida interna a Cosa Nostra che insanguinava la fascia Ionica”.
“Chi ha commesso fatti così gravi, non può tornare libero se c’è il rischio che continuerà ad uccidere”, ha affermato il magistrato. “Altrimenti lo Stato cosa potrà dire ai parenti delle vittime? Non ci sono parole, né scuse da rivolgere a chi dovrà piangere queste due povere donne”.

Foto © Imagoeconomica

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