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L'appello dell’associazione antimafia nell'anniversario della pubblicazione della lettera di Libero Grassi ai suoi estorsori

Una legge "che renda sconveniente la connivenza", una "norma che inibisca l'accesso ai bonus fiscali agli imprenditori edili che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra". È la richiesta dell'associazione AddioPizzo che, nel giorno dell'anniversario della pubblicazione della lettera dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia per avere detto no alle estorsioni, fa un appello al Parlamento. I trentadue anni trascorsi dalla celebre lettera al “Caro estorsore” di Libero Grassi (pubblicata il 10 gennaio del 1991 sulle pagine del Giornale di Sicilia) “sono un arco di tempo che impone un'analisi sulla lotta al racket delle estorsioni, sui passi in avanti compiuti e su quanto invece ancora deve essere fatto - dice AddioPizzo -. Sebbene ci sia ancora chi continua a pagare, va evidenziato che oggi la scelta di opporsi alle estorsioni è possibile e non ha nemmeno bisogno del clamore mediatico a cui fu costretto, suo malgrado, Libero Grassi". "I processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell'ordine e con l'ausilio di reti sociali di supporto, raccontano infatti che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di commercianti e imprenditori che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità - spiega l'associazione -. A fronte di tale scenario va però rilevato che sono ancora molti, specie in alcune aree della città e in specifici settori, coloro che pagano le estorsioni e non denunciano. Su questa tendenza va però aggiornata la narrazione. Oggi a differenza del passato il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza". "Emergono a più riprese relazioni di contiguità tra molti che pagano senza remore le estorsioni e la criminalità organizzata. Si tratta di commercianti e imprenditori che operano in settori come quello dell'edilizia e che in cambio del pizzo pagato chiedono al medesimo taglieggiatore di scalzare concorrenti, recuperare crediti e refurtive, dirimere controversie con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato. C'è anche chi paga e non denuncia perché appartiene a Cosa nostra o perché il pizzo lo corrisponde al proprio cugino o genero, che è l'estorsore del rione", dice ancora AddioPizzo. Per AddioPizzo “si tratta di una variante degenerativa del fenomeno estorsivo che è sempre esistita ma che rispetto al passato ha assunto una dimensione dominante".


grassi libero azienda

"Una relazione tra molti operatori economici e l'associazione mafiosa che produce un danno alla collettività e che sovraespone gravemente chi trova la forza e il coraggio di opporsi al racket delle estorsioni". "In questo scenario è opportuna l'adozione di strumenti normativi utili a rendere sconvenienti tali relazioni di connivenza. Uno dei settori dove bisogna volgere lo sguardo e l'attenzione è quello dell'edilizia, sul quale negli ultimi anni si è puntato con l'investimento di decine di miliardi di euro sotto forma di bonus fiscali per rimettere in moto l'economia del Paese a seguito dell'esplosione della pandemia", spiegano. "A riguardo vogliamo rivolgerci a Governo e Parlamento perché riteniamo maturi i tempi per l'adozione di norme che inibiscano l'accesso a tali misure a quelle imprese che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra - la proposta di AddioPizzo -. La natura di questo genere di strumento amministrativo, oltre a essere coerente con quanto già previsto dalla norma introdotta nel 2009 sul cosiddetto ‘obbligo di denuncia’ per chi contrae con la pubblica amministrazione, disincentiverebbe quelle relazioni di acquiescenza connivente che alterano il mercato e la libera concorrenza a danno di operatori economici perbene e cittadini consumatori finali".
Quanto affermato da AddioPizzo si sposa con le risultanze dell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia secondo cui: “I reati cardine sui quali si impernia l’azione mafiosa sono sempre i medesimi. Dall’imposizione del pizzo che permane ‘necessaria’ soprattutto per il sostentamento delle famiglie dei detenuti, al traffico di stupefacenti spesso condiviso con altre organizzazioni criminali sia nostrane che di etnia straniera. Dal riciclaggio attuato sempre più attraverso una vera e propria interazione con l’economia legale, all’infiltrazione nella Pubblica amministrazione in maniera tale da condizionare ovvero gestire l’iter procedurale in materia di appalti pubblici mediante episodi di corruzione che coinvolgono singoli cittadini, imprenditori e tecnici probabilmente allettati da facili guadagni”. Tutte attività che consentono alle consorterie di “disporre di cospicui ingenti capitali e nel contempo avere una incisiva ingerenza sul territorio”. Infine, al pari di quello degli stupefacenti “i fenomeni estorsivi proseguiti anche durante il periodo del lockdown e quello immediatamente successivo - anche se sembrano generalmente essersi di poco attenuati - rappresentando una fonte di indiscutibile importanza per il sostentamento economico delle famiglie dei mafiosi e dei detenuti nonché un ottimo strumento di controllo e di condizionamento del contesto sociale”.

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