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Tre arrestati per mafia negli anni ‘90 minacciano richieste danni. La Rai taglia corto, ma potrebbe essere un pericoloso precedente

In nome del diritto all’oblio zittiamo la storia. Potrebbe essere riassunta così la vicenda che nei giorni scorsi ha coinvolto lo speciale Tg1 “Rita Atria, la settima vittima”, trasmesso il 17 luglio in seconda serata. Il programma (58minuti) realizzato dalla giornalista Rai Giovanna Cucè, è stato infatti rimosso da Raiplay a causa di alcune immagini di repertorio di una trentina di arresti (con manette pixelate), relativi alla cosiddetta “faida di Partanna” (di cui parlò proprio Rita Atria) su mandato dall’allora procuratore capo di Marsala Paolo Borsellino. Tre delle persone ritratte all’interno del documentario si sono sentite lese nell’immagine e hanno minacciato cause alla giornalista, alla direttrice del Tg1 e alla Rai per un totale di 60 mila euro. Da qui la decisione della Rai di rimuovere lo speciale in attesa del giudizio. La notizia ha destato scalpore all’interno del mondo Antimafia. Rita Atria era nata e cresciuta in una famiglia mafiosa di Trapani che, dopo gli omicidi del padre e del fratello maggiore, decise di collaborare con la magistratura separandosi così dal contesto mafioso che la circondava. Tra lei e Paolo Borsellino, che raccolse alcune delle sue dichiarazioni, si instaurò un legame quasi paterno. Infatti, per la giovane la strage di via d’Amelio segnò la morte di un secondo padre dinnanzi alla quale non trovò più la forza per vivere. Ora incombe il pericolo che sulla storia della 17enne morta il 26 luglio ’92 - cadendo nel vuoto dal settimo piano di viale Amelia 23 a Roma - si debbano omettere alcuni aspetti. La “diatriba”, se così si può definire, è tra il diritto all’oblio che si pone in contrasto con il diritto di cronaca. Come hanno sottolineato i giornalisti del Fatto QuotidianoStefano Caselli e MariaCristina Fraddosio, gli arresti del novembre 1991 e del marzo del 1992 “raccontano infatti una pagina importante di storia (oltre a contenere un inedito audio del super boss latitante Matteo Messina Denaro)”. Se inoltre aggiungessimo che uno dei ricorrenti “è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa (il secondo è stato condannato in primo grado e assolto in appello, il terzo assolto in tutti i gradi)” la questione si complica ulteriormente. Questo potrebbe creare un rischioso precedente, un vulnus con cui riscrivere la storia omettendo fatti importanti per la custodia della memoria storica di fatti importanti utili da un lato alla comprensione del passato e dall’altro all’analisi del presente. Sulla vicenda di Rita Atria la Rai ha scelto la via breve. Il filmato è stato rimosso in via cautelativa perché ritrae soggetti successivamente assolti e perché, come ricordano i due giornalisti del Fatto, “per le stesse immagini (ma con manette non pixelate) l’azienda era già stata condannata alla fine degli Anni 90”. Oggi la vicenda riguarda la “settima vittima” di Via d’Amelio, ma se il diritto all’oblio dovesse prevalere sul diritto di cronaca allora le future richieste di “ritocchi” - per non dire “colpi di spugna” - potrebbero riguardare storie altrettanto importanti e gravi di soggetti come Andreotti o Berlusconi.  

Foto © Shobha

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