Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Ma strane coincidenze e interrogativi rimangono senza risposta

Per la Commissione ispettiva (presieduta dall'ex procuratore Sergio Lari) incaricata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel luglio 2021 non vi è traccia di una regia occulta diretta della "criminalità organizzata (Cosa Nostra, 'Ndrangheta e Camorra, ndr) e nemmeno una matrice politica anarchica o insurrezionalista" dietro le rivolte nelle 22 carceri italiane verificatesi il 7 e il 10 marzo 2020, mentre l’epidemia Covid - 19 cominciava a diffondersi nel Paese. Tuttavia è fondato il "sospetto che detenuti, loro familiari, e gruppi antagonisti" (nel caso delle rivolte di Bologna, Roma Rebibbia, Napoli Poggioreale, Milano San Vittore, Palermo Pagliarelli e Siracusa, ndr) "abbiano concordato il momento in cui dare l’avvio alle rispettive manifestazioni di protesta dentro e fuori le strutture penitenziarie”.

L'ipotesi di una regia mafiosa era stata avanzata nei primi giorni delle rivolte "sul rilievo che la sospensione dei colloqui in presenza avrebbe danneggiato la catena di comunicazioni tra penitenziario e mondo esterno compromettendo gli interessi del crimine organizzato, oltre che sulla considerazione che la contemporaneità degli eventi e le comuni modalità organizzative delle sommosse avrebbero deposto per una 'strategia occulta orchestrata a tavolino'".

Ma per la Commissione non vi è stata nessuna regia occulta.

“Tali proteste, secondo gli investigatori del N.I.C (Nucleo Investigativo Centrale, ndr) sono state alimentate da un ‘passaparola’ tra i detenuti a seguito di notizie apprese da Radio Radicale ed altre fonti in merito ad una possibile concessione di amnistia ed indulto in conseguenza dalla diffusione del virus”.

In soldoni è stata solo "paura della pandemia, il rifiuto delle misure limitative della socialità e, tranne la rivolta di Salerno, lo spirito di emulazione delle altre rivolte alimentato dall'aspettativa dei benefici penitenziari".

Tuttavia vi sono numerose coincidenze ed elementi ancora poco chiari a cui sarebbe necessario fornire delle risposte: perché quella strana 'Pax mafiosa' nelle carceri calabresi?; qual’è l’identità di questi 'gruppi antagonisti' citati nella relazione?; perché nelle rivolte, 'curiosamente', ha preso parte solo la 'manovalanza' della popolazione carceraria? E perché, infine, la famosa circolare del 21 marzo che ha di fatto permesso le scarcerazioni di molti mafiosi era stata comunicata alla Procura nazionale antimafia solo il 21 aprile?


rivolta carcere 2 ima 1374789


Rivolte simultanee e il deterioramento del 'Sistema Carceri'
Le rivolte sono scoppiate quasi praticamente in contemporanea in tutto il Paese, come si può vedere chiaramente nelle pagine 32 - 33.

Ufficialmente le cause sono state lo stop dei colloqui con i familiari, ordinato per limitare il contagio del virus. A fare da detonatore sarebbe stata anche la richiesta dei detenuti di avere adeguate condizioni sanitarie per proteggersi dal Covid. Ma non solo. Notoriamente, infatti, la situazione nelle carceri italiane è sempre in emergenza a causa del sovraffollamento e degli effetti nefasti dalla circolare Tamburino del 2013 che decretava, tra le altre cose, l'attuazione, all'interno degli istituti di pena, della cosiddetta 'sorveglianza dinamica'.

Il risultato era stato un totale fallimento: la polizia penitenziaria sarebbe uscita dalle sezioni, che sono rimaste completamente aperte, ingovernabili, sotto il controllo esclusivo dei detenuti.

Una situazione che, di fatto, genera un vuoto che le gerarchie criminali possono riempire.

Tra le problematiche presenti in questa normativa vi sono quelle trattate nel libro ‘Al di sopra della legge. Come la mafia comanda dal carcere’ scritto dal consigliere togato al Csm Sebastiano Ardita.

Anche se la situazione interna alle carceri è ancora a livelli critici a colpire l’attenzione degli investigatori era stato soprattutto il fattore cronologico, già sottolineato dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri: “Se fossi il ministro della Giustizia la prima cosa che farei in questo momento è quella di schermare le carceri ai segnali telefonici. Non è un caso che le rivolte scoppino contemporaneamente a migliaia di chilometri di distanza. Questo avviene perché gli istituti penitenziari sono pieni di telefoni cellulari. Com’è possibile altrimenti che alle 10 del mattino scoppi una rivolta a Foggia e nello stesso tempo a Modena?”.

Le stesse cronache del marzo 2020 avevano riportato che numerosi telefoni cellulari di piccole dimensioni erano stati rinvenuti all'interno delle celle, anche di quelle occupate da detenuti al 41-bis.

"Del resto - ha scritto la commissione - tutte le indagini dal N.I.C sui telefoni cellulari sequestrati in occasione delle perquisizioni effettuale a ridosso delle rivolte (emblematici gli approfonditi effettuati a seguito della rivolta di Salerno su delega dall'A.G) non hanno consentito di trovare riscontro alcuno all'ipotesi che i rivoltosi abbiano ricevuto disposizioni telefoniche da soggetti appartenenti alla criminalità organizzata". Tuttavia, come scritto nello stesso documento, "la possibilità per i detenuti di accordarsi con i familiari o altri soggetti è risultata facilitata dal frequente rinvenimento di telefoni cellulari nelle loro camere detentive subito dopo le rivolte". "Per non dire, più banalmente, lo strumento dei colloqui ordinari, anche telefonici, regolarmente autorizzati poteva comunque consentire ai detenuti di prendere accordi di questo genere con i rispettivi familiari".

Gli inquirenti, sulla base di questi avvenimenti, avevano ipotizzato come dietro le ribellioni nei penitenziari potesse esserci una regia occulta e unitaria. La Commissione invece ha dato un parere diverso. La contemporaneità delle rivolte sarebbe dovuta ad una serie di concause, tra cui lo stop ai colloqui, la paura del contagio, la richiesta di condizioni migliori ma soprattutto il desiderio, da parte degli altri detenuti, di voler "emulare" la rivolta del sette marzo avvenuta nel carcere di Salerno.

Ma quanto questo spirito di "emulazione" avrebbe inciso sulla simultaneità delle rivolte? Come avrebbero fatto i detenuti di ben 22 carceri a far scoppiare le rivolte quasi in contemporanea?


rivolta carcere ima 1374794


La Pax Mafiosa in Calabria
Fra le pagine della relazione è stato scritto che "stando alle risultanze dell'indagine ispettiva, si può escludere qualsivoglia ruolo nell'origine delle rivolte della 'Ndrangheta sia perché non c’è stata alcuna sommossa in istituti penitenziari calabresi, sia perché non è stato registrato alcun coinvolgimento di detenuti appartenenti a tale organizzazione mafiosa nelle rivolte attuate presso gli istituti penitenziari".

Certamente la Commissione ha avuto il compito specifico di indagare “sull’origine delle rivolte avvenute negli istituti penitenziari nel marzo 2020". Ma volendo allargare il campo ad una visione più ampia non si può non notare il peculiare caso verificatosi in Calabria: “Curiosamente - aveva raccontato un investigatore sulle colonne del 'Fatto' – non abbiamo registrato disordini in Calabria. Zero totale se paragonato alle altre zone d’Italia, del Sud in particolare”. Dunque la Regione d’origine di quella che è oggi la più potente associazione criminale nel Paese - cioè la ‘Ndrangheta - non aveva partecipato ai disordini. “Ma non perché abbia preso le distanze dalla protesta, anzi, al contrario. Essendo le mafie la parte più alta della criminalità, in modo molto più furbo hanno fatto in modo che fossero gli altri a portare avanti la rivolta”. A questo proposito, infatti, gli inquirenti avevano fatto anche notare come le rivolte più violente siano andate in scena nei penitenziari emiliani: nel Sant’Anna di Modena, al Dozza di Bologna, a Reggio Emilia. “Cioè la stessa zona dove negli ultimi tempi si è svolto uno dei più importanti procedimenti contro la ‘Ndrangheta al Nord, cioè il processo Aemilia". Un messaggio forse indirizzato a chi era in grado di leggerlo? La 'Ndrangheta, se non ha avuto un ruolo nell'origine delle rivolte, potrebbe aver imposto con la propria autorità una sorta di 'Pax Mafiosa' all'interno delle carceri?

La 'doppia' linea delle rivolte
Se una parte della popolazione carceraria cercava la rivolta, l'altra la evitava.

Nel carcere di Avellino, incredibilmente, si evidenziava una spaccatura tra chi aderiva alle proteste e chi voleva la quiete. In uno dei padiglioni, quello in cui si trova detenuto Antonio Bastone, presunto boss degli scissionisti di Secondigliano, non è stato registrato alcun disordine. Il motivo si è capito in un secondo momento. Infatti sarebbe stato lo stesso boss, rimasto nella sua cella, ad “invitare” gli altri detenuti del suo padiglione ad imitarlo e, soprattutto, a non partecipare agli scontri.

Il dato si è appreso tramite una missiva che lo stesso Bastone aveva scritto per ringraziare gli agenti della polizia penitenziaria. Una lettera inviata al garante dei detenuti Pietro Ioia e spedita al quotidiano Roma.

Secondo gli inquirenti l’invio della lettera da parte del presunto killer della faida del 2012 era un fatto da non sottovalutare in quanto si potrebbe benissimo inserire in dinamiche che avevano coinvolto anche tutti gli altri episodi di rivolta nelle carceri italiane.

Gli investigatori, cercando di far chiarezza anche sui disordini all’interno del carcere di Napoli, avevano evidenziato come la rivolta mirasse all’accaparramento del metadone.

Tornando alla missiva, secondo i pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra, Bastone avrebbe potuto sfruttare le rivolte nelle carceri per far passare un messaggio: dove ci sono io non c’è rivolta e bisogna aver rispetto degli agenti penitenziari.

Secondo il sostituto procuratore generale Catello Maresca, intervenuto sempre sulle pagine de “Il Mattino”, dietro la lettera di Bastone si potrebbe nascondere un messaggio mafioso. Quel che è certo è che l’episodio si inserisce in un quadro ancora più ampio che riguarda l’equilibrio all’interno delle carceri napoletane. Per quale motivo, però, ad Avellino Bastone voleva il silenzio mentre nelle altre carceri d’Italia montava la protesta?


rivolta carcere ima 1374945


Le richieste dei detenuti e le scarcerazioni dei boss
Come scritto nella relazione, alcuni detenuti hanno iniziato le rivolte nella speranza di "ottenere provvedimenti di clemenza (amnistia o indulto) ed in genere benefici penitenziari".

Anche se tale rivendicazione, come nel caso del carcere di Melfi, non è stata portata avanti, le scarcerazioni in seguito ci sono state.

Come riportato da 'La Repubblica', secondo il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) le porte delle carceri sono state aperte a 376 fra mafiosi e trafficanti di droga. Di cui 61 a Palermo, 67 a Napoli, 44 a Roma, 41 a Catanzaro, 38 a Milano e 16 a Torino. Le motivazioni delle scarcerazioni sono sempre le stesse: rischi di contagio da Covid-19. A poco sono valse le opposizioni dei magistrati della Dda che avevano continuato a far presente, sulla base di numeri e valutazioni scientifiche, come in realtà i rischi di contagio sono nettamente inferiori all’interno delle strutture penitenziarie che all’esterno. Specie per chi si trova rinchiuso al 41 bis, che per definizione è totalmente isolato. Sollecitando piuttosto il trasferimento in centri medici penitenziari, che peraltro sono strutture di eccellenza della sanità italiana.

Ricordiamo che tali provvedimenti sono stati presi grazie alla circolare del 21 marzo, sospesa poi nel giugno dello stesso anno.

Tale direttiva del Dap non era stata comunicata alla Procura nazionale antimafia, fino al 21 aprile 2020. Un vulnus che non ha permesso di monitorare le istanze e di canalizzare sull’Autorità giudiziaria informazioni indispensabili per decidere con piena cognizione sulle istanze presentate, avendo riguardo all’attualità dei collegamenti con il crimine organizzato e delle specifiche misure da adottare per limitare, pur nella detenzione domiciliare, i rapporti con l’esterno.

La peculiarità della rivolta nel carcere di Melfi
"L'unico caso in cui una rivolta è stata organizzata esclusivamente da detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza" è stato "quello dell'istituito penitenziario di Melfi" - hanno scritto i membri della commissione -  "In questa occasione, tuttavia, la rivolta ha coinvolto soltanto una fascia dei detenuti della sezione alta sicurezza di area foggiana, barese e campana che, come è risultato dagli accertamenti ispettivi, sembra abbiano agito autonomamente, in assenza, cioè, di una regia della organizzazione criminale di appartenenza". Ma, fatto alquanto singolare, "come riferito dal Direttore dell'istituto, una parte dei detenuti afferenti al circuito alta sicurezza, tra cui i calabresi, avevano preso le distanze dalla protesta, restando nelle loro camere a giocare a carte in socialità, nonostante gli inviti dei detenuti rivoltosi ad uscire" per "dare la sensazione che la protesta riguardasse tutti i detenuti e non solo una parte di essi".

Una scelta curiosa, quella dei calabresi, di non partecipare alla rivolta, se si tiene conto che in Calabria di rivolte non c'è ne sono state. In un mondo come quello della mafia, in cui niente avviene per caso, dove tutto gira intorno ai simboli e ogni azione o provvedimento costituisce un messaggio, questa particolare circostanza non può passare inosservata.

PDF La relazione della commissione sulle rivolte 2020: Clicca qui!

Foto © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI

Sebastiano Ardita: mafie 'Al di sopra della legge' nelle carceri senza Stato
Di Giorgio Bongiovanni e Luca Grossi

Roberto Scarpinato: ''Sulle scarcerazioni errori del Dap e dei giudici''

Per Renoldi le visite ai 41 bis sono legittime, ma il messaggio resta grave

Coronavirus, l'ombra delle mafie dietro alle rivolte nelle carceri: ''Eseguite da manovalanza ma con la regia occulta della criminalità''

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos