Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Presentato a Milano il Podcast del Fatto Quotidiano

“Depistaggi, falsi colpevoli, un’agenda scomparsa, un’intervista dimenticata. La morte del giudice Paolo Borsellino è ancora oggi un caso irrisolto”. Di questi punti oscuri si è discusso ieri a Milano, durante l’incontro organizzato da WikiMafia al Tempio del Futuro Perduto per la presentazione di “Mattanza”: podcast in otto puntate ideato dal giornalista Giuseppe Pipitone e prodotto da “Il Fatto Quotidiano”. A trent’anni di distanza dalle Stragi di Capaci e di Via D’Amelio i misteri rimangono ancora tanti e a ridosso del 19 luglio si allontana la possibilità di raggiungere la verità per quello che rimane uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana. “Le sentenze si rispettano sempre - afferma Pipitone - ma attendiamo di conoscere le motivazioni che hanno portato a questa decisione per capire quello che il dispositivo non ha chiarito”. Con la sentenza emessa il 12 luglio dal Tribunale di Caltanissetta, infatti, è caduta l’aggravante mafiosa contestata dalla Procura a Mario BoMichele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre poliziotti della squadra guidata dal Prefetto Arnaldo La Barbera che, secondo l’accusa, avrebbero costretto il falso pentito Vicenzo Scarantino a confessare la propria partecipazione all’attentato contro il giudice Paolo Borsellino e a coinvolgere persone estranee all’attentato che furono ingiustamente condannate all’ergastolo. Se Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”, Bo e Mattei sono stati salvati dalla prescrizione, sebbene la loro condotta continui ad essere circondata da elementi di ambiguità perché quand’anche, come sostengono i membri della Corte presieduta da Francesco D’Arrigo“i poliziotti non avessero agito con lo scopo di favorire Cosa nostra”, rimane il fatto che le false accuse mosse da Scarantino e di cui, sempre secondo i giudici, almeno Bo e Mattei sarebbero stati consapevoli, avrebbero permesso di occultare la presenza di coloro che l’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino e dei parenti di Adele Borsellino, indica come “i responsabili ulteriori rispetto ad esponenti di Cosa Nostra”. “Questo è il quinto processo che si celebra sui fatti relativi alla strage di via d’Amelio – prosegue Pipitone – un altro segmento si aggiunge alla complessa ricostruzione di un depistaggio rispetto al quale, come giornalisti, abbiamo il dovere di continuare ad interrogarci, sempre che non si voglia credere alle coincidenze”. E nel parlare di dubbie casualità Pipitone richiama l’episodio accaduto a poche ore di distanza dall’esplosione in via d’Amelio, quando nel pieno dell’emergenza e prima di qualsiasi accertamento, l’agenzia Ansa comunicò che ad esplodere era stata una Fiat126: “caso vuole che i giornalisti fossero stati messi al corrente di un fatto che sarebbe stato verificato solo il giorno dopo, quando un perito della Fiat venne chiamato per accertare l’appartenenza del blocco motore rinvenuto sul luogo della strage, all’auto riempita di esplosivo”.

L’ultima intervista di Borsellino
Ci sono poi le anomalie che riguardano l’intervista rilasciata dal giudice Paolo Borsellino ai giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. Era il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci, e i due erano stati incaricati da CanalPlus di realizzare un documentario sui rapporti tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi. “Si trattava di una testimonianza di portata storica - sottolinea Peter Gomez, direttore del fattoquotidiano.it - perché Borsellino aveva parlato, anche piuttosto liberamente, delle indagini nei confronti di Vittorio Mangano, dei suoi rapporti con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, che di lì a poco sarebbe sceso in politica ma che allora era conosciuto in tutta Europa come presidente del Milan”. Un’intervista decisiva che, però, non andò mai in onda. Rimase nascosta finché nell’aprile del 1994 non venne pubblicata dal settimanale l’Espresso che proprio con Calvi aveva avuto modo di interagire. Pezzi mancanti di un puzzle incompleto che si sommano alle tante domande e alle mezze verità, nebbie che investono il Nord imprenditoriale e “l’inizio di fortune politiche che avranno rilevanza a livello nazionale”. Una parola su tutte descrive il rapporto tra Cosa Nostra e la capitale italiana dell’economia: riciclaggio.

Mafia al Nord
“Cosa Nostra - ribadisce Gomez - ha sempre avuto rapporti con gli imprenditori del Nord. È attraverso di loro che una parte del Tesoro di Cosa Nostra veniva portata all’estero ed è per questo che il loro timore è sempre stato che partendo da Palermo le indagini potessero fare un salto di qualità e raggiungere i picci”. Quando il magistrato Francesco Di Maggio ricevette le dichiarazioni che determinarono l’apertura dell’indagine denominata “San Valentino”, non si parlava ancora di esportazione illegale di valuta e a portare all’arresto dei “colletti bianchi” impegnati per conto delle cosche siciliane furono le dichiarazioni di un tale signor Maculan, già noto agli inquirenti per l’inchiesta “Pizza Connection”, riguardante i proventi del traffico di eroina.
“Maculan aveva raccontato a Di Maggio che Renato Della Valle, l’imprenditore con il quale aveva lavorato per tanti anni, aveva un ufficio in un palazzo di Piazza Diaz, dove venivano portati i soldi dell’evasione fiscale e i profitti illeciti che tramite esponenti di Cosa Nostra avrebbero dovuto essere trasportati in Svizzera per essere ripuliti. A un certo punto Maculan muore per un infarto e l’inchiesta viene archiviata da Gherardo Colombo per depenalizzazione del traffico di valuta. Stiamo dunque parlando di persone innocenti fino a prova contraria, ma stiamo anche ricostruendo dei fatti storici e non possiamo escludere che se le indagini fossero state portate avanti avrebbero potuto arrivare nel cuore del possibile o presunto riciclaggio. Non possiamo scartare quest’ipotesi e non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità, perché per ottenere la verità, per trovare le risposte bisogna immergersi nella realtà completamente e con coraggio”. Lo stesso di cui i giudici Falcone e Borsellino sono stati e continueranno ad essere un esempio.

ARTICOLI CORRELATI

Mattanza: le mani (quasi) invisibili che hanno sottratto l'agenda rossa di Borsellino

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos