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Il Fatto Quotidiano ricostruisce la vicenda partendo da un'Ansa del 1996

Le rivelazioni del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero, il coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie nella strage di Capaci e il ruolo dell’autista di Totò Riina, Salvatore Biondino. Sono gli argomenti centrali attorno ai quali si è incentrato il programma Report condotto da Sigfrido Ranucci lo scorso 23 maggio. Tanti gli spunti di riflessione, a partire da quello riguardante Lo Cicero che da quanto è emerso durante la trasmissione, già nel 1992 da un lato avrebbe svelato il coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie nella strage di Capaci e dall’altro avrebbe indicato Salvatore Biondino quale autista di Totò Riina già un anno prima del suo arresto avvenuto insieme al Capo dei Capi il 15 gennaio 1993.

A parlare con il giornalista di Report Paolo Mondani sono stati rispettivamente la compagna di Lo Cicero, Maria Romeo, riferendo circa il ruolo di Delle Chiaie, e il carabiniere Walter Giustini su Biondino. E proprio sulle rivelazioni su Riina-Biondino è tornato anche il Fatto Quotidiano che ieri con un articolo a firma di Marco Lillo ha cercato di ricostruire la vicenda mettendo in fila i punti e le informative. Tutto partendo da un’Ansa del 20 febbraio 1996 secondo cui agenti del commissariato di polizia Oreto di Palermo hanno indagato su un presunto tentativo di suicidio della Romeo. Stando all’agenzia, la donna si era presentata il 18 febbraio ‘96, accompagnata dai familiari, al pronto soccorso dell'ospedale ''Bucchieri La Ferla'' con alcune ferite ai polsi e sintomi di avvelenamento da farmaci. I medici nel referto hanno scritto che “si potrebbe trattare di un tentativo di suicidio”. La donna disse ai giornalisti di ''essere stata abbandonata dallo Stato perché il ministero degli Interni non vuole inserirla con i suoi due figli, di 13 e 9 anni, nel programma di protezione dei collaboratori di giustizia''. E al termine dell’agenzia dell’Ansa ecco la nota più importante: “Lo Cicero è il primo pentito di mafia ad avere indicato Salvatore Biondino come braccio destro di Totò Riina ed ha anche accusato il deputato di An, Guido Lo Porto, di aver beneficiato di voti di mafia”.

Riavvolgendo il nastro si ritorna al 20 dicembre 1992, quando un killer spara otto colpi d’arma da fuoco ad Alberto Lo Cicero, che ufficialmente faceva il falegname anche se pregiudicato e accompagnatore del boss Mariano Tullio Troia. Lo Cicero, che al tempo era 38enne, da un paio di anni si frequenta con la 27enne Maria Romeo, già sposata e separata da poco. Dell’agguato si pensa subito ad una pista passionale e il marito di Maria, incensurato, viene messo in carcere. Ma il brigadiere Giustini non si fida e convoca la Romeo alla quale, con tono duro, dice: “Se sai qualcosa parla ora perché altrimenti il padre dei tuoi figli resterà in galera e il tuo compagno sarà ucciso perché la mafia non lo grazierà”. Ed ecco che la donna racconta che Lo Cicero, come oggi sappiamo, era legato al boss Mariano Tullio Troia. Il movente diviene quindi mafioso e il marito innocente esce dal carcere.


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Da questo momento, come riporta Il Fatto, inizia un rapporto confidenziale con la Romeo e successivamente anche con Lo Cicero che per mesi parla di Biondino, del boss Troia e di altri perfetti incensurati che poi si scopriranno protagonisti dell'"attentatuni". Dovranno esplodere le bombe a Capaci e via d’Amelio prima che arrivi la sua collaborazione con la giustizia. Lo Cicero, inoltre, parla dei rapporti dei boss che stanno facendo le stragi. E qui sorge la domanda: seguendo quei boss, si sarebbero potute evitare? Un quesito delicato che ha subito solleticato la reazione dei pm nisseni.

Giustini, dal canto suo, con un comunicato stampa si è detto “messo alla berlina” dalla procura di Caltanissetta. Quella che ho riferito è la verità e non è negoziabile (…) – dice - non mi si può oggi incolpare del fatto che alcune mie relazioni sono sparite, assieme – almeno tanto traspare – a molti altri documenti.Il pentito Lo Cicero mi riferì che Biondino Salvatore era l’autista di Totò Riina - conferma Giustini -. Ciò fece già prima del suo arresto (il 15 gennaio 1993) e tanto io avevo comunicato tempestivamente. Ma il Lo Cicero non venne ritenuto attendibile. D’altro canto, fui proprio io a identificare compiutamente il Biondino dopo che il pentito Di Maggio indicò l’autista di Riina come Biondolillo Salvatore e ciò ho potuto fare proprio sulla base di quanto precedentemente riferitomi dal Lo Cicero”. E ancora: “Sono sparite le mie relazioni? Che si indaghi su questo”.

In un’intervista rilasciata nel 2017 a IlCaffe.tv, Giustini disse: “Balduccio Di Maggio (il pentito che portò il Ros capitanato da Ultimo sulla giusta pista investigativa, ndr) sbagliò il cognome. Disse Biondolillo ma io ero certo che fosse Biondino, un uomo su cui stavo indagando e che sospettavo da tempo essere al servizio di Riina, a quel punto mostrai a Di Maggio la foto di Biondino e lui esclamò: ‘Iddu è iddu’. Così richiamarono il capitano Ultimo e da lì partirono gli appostamenti che portarono alla cattura di Riina”.

Versione non concorde con quanto riportato nelle carte ufficiali dell’Arma, che, come sottolineato dal giornalista de Il Fatto Quotidiano, “non danno il merito a Giustini”: “In data 12 gennaio ‘93 il Di Maggio, nel corso di uno dei sopralluoghi effettuati con il mar.llo Rosario Merenda del gruppo 2 del Nucleo Operativo, ne indicò l’abitazione in via San Lorenzo, sicché si pensò di mostrargli la fotografia di un certo Salvatore Biondino, residente in quella stessa zona e già all’attenzione delle forze dell’ordine: questa intuizione investigativa consentì l’identificazione del Biondolillo proprio nel suddetto Biondino”. Questa versione è contenuta nella sentenza di assoluzione per Mario Mori sulla mancata perquisizione del covo di Totò Riina.

Il capitano Merenda ha confermato a Il Fatto Quotidiano che “fu Di Maggio a indicarci l’indirizzo dove abitava questo Biondolillo. Era in via Tranchina nel quartiere San Lorenzo. Andammo con Di Maggio sul posto. Così identificammo Biondino. Non ricordo un ruolo di Giustini’”.

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