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Il corteo del 23 maggio è stato una sorpresa perché non ci aspettavamo una tale partecipazione giovanile proveniente anche da altre parti d’Italia”. Sono le parole di Marta Capaccioni, giovane integrante del Movimento Our Voice e studentessa di giurisprudenza all’Università di Palermo (membro anche dell’ass. universitaria Contrariamente), che intervistata da Alviano Appi su Radio Saiuz ha raccontato i retroscena del corteo che lo scorso 23 maggio ha attraversato la città di Palermo per commemorare il trentennale dalla strage di Capaci. Un corteo che ha toccato “seimila persone”. “Un sogno realizzato perché il nostro intento era riportare i giovani nella strada per gridare ‘Fuori la mafia dallo Stato’ come avvenne dopo le stragi di mafia del ’92 - ha continuato la giovane -. Era anche un modo per distaccarci da ogni tipo di passerella politica e istituzionale che, come ogni anno, si verifica durante le commemorazioni. Il nostro obiettivo era riattivare l’antimafia popolare: in primis dei giovani di Palermo che da anni vivono la presenza della mafia sulla propria pelle. Ma la bellezza del corteo è data anche dalla sua intersezionalità, dalla sua inclusività e dal fatto che ha attraversato anche alcuni quartieri popolari della città, spesso dimenticati dall’alta borghesia. Quelli in cui la presenza mafiosa si fa sentire maggiormente a causa del pizzo, ad esempio”.

Quello che ci lasciamo alle spalle, “è stato un mese in cui si è vissuta una tensione politica non indifferente a Palermo”, ha detto Marta. “Noi abbiamo denunciato ogni referente politico, venuto in trasferta per le amministrative, per non aver posto come priorità la lotta alle mafie. Questa battaglia è un nostro ‘must’ - ha detto -. Di antimafia si sente parlare tanto ultimamente ma solo per propaganda e come vessillo per acciuffare voti. Il nostro messaggio di denuncia è incentrato in particolare nei confronti del candidato sindaco Roberto Lagalla che è stato promosso e sostenuto da uomini come Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro: il primo condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, il secondo per favoreggiamento. È stato detto più volte che questi personaggi avendo scontato la pena hanno libertà di esprimere la propria opinione. Vero, ma c’è un problema di responsabilità politica, di etica e di morale. Cose che nel nostro Paese mancano e non valgono nulla, come dimostra l’assenza di indignazione popolare da parte della cittadinanza dinnanzi a questo candidato. Non ci fermiamo e non lo faremo con il termine delle elezioni”.

Tra gli altri temi dibattuti in trasmissione anche l’appoggio e il sostegno alla magistratura che sta portando avanti le indagini di mafia come “Nino Di Matteo, Nicola Gratteri, Giuseppe Lombardo, Luca Tescaroli. Magistrati che come 30 anni fa oggi vengono isolati, delegittimati e attaccati anche dagli organi di cui fanno parte. Magistrati per cui sono stati progettati attentati”. “Non vogliamo altri eroi - ha continuato Marta -. Vogliamo che loro possano continuare a lavorare in serenità per poter liberare il nostro Paese dalle mafie rivelando i suoi rapporti alti oltre che con il potere politico, economico, massonico, ecclesiastico e tanto altro”.

Infine, Marta ha posto l’attenzione sulle riforme che il Legislatore sta cercando di fare. “Sfruttando l’attuale periodo di debolezza della magistratura, conseguente allo scandalo Palamara, si attacca la magistratura come se l’intero organo fosse affettato da un tumore”. “No, è falso! - ribadisce con forza la giovane - Ci sono alcune mele marce, ma ci sono anche magistrati che lottano e indagano contro la mafia e la corruzione in maniera onesta e quotidiana. Si sta attentando all’autonomia e all’indipendenza della magistratura”. E ancora: “Con la riforma della giustizia si vuole fare in modo che sia il Parlamento a indicare le priorità alla magistratura circa le indagini. Questo abolirebbe l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. E creerebbe un vulnus senza precedenti con cui la politica renderebbe la magistratura servile al potere politico e la svilirebbe del suo esercizio della funzione penale. Si potrebbero priorizzare i reati bagatellari piuttosto che i reati che coinvolgono i colletti bianchi e la pubblica amministrazione”. La stessa cosa sta avvenendo nei confronti di “una serie di strumenti normativi antimafia ideati e fortemente voluti da Falcone per contrastare la criminalità organizzata”. “La collaborazione con la giustizia, ad esempio, così come l’ergastolo ostativo, sono sempre stati due strumenti che hanno permesso di andare avanti con le indagini e la ricerca delle verità - ha proseguito -. Cosa nostra da sempre ha voluto abolirli perché sono strumenti di contrasto efficaci. Ma attenzione, con ciò non voglio dire che la rieducazione della pena non serva. Al contrario: è una priorità costituzionalmente fondata. Ciò non toglie, però, che va fatta una distinzione tra i detenuti condannati per mafia e gli altri. Dalla mafia si esce o con la collaborazione con la giustizia o con la morte, come dicono alcuni collaboratori di giustizia e gli addetti ai lavori. Ricordo che stiamo parlando di soggetti che nonostante il regime carcerario riescono a comandare ugualmente l’organizzazione mafiosa all’esterno. Quindi la loro rieducazione alla pena deve passare attraverso la collaborazione con la giustizia”.

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