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Tra gli arrestati anche Antonino Lo Nigro

I Carabinieri e la Polizia di Stato questa notte hanno eseguito 31 misure di custodia cautelare (29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) nei confronti dei nuovi boss e degli affiliati del mandamento mafioso di Brancaccio a Palermo. I 31 destinatari della misura sono ritenuti a vario titolo gravemente indiziati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale e estorsione con l'aggravante del metodo mafioso.
Le misure sono state eseguite a Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, che ha consentito di far luce sull’organizzazione delle famiglie mafiose dei mandamenti di Ciaculli e Brancaccio, compresi i clan di Corso dei Mille e Roccella. Tra gli arrestati c’è Antonio Lo Nigro, 43enne narcotrafficante in rapporti con l’Ndrangheta, esponente di una delle famiglie più blasonate di Cosa nostra: suo cugino, Cosimo, era stato incaricato di procurare l’esplosivo per la strage Falcone, poi fece parte del commando che uccise don Pino Puglisi e organizzò le stragi del 1993.
Gli affiliati, secondo gli inquirenti, sono stati anche accusati di furto di circa 16mila mascherine FFp3, avvenuto in piena pandemia.
E poi ancora la famiglia di Ciaculli che avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte direttamente alla conduttura 'San Leonardo', di proprietà del Consorzio di bonifica Palermo 2.  Gli affiliati sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l'acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini di Ciaculli, Croceverde Giardini e Villa.
Gli investigatori hanno in tutto documentato oltre 50 estorsioni ai danni di titolari di esercizi commerciali, sempre oggetto di attenzione dell'articolazione mafiosa.
Nell’ordinanza di applicazione misure cautelari il gip sottolinea come la scelta di vita degli indagati sia “fondata, già in termini culturali e ideali, su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole “sbirro” o “carabiniere” quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate”, richiamandosi ad un’intercettazione di un boss risalente al maggio del 2019, in cui “bacchettava il familiare di un coindagato perché voleva far partecipare la figlia alle iniziative scolastiche organizzate per commemorare i giudici Falcone e Borsellino".
Il provvedimento - emesso dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo - segue quello di fermo eseguito nel luglio 2020.

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