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Ai piedi del Sasso di Barbato chieste verità e giustizia per le 11 vittime, ma anche diritti per i lavoratori e la fine della guerra in Ucraina

Un timido sole, come timida è ancora la verità sulla strage, ha scaldato le centinaia, quasi un migliaio, di persone che hanno sfilato a Piana degli Albanesi radunandosi attorno al Sasso di Barbato questa domenica di primo maggio a Portella della Ginestra. Qui, 75 anni fa veniva consumata, proprio nel giorno dedicato ai lavoratori, la prima strage della storia della Repubblica. Quel 1° maggio 1947, caduto il regime e vinte le elezioni regionali siciliane da parte della lista socialcomunista Blocco del popolo, circa duemila lavoratori di Piana degli Albanesi, di San Giuseppe Jato, San Cipirello, e altri paesi vicini, quasi tutti contadini, erano saliti a festeggiare a Portella della Ginestra, luogo originario della festa, in precedenza spostata di data al 21 aprile, Natale di Roma, dai dirigenti fascisti. Un’occasione per trascorrere insieme una giornata di gioia e successi politici costati fatica e sangue, ma anche una giornata di protesta contro il latifondismo e di richiesta di assegnazione di terre incolte, secondo una legge dello Stato.


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Nessuno avrebbe immaginato che sulla vallata sarebbe piovuta quella mattina una pioggia di fuoco che provocò l’uccisione di 11 persone e il ferimento di 27. Le vittime, così come riportate dalla pietra incisa posta sul luogo del massacro, furono otto adulti e tre bambini. Si tratta di Margherita Clesceri (47 anni), Giorgio Cusenza (42 anni), Giovanni Megna (18 anni), Francesco Vicari (23 anni), Vito Allotta (19 anni), Serafino Lascari (14 anni), Filippo Di Salvo (48 anni), Giuseppe Di Maggio (12 anni), Castrense Intravaia (29 anni), Giovanni Grifò (12 anni), Vincenzina La Fata (8 anni). Tutti nomi che ieri Serafino Petta, ultimo sopravvissuto ancora in vita che all’epoca aveva soli sedici anni, ha ricordato leggendoli, emozionato, a inizio cerimonia. “In questa piana si è consumata una delle stragi più efferate della storia italiana. La prima vicenda che resterà purtroppo impunita nella storia dell'Italia repubblicana”, ha detto il segretario generale Flai Cgil nazionale Giovanni Mininni prendendo in seguito la parola.


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Il sopravvissuto alla strage, Serafino Petta


Verità e giustizia, insieme a lavoro e pace sono le parole che sono passate di bocca in bocca nella piana. “Oggi a distanza di 75 anni di distanza da quell'eccidio mancano ancora una verità storica e giuridica”, ha affermato il sindaco di Palermo e presidente dell'Anci Sicilia Leoluca Orlando. “Un vuoto che mortifica i diritti per la cui difesa, come fecero i rappresentanti dei braccianti, i dirigenti sindacali e gli esponenti della sinistra che a Portella festeggiavano il Primo maggio, dobbiamo continuare a lottare: i diritti previsti dalla Carta Costituzionale tra questi il diritto al lavoro sancito dalla nostra Costituzione e soprattutto il diritto alla pace, oggi purtroppo mortificato da una guerra assurda". La sensazione, calpestando la vegetazione della vallata e contemplando la maestosità della piana, è che il tempo qui si sia fermato. Un po’ per la sacralità dei pietroni stanti sul luogo della strage: possenti, incorruttibili.





Un po’ perché le voci di protesta che scendono dalla valle sono sempre le stesse da decenni: diritti ai lavoratori e rispetto dei valori fondanti della Repubblica, “scelta all'epoca dagli Italiani come forma di governo”, come ha ricordato Mario Ridulfo, segretario generale della Cgil di Palermo. Lavoro e pace sono le due tematiche che ieri hanno camminato insieme nel corso delle celebrazioni, precedute dal corteo in cui hanno sfilato lavoratori, sindacalisti, politici, attivisti ma anche gente comune che dopo due anni di pandemia sono potuti tornare a manifestare a Portella. "Mentre il mondo guarda alla guerra - ha affermato il segretario generale Ridulfo riferendosi alla guerra in Ucraina - tocca ancora una volta alle persone che per vivere lavorano, alle lavoratrici e ai lavoratori, sostenere una forte iniziativa, una forte mobilitazione per la Pace e per il Lavoro”.


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"Il Primo Maggio, la Festa dei Lavoratori, non è il nostro punto di arrivo di un percorso, ma il nostro punto di continuità, di una mobilitazione per il Lavoro che non si è mai fermata e che adesso ha bisogno di continuare anche per la Pace, perché senza pace e giustizia sociale il lavoro è solo sfruttamento". Dal pianoro di Portella, è quindi stato inviato un forte messaggio di solidarietà alle donne e agli uomini, ai bambini e agli anziani che da due mesi “sono martoriati dalle bombe e dalla violenza di una aggressione che ha i caratteri nazionalisti, sovranisti e neoimperialisti”, ha affermato. Aggressione che presto potrebbe trasformarsi in guerra totale, come lasciano intendere Stati Uniti e Russia da settimane. “Gli orrori della guerra in Ucraina rischiano di trasformarci tutti in potenziali vittime di un olocausto nucleare”, ha detto sempre Ridulfo condannando l’invasione russa come crimine di fronte alla storia.


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La strage impunita e l’ombra degli alleati
La strage di Portella della Ginestra venne organizzata dagli uomini di Salvatore Giuliano - bandito legato alla mafia, come provano documenti di recente venuti alla luce - ma i mandanti non sono mai stati individuati. Il rapporto dei carabinieri sulla strage, compilato mesi dopo, faceva chiaramente riferimento a "elementi reazionari in combutta con i mafiosi”. Come ha scritto sulla nostra testata Salvo Vitale, amico e compagno di Peppino Impastato, presente ieri insieme ad altri volti storici dell’antimafia come Vincenzo Agostino: “Inchieste e indagini certificarono come Giuliano fu una pedina all'interno di una macchinazione molto più complessa di quello che egli stesso poteva immaginare, dietro cui si celavano gli interessi dei grandi latifondisti, della mafia e dei servizi segreti americani, preoccupati dall’avanzare del comunismo in Sicilia, assieme a parecchi esponenti fascisti che gli americani avevano inserito nei loro servizi come collaborazionisti”.
Sempre Vitale aveva ricordato come “lo storico Giuseppe Casarrubbea, figlio di uno dei sindacalisti uccisi nel 1947 (Partinico 22 giugno), dopo un attento esame dei documenti americani desecretati dell’OSS e del CIC (sigle dei servizi segreti americani), è arrivato alla conclusione che a Portella della Ginestra spararono anche delle lanciagranate in dotazione alla Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, cooptata dai servizi segreti USA. I manifestanti si trovarono quindi sotto il tiro e la sorveglianza della banda Giuliano, dei mafiosi di San Giuseppe e Sancipirello e dei fascisti di Borghese”.


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“Le successive ricostruzioni hanno cercato di dimostrare, senza grandi risultati, che Giuliano avrebbe sparato per spaventare i dimostranti, ma che, poco più avanti a lui avrebbe sparato direttamente sui manifestanti Salvatore Ferreri, detto Fra Diavolo, uno dei componenti della banda, nella quale era stato infiltrato, assieme ai suoi uomini, da Ettore Messana, capo della polizia in Sicilia”. Al processo di Viterbo il bandito Gaspare Pisciotta, dichiarò di avere ucciso successivamente Salvatore Giuliano e fece i nomi dei deputati monarchici Giovanni Alliata Di Montereale, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso, e quelli dei democristiani Bernardo Mattarella e Mario Scelba (al tempo ministro dell'Interno, ndr), accusandoli di essersi incontrati con il bandito Giuliano per pianificare la strage, ma tuttavia la Corte dichiarò infondate tali accuse di Pisciotta poiché il bandito aveva fornito nove diverse versioni sui mandanti politici della strage.


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Sulla strage di Portella rimane così un velo di mistero ancora non squarciato anche perché lo stesso Pisciotta, protagonista di quella stagione e braccio destro di Giuliano, venne avvelenato con una dose letale di stricnina. Dopo 75 anni, dunque, non è mai stata fatta chiarezza su chi abbia dato l'ordine di sparare al bandito legato alla mafia, come provano documenti di recente venuti alla luce. Per molti Salvatore Giuliano ha agito su mandato degli agrari e dei mafiosi di San Giuseppe Jato che spargendo sangue volevano lanciare un chiaro messaggio al movimento contadino e schiacciare lo spirito di protesta e le richieste avanzate da quest’ultimo. Ma secondo storici, come il compianto professore Nicola Tranfaglia, dietro la strage ci sarebbe stata anche la longa manus degli Stati Uniti, inquieti per la vittoria del "Blocco popolare" alle elezioni regionali - dove comunisti e socialisti insieme si erano assicurati più del 30 percento dei voti - e che non ammettevano al potere forze di sinistra comuniste. Uno scenario che Tranfaglia descrisse in numerosi articoli e libri e che ieri i giovani del Movimento Our Voice, presenti alla piana insieme ad altre associazioni e sigle, hanno tradotto nella loro rappresentazione artistica raffigurante gli Stati Uniti, la massoneria, la mafia e la giustizia cieca. Un’esibizione stante alla quale è stato apposto un manifesto con scritto: “Mafia, servizi segreti USA e fascisti. Così nasce la prima strage di Stato”. I giovani, alle telecamere che si avvicinavano, sono stati chiari nei messaggi che hanno inteso lanciare: “Siamo qui per commemorare un evento su cui ancora non abbiamo giustizia e verità”, ha detto Sonia Bongiovanni, direttrice del gruppo. “Chiediamo la declassificazione degli atti che dopo 75 anni sono ancora coperti da segreto di Stato”.

Foto © Davide de Bari

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