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“Il crimine organizzato in Russia, ed in particolare quello del narcotraffico, rappresenta il problema più serio per il nostro Governo”.
Era terminato con questa frase l’incontro alla DCSA (Direzione Centrale per i Servizi Antidroga - Dipartimento della Pubblica Sicurezza), una ventina di anni fa, con due rappresentati della diplomazia russa venuti per conoscere l’organizzazione dell’ufficio centrale italiano, a composizione interforze, deputato al coordinamento delle attività di polizia nel contrasto al traffico di stupefacenti.
Analoghi segnali di allarme giungevano dall’esperto antidroga italiano distaccato a Mosca che segnalava “..come il narcotraffico illegale e l’abuso di droga erano diventati un problema molto serio per la società russa tanto da minacciare direttamente la sanità della nazione e la sicurezza dello Stato”.
Oggi la situazione è molto peggiorata e se è vero che buona parte del commercio illegale di droga è rappresentato dalla cannabis selvatica che cresce spontaneamente su oltre due milioni di ettari nel sud della Siberia e nella regione nord caucasica, che il commercio delle droghe sintetiche si è diffuso enormemente (centinaia di laboratori clandestini installati in appartamenti, scantinati, garage), che la cocaina colombiana arriva in gran quantità (destinata anche ai mercati europei) e che ci sono alcuni milioni di tossicodipendenti in Russia.
Bene avrebbe fatto il presidente Putin a rivolgere la dovuta attenzione a questi problemi in casa sua anziché fare la guerra in Ucraina considerata una “nazione di drogati”.
Il panorama delle mafie in Russia è piuttosto complesso e soltanto negli ultimi anni è stato possibile ricavare, da documenti giudiziari e di polizia, informazioni più rigorose quanto alle sue strutture interne e alle dinamiche che ne scaturiscono.
Va sottolineato, allora, che in Russia non vi è una organizzazione mafiosa egemone e, sotto questo aspetto, è inesatto parlare di una “mafia russa”. Gli esperti evidenziano un processo di concentrazione del potere criminale in seno a 150-200 gruppi mafiosi che si sono spartiti il controllo di ben definite aree territoriali al termine di vere e proprie guerre tra i diversi gruppi.
L’aspetto più preoccupante in questo panorama mafioso sta nel fatto che i boss delle varie organizzazioni godono di grande considerazione sociale, sono visti come modelli di successo da imitare. Ciò consente loro di ostentare sfacciatamente il loro potere e il loro denaro, consapevoli dell’impunità di cui godono, alla maniera dei nostri camorristi.
Il particolare, poi, che Putin avrebbe commissionato alla mafia cecena il compito di uccidere il presidente ucraino Zelensky (operazione non andata a buon fine grazie, sembra, ad una “soffiata” ricevuta dai servizi di sicurezza ucraini che avrebbero neutralizzato una “batteria” di ceceni incaricati per tale missione), ci offre lo spunto per ricordare che è proprio ceceno il gruppo etnico criminale più importante, specializzato in truffe, furti di autovetture, prostituzione e traffico di stupefacenti ma anche nei sequestri di persona. Proprio in questo settore specifico i ceceni avrebbero conquistato, in alcune importanti zone, il monopolio del traffico.
I ceceni, insieme ad altri gruppi strutturati in clan a carattere etnico - georgiani, azeri, daghestani, ingusci e osseti - rappresenterebbero la cosiddetta mafia caucasica, in quanto tali popolazioni, per lo più di religione musulmana, sono stanziate nei territori compresi tra il Mar Nero, il Caspio e la catena del Caucaso.
La criminalità di matrice cecena ha una sua consistente presenza in diverse città russe e, in particolare, a Mosca conta su molte migliaia di affiliati, nell’ambito di una immigrazione più genericamente caucasica. Pare che la mafia cecena abbia costruito gran parte delle sue ricchezze iniziali “succhiando” dagli oleodotti di petrolio che partono dalla capitale Groznj.
Se la Cecenia è parte della Russia come Putin continua ad affermare, allora anche la mafia cecena, anzi le mafie cecene, sono parte del variegato e aggrovigliato panorama della criminalità della CSI.

Tratto da: liberainformazione.org

Foto: it.depositphotos.com

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