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Nell'udienza preliminare sui presunti illeciti il gup ha mandato a processo il professor Stefàno, l’ex rettore Dei e l’ex dg Monica Calamai e altri 6 soggetti

Nei giorni scorsi a Firenze si è verificato un vero e proprio terremoto fra i camici della “Medicina bene”. Da un’inchiesta giudiziaria - coordinata dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli e dal pm Antonino Nastasi (che ha ereditato il fascicolo dalla pm Angela Pietroiusti) -, è infatti emerso che il concorso per la cattedra da professore associato di cardiochirurgia a Careggi sarebbe stato cucito su misura del candidato prescelto. Nei giorni scorsi, infatti, il gup Agnese Di Girolamo ha mandato a processo nove persone: Pierluigi Stefàno, vincitore di quel concorso nel 2018 (tra i cardiochirurghi più noti in Italia); l’ex direttore generale di Careggi Monica Calamai; l’ex rettore Luigi Dei; l’ex prorettore Paolo Bechi; i professori di Careggi Marco Carini, direttore dell’urologia oncologica; Niccolò Marchionni, primario della cardiologia; Corrado Poggesi, direttore di medicina sperimentale e clinica; e i due membri della commissione che dichiarò il vincitore, Andrea Maria Giuseppe D’Armini di Pavia e Roberto Di Bartolomeo di Bologna. Il terzo componente della commissione è deceduto.

Il 1° febbraio 2022 si celebrerà il processo davanti alla terza sezione del tribunale. Nel corso dell’udienza preliminare - apertasi lo scorso marzo e protrattasi per sette udienze -, però, l’Ateneo non si è costituito parte civile.

L’origine dell’inchiesta risale ad un esposto del professore “sconfitto” Sandro Gelsomino (ex cardiochirurgo di Careggi e ora ordinario all'Università di Maastricht), presentato dall'avvocato Niccolò Lombardi Sernesi. L’accusa contenuta nell’esposto sosteneva che quel posto era destinato fin dall’origine a Stefàno. La Procura ha ipotizzato, infatti, l’esistenza di un vero e proprio “sistema” che avrebbe portato al bando sartoriale per Stefàno e prima ancora a quella che gli inquirenti ritengono un’attività di intimidazione nei confronti di Massimo Bonacchi, associato di cardiochirurgia, che avrebbe ricevuto pressioni dai vertici di Careggi, affinché inserisse il nome di Stefàno in qualità di coautore delle sue pubblicazioni scientifiche. Precostituendo così i titoli accademici necessari per fargli vincere il concorso. Il caso era finito anche al Tar, che nel novembre 2019 aveva dichiarato legittimo il concorso respingendo il ricorso di Gelsomino.


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Ad oggi i pm, oltre all’abuso d’ufficio, ipotizzano anche la tentata concussione per Stefàno, Bechi, Poggesi, Carini e Marchionni che avrebbero minacciato Bonacchi di tagliarlo fuori dall’attività chirurgica se non avesse collaborato a questo progetto “voluto dal rettore e dalla direttrice generale di Careggi” che volevano unificare la cardiochirurgia universitaria con quella ospedaliera.

"Calamai promuoveva il progetto di unificazione della cardiochirurgia universitaria con quella ospedaliera - scriveva il pm nell'atto di conclusione indagini - assicurando il finanziamento, facendo pressioni e sostenendo unitamente a Dei il primario ospedaliero Stefano per il ruolo di professore associato del dipartimento di medicina sperimentale e clinica di Unifi". Stefano, insieme con Marchionni e Poggesi, avrebbe direttamente partecipato "alla redazione del bando, individuando i requisiti per i candidati e i criteri di valutazione che avrebbe dovuto adottare la commissione esaminatrice nel selezionare i candidati, nonché attivandosi per ricordali alla commissione e indicando preventivamente ai commissari il candidato che volevano vincitore a prescindere da ogni valutazione di merito".

Ecco Concorsopoli, dunque, un vero e proprio “sistema” cancerogeno nel cuore di un’Azienda Ospedaliero-Universitaria (sita nel cuore dell’Italia) il cui scopo fondamentale - si legge nel sito - consiste nel: “Raggiungimento del più elevato livello di risposta alla domanda di salute, definita questa come recupero e mantenimento della salute fisica, psichica e sociale […]”. Peccato che questa volta il soggetto da curare sia la Careggi stessa e la cardiochirurga sia la magistratura. Ci auguriamo che il camice si possa ricucire a modo.

Foto © Imagoeconomica

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