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La verità sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro? "E' stata massacrata da un massiccio e mirato depistaggio". Così avevano scritto i giudici della Corte d'assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza che nel giugno 2011 mandò assolto "per non aver commesso il fatto" Totò Riina, accusato di essere il mandante dell'omicidio del cronista siciliano.
A cinquantuno anni di distanza dal suo sequestro, avvenuto a Palermo, attorno alle nove di sera in via delle Magnolie, nonostante inchieste e processi, il caso resta "senza colpevoli". Ed i buchi neri sulla vicenda "parlano".
Perché Mauro De Mauro, dopo un passato da "fascista" nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese, e in passato accusato di aver partecipato all’eccidio delle Fosse Ardeatine (assolto nel ’48 dalla Corte di Assise di Bologna), era riuscito a diventare giornalista. Non uno come tanti, ma uno di quelli con la "G" maiuscola. Tanto bravo da essere assunto dal quotidiano di sinistra L’Ora dove si specializza nelle inchieste, anche di mafia, capace di andare oltre i fatti. 
Ed è per quelle inchieste che, probabilmente, è stato ucciso, anche se negli ultimi tempi era stato "declassato" all'interno del giornale, spostato nel settore dello sport. 
Quel che è certo è che negli ultimi tempi aveva raccontato di avere per le mani qualcosa di veramente grosso, "uno scoop da far tremare l'Italia". 
Ad alcune persone aveva parlato del suo lavoro per conto di Francesco Rossi: la stesura di una sceneggiatura per un film su Enrico Mattei, ricostruendo gli ultimi giorni di vita, in Sicilia, di Enrico Mattei, ed in particolare su quanto accaduto il 27 ottobre 1962, quando l'aereo del presidente dell’Eni esplose in volo nel cielo di Bascapé, nel Pavese. 
Anche quella una morte misteriosa e dai contorni bui. Perché Mattei con le sue politiche petrolifere si era scontrato con le “Sette sorelle” ed era entrato nel mirino di servizi segreti internazionali e di gruppi terroristici. E quella bomba piazzata prima che l’aereo decollasse dall’aeroporto di Catania, vedeva la mano della mafia (come raccontato da alcuni collaboratori di giustizia), ma per conto di altri soggetti. 
E De Mauro stava scavando a fondo realizzando un'indagine approfondita in cui sarebbe anche riuscito a scoprire i nomi delle persone che erano al corrente dell’orario di partenza del volo di rientro di Mattei, all’epoca tenuto segretissimo per ragioni di sicurezza.
Per portare avanti l'incarico De Mauro si muoveva sul campo, a Gela ed a Gagliano Castelferrato, dove anni prima si era recato Mattei, intervistando e contattando i vari personaggi incontrati dal presidente dell’Eni in Sicilia.
Quegli appunti per la sceneggiatura, hanno raccontato alcuni testimoni, erano stati inseriti in una busta gialla, che in molti ricordano di avere notato tra le mani di De Mauro fino al giorno stesso della scomparsa. Busta ovviamente scomparsa. 
E negli ultimi giorni, hanno ricordato i familiari, "ascoltava e riascoltava in continuazione" un nastro che aveva trovato durante la sua ricerca.
Quel che è certo è che dopo la scomparsa di De Mauro le indagini si mossero in più direzioni con carabinieri e polizia che seguirono strade divergenti. Secondo i carabinieri il giornalista sarebbe incappato in un grosso traffico di droga e per questo sarebbe stato eliminato dalla mafia. La polizia puntò invece, con molta prudenza, sulla “pista Mattei".
Un'altra pista ha riguardato gli elementi che De Mauro avrebbe in qualche modo appreso sul noto Golpe Borghese che avrebbe dovuto consumarsi nella notte dell’8 dicembre del 1970, organizzato dall’ex comandante della Decima Mas.
Oggi, giorno della memoria per quel caso che resta uno dei grandi misteri della storia d'Italia, viene riproposta anche un'altra pista possibile, proposta in un articolo sul sito web “L’Ora edizione straordinaria”, di Francesco La Licata, ex inviato de La Stampa e grande esperto di cose di mafia.
Una pista basata su un rapporto basato sulla testimonianza raccolta dal commissario Boris Giuliano, ucciso dalla mafia nel 1979, per cui De Mauro, accompagnato dal commercialista Nino Buttafuoco (l’uomo che entrerà pesantemente nelle indagini per poi essere prosciolto), sarebbe stato nella cancelleria della "sezione Commerciale" del tribunale di Palermo in cerca di notizie sulle esattorie dei cugini Nino e Ignazio Salvo. 
Questo testimone avrebbe anche raccontato di aver appreso dal giornalista che questi era in cerca di prove "su una colossale frode in danno dell’Erario". 
Una sorta di corruzione che avrebbe avuto l'intento di finanziare la politica. L'ipotesi è che le carte di queste indagini fossero inserite proprio nella busta gialla scomparsa. 
Questa pista sui finanziamenti in nero che dai cugini Ignazio e Nino Salvo partivano verso la Democrazia cristiana, al tempo, erano sicuramente qualcosa di grosso, specie se si considera che i Salvo erano strettamente legato alla corrente del senatore Giulio Andreotti. 
Anche per quei rapporti con i Salvo il sette volte Presidente del Consiglio finì nel mirino della procura di Palermo e quindi alla sbarra, nel processo in cui scattò la prescrizione per i reati precedenti al 1980.
Era dunque quell'intreccio tra imprenditoria e politica che De Mauro aveva scoperto?
Difficile dirlo. 
Nelle motivazioni della sentenza dei giudici di Cassazione, depositate nel febbraio 2016, rispetto alla causale della scomparsa, e del successivo omicidio, si dice che sarebbe “individuabile nelle informazioni riservate di cui la vittima era entrata in possesso in relazione alla sua attività professionale (verosimilmente - anche se non certamente - riconducibili, secondo le risultanze del processo di merito, al coinvolgimento di esponenti mafiosi nella morte di Enrico Mattei)”. Una vicenda che sul piano nazionale ed internazionale, avrebbe davvero scosso un intero Paese.
Cinquantuno anni dopo resta la memoria. Così questa mattina si è tenuta la tradizionale commemorazione del giornalista. Alla cerimonia, promossa dal Gruppo cronisti siciliani dell'Unci (Gruppo dell'Assostampa siciliana), era presente la figlia di De Mauro, Franca, il prefetto di Palermo Giuseppe Forlani, il questore Leopoldo Laricchia, il comandante provinciale della Guardia di finanza, generale Antonio Quintavalle Cecere, ufficiali, sottufficiali e funzionari della Dia, dell'Arma dei carabinieri, dell'Esercito e della polizia municipale, rappresentanti del Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, il presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia Giulio Francese, il presidente dell'Unci Sicilia Giuseppe Lo Bianco ed il vicesegretario regionale dell'Assostampa Roberto Leone ed il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.

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