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Depositate le motivazioni della sentenza vaticana che ha condannato il successore di Marcinkus e Liuzzo

50 contratti di vendita “sottostimati”, relativi a 29 immobili, ed ecco che il grande patrimonio immobiliare delle casse dello Stato Vaticano fra il 2001 e il 2008 è stato prosciugato. E’ questa la vicenda che mesi fa ha portato il Tribunale del Vaticano a condannare lo scorso gennaio a 8 anni e 11 mesi per riciclaggio, appropriazione indebita aggravata e peculato l’ex presidente dello Ior, Angelo Caloia, 81 anni - successore di Paul Marcinkus - e Gabriele Liuzzo, 97 anni. Per circa la metà degli immobili, infatti, gli imputati sono stati assolti per insufficienza di prove “pur in un contesto di gravi anomalie”. Secondo le accuse del Promotore di Giustizia (il corrispettivo della Procura in Vaticano) in breve gli immobili erano stati venduti a un prezzo molto sgonfiato rispetto all’effettivo valore di mercato, con una differenza di 57 milioni di euro - poi ridotti a 31 milioni in sede dibattimentale - a danno dell’Istituto. Soldi transitati, secondo i giudici, nei conti in Svizzera riconducibili agli imputati. Una sentenza storica per il Vaticano. Mai prima d’ora infatti si erano verificate condanne con pene detentive per reati finanziari. Condanne a cui si aggiungono i risarcimenti allo Ior, costituitosi parte civile - rappresentato dall’avvocato Alessandro Benedetti - insieme alla società Sgir difesa dai legali Marcello Mustilli e Roberto Lipari. Lo scorso 16 luglio sono state depositate le motivazioni della sentenza. Da qui si ha accesso all’intera cronistoria della vicenda, scoperchiata grazie all’indagine interna affidata nel 2014 dall’attuale dg dello Ior, Gian Franco Mammì - con il placet di Papa Francesco in persona - alla società Promontory. La tabella dei 50 immobili oggetto della svendita conta alcuni edifici presenti in zone prestigiose di Roma e, in un caso, anche di Milano. Una buona parte di questi finì a una società denominata Marine Investimenti Sud, che in particolare si aggiudicò un vasto complesso immobiliare di via Pineta Sacchetti. Come conferma il documento sottoscritto da Giuseppe Pignatone, la società faceva riferimento a Michele D’Adamo, condannato in via definitiva nel 1997 a 6 mesi nell’ambito del noto processo sulla maxi-tangente Enimont, per il suo ruolo di collaboratore dell’ex deputato del Psi, Filippo Fiandrotti (è bene ricordare che i circa 150 miliardi di lire della tangente transitarono proprio sui conti dello Ior). D’Adamo è totalmente estraneo a questa inchiesta, ma, secondo i giudici, il fatto che la compravendita sia avvenuta con una società riconducibile a un condannato in via definitiva “contrasta contro uno dei requisiti, l’irreprensibilità degli acquirenti, necessari per la vendita”. Fra le società acquirenti compare la Collina Verde srl, che nel 2004 acquistò per 2 milioni di euro un’intera palazzina di quattro piani, con appartamenti da dieci locali ciascuno nella zona dell’Aventino. L’intero capitale della società risultava intestato alla Woodhill Homes di Londra. Nel 2015 la Collina Verde ha venduto l’immobile a San Pancrazio srl (estranea all’inchiesta), a destinazione alberghiera.
Ai fini del giudizio si è rivelata decisiva la perizia economico-finanziaria assegnata a Luigi Gaspari, dove si parla di “assenza di perizie aggiornate” rispetto al piano di dismissione, in cui si afferma, ad esempio “che non risulta nessuna giustificazione tecnica per il mancato accoglimento di offerte nettamente superiori al prezzo finale di vendita”. Non solo. Dalla relazione di Promontory si apprende che “tutte le vendite erano state curate non dagli uffici dell’Istituto e delle società, ma dall’avvocato Gabriele Liuzzo, che aveva anche stipulato l’atto di vendita (tranne uno) in forza di procure rilasciategli da Caloia”. Liuzzo aveva ricevuto “la somma di 8,2 milioni di euro, pari a circa il 9% dei ricavi incassati dai venditori”, percentuale “che Promontory giudicava del tutto sproporzionata e nettamente superiore a quella ordinaria, tra l’1 e il 3%”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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