Il Procuratore della Repubblica Bruno Caccia è stato ucciso il 26 giugno 1983 nei pressi della propria abitazione da due killer a bordo di una Fiat 128. A distanza di 38 anni la giustizia italiana non è ancora in grado di indicare i nomi degli assassini. Alcuni pezzi di verità si sono raggiunti grazie ai processi contro Rocco Schirripa ed il boss della 'Ndrangheta Domenico Belfiore, condannati rispettivamente, in qualità di membro del gruppo esecutivo e di mandante del delitto. Tuttavia ci sono ancora molte zone d'ombra a partire dalla decisione della procura di Milano di istruire il fascicolo sulla morte di Bruno Caccia classificandolo come "modello 45" ossia "fatto non costituente notizia di reato" oppure dalla decisione degli inquirenti di non sentire né i famigliari della vittima né i suoi colleghi d'ufficio. E poi ancora la quasi totale indifferenza nei confronti del lavoro svolto dal pm di Milano Francesco Di Maggio al quale erano state delegate al tempo le indagini sull'omicidio del procuratore torinese. Inoltre si può notare la presenza di figure opache nell'ambito della vicenda come quella dell'avvocato originario di Barcellona Pozzo Di Gotto, Rosario Pio Cattafi, il quale da più di quarant'anni entra ed esce da indagini per mafia.
A questi argomenti è stato dedicato l'evento trasmesso sul sito 19luglio1992 e sui canali social del Movimento Agende Rosse il 6 giugno 2021 dal titolo "Bruno Caccia, un omicidio senza giustizia".
L'evento è stato moderato dalla giornalista Antonella Beccaria e ha avuto la partecipazione di Carmen Duca, coordinatrice Agende Rosse Torino, Federica Fabbretti del direttivo Agende Rosse, Paola Caccia (la figlia del Procuratore Bruno Caccia), del giornalista Fabrizio Gatti e dell'avvocato Fabio Repici.
Un delitto eccellente "non costituente notizia di reato"
"Quello che era stato il delitto eccellente più importante della storia torinese era stato trattato come un delitto qualunque" anche se "aveva cambiato la storia democratica della città". Sono state queste le parole dell'avvocato della famiglia Caccia Fabio Repici al quale ha fatto eco anche il giornalista Fabrizio Gatti dicendo che il fascicolo sull'omicidio di Bruno Caccia è stato iscritto come "modello 45, cioè fatto non costituente notizia di reato" nonostante "la denuncia circostanziata da parte dei familiari e dei figli che hanno perso il papà".
Anche la figlia del procuratore, Paola Caccia, ha voluto commentare la morte del padre dicendo che "all'inizio la nostra famiglia aveva una totale fiducia nella giustizia. Ci siamo tenuti il nostro dolore come credo molti altri parenti di vittime di mafia" ma nel tempo "abbiamo capito che c'era qualcosa che non andava".
"La nostra inchiesta - ha sottolineato Repici - nasce in modo particolarmente imprevisto e imprevedibile" ossia "dalla intercettazione di un magistrato che era in servizio dalla procura di Barcellona Pozzo di Gotto, il magistrato Olindo Canali - che oggi è giudice presso il tribunale di Milano - il quale verso giugno del 2009, conversando con Alfio Caruso (un giornalista e scrittore molto famoso, ndr), ad un certo punto confida una circostanza inedita: a Rosario Pio Cattafi nell'agosto del 1984, nel corso di una perquisizione nel suo domicilio milanese in corso via Mascagni 21, era stato sequestrato un documento contenente il testo della falsa rivendicazione brigatista dell'omicidio di Bruno Caccia”. La cosa strana e che "le false rivendicazioni dell'omicidio erano avvenute solo telefonicamente. E voi capite che la detenzione del testo di una rivendicazione telefonica era un elemento indiziario di una dimensione veramente madornale. Questa conversazione viene captata dalla procura di Reggio Calabria e non se ne sa niente fino al 2011 quando quel fascicolo arriva a divenire processo" e quindi, ha aggiunto l'avvocato, "ho portato tutto all'attenzione della Procura generale di Milano" la quale "sta procedendo per l'omicidio del procuratore Caccia nei confronti di un altro soggetto 'Ndranghetista".
In merito ai processi già celebrati per l'omicidio del procuratore torinese l'avvocato Repici ha sottolineato che "negli accertamenti che aveva fatto la magistratura per arrivare alla condanna di Domenico Belfiore aveva trascurato tutti i nodi del tessuto mafioso operante nella città di Torino. Si era creata una favoletta secondo cui la mafia nella città di Torino era composta da due piccoli gruppi" di cui "uno calabrese limitato a Domenico Belfiore". "Ma con l'operazione Minotauro (istruita dal procuratore della repubblica Gian Carlo Caselli) si è dimostrato quanto fossero numerosi i gruppi di 'Ndrangheta che operavano nella città di Torino e in Valle D'Aosta" assieme "ad un altro gruppo siciliano che nella ricostruzione dei magistrati milanesi era limitata dai catanesi capeggiata da Francesco Miano".
Repici ha detto inoltre che leggendo il contenuto dei 23 faldoni "del processo a carico di Domenico Belfiore (mai stato condannato per mafia, ndr) per l'omicidio di Bruno Caccia" abbiamo ipotizzato che la riconoscibilità di quel delitto potrebbe derivare "dall'inchiesta della procura di Torino del giugno del 1983" che riguardava "il casinò di Saint Vincent" il quale poteva probabilmente fungere "come centrale di riciclaggio di denaro mafioso e di altri proventi dei sequestri di persona" in un contesto che vedeva "la cooperazione di mafia siciliana, mafia calabrese, eversione neofascista ed apparati deviati".
Inoltre i dati contenenti nei 23 faldoni, ha aggiunto Repici, "lasciavano ipotizzare il coinvolgimento nell'omicidio del Procuratore di Rosario Pio Cattafi e Demetrio Latella detto Luciano".
Durante la trasmissione inoltre l'avvocato ha detto che "fra il 1967 e il 1970 quel magistrato per tre lunghissimi anni fu tenuto abusivamente sotto il controllo dei servizi segreti (l'allora SID)" come "il dottor Gian Carlo Caselli, il quale aveva collaborato con Bruno Caccia nella più importate inchiesta che portò allo smantellamento delle brigate rosse".
Sempre parlando dei servizi segreti Repici ha detto che "ufficialmente e sotterraneamente" le indagini sull'omicidio di Bruno Caccia "sono state delegate ai servizi segreti" e "subdelegati ad un mafioso detenuto al carcere di Milano".
Infine Repici ha detto che "la procura generale di Milano ha sentito per la prima volta i figli di Bruno Caccia" e "suoi colleghi" precisando il fatto che le indagini sono ancora in corso e che "non sappiamo a quali risultati sia arrivata" la procura Milanese.
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