Fabio Repici e Salvatore Borsellino raccontano la sentenza del Borsellino quater
La Corte d’Assise di Caltanissetta definì il depistaggio della strage di Via D'Amelio come "uno dei più gravi della storia giudiziaria italiana”.
La sentenza venne pronunciata il 20 aprile 2017 ed esattamente un anno dopo, il 20 aprile 2018, venne emessa dalla Corte d’Assise di Palermo la sentenza che mise nero su bianco l’esistenza di un dialogo instaurato tra pezzi deviati delle Istituzioni e Cosa Nostra, definito dai giudici come “un sicuro elemento di novità che può certamente aver determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio del Dott. Borsellino”.
A distanza di quattro anni dalla lettura della sentenza del processo Borsellino quater, il gruppo Agende Rosse “Dalla Chiesa e Setti Carraro” di Ancona e provincia ha voluto riportare all'attenzione del pubblico questa importante verità processuale.
Gli ospiti dell’evento sono stati Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino nonché fondatore del Movimento Agende Rosse, l’Avvocato Fabio Repici e tre membri del Movimento Agende Rosse di Ancona, Ilaria Mariotti, Maria Teresa Mancia e come moderatore Marco Bertelli.
Salvatore Borsellino: "Mio fratello ucciso per la Trattativa"
"Io all'inizio ho creduto che ci fu semplicemente una mancata protezione dello Stato nei confronti di mio fratello e nient'altro" poi "cominciai a vedere qualcos'altro; segnali che non capivo, come i 300 mafiosi rimessi dall'allora Guardasigilli Conso fuori in un sol colpo dal 41 bis", come se lo Stato iniziò già in quel periodo "a pagare le cambiali di quella Trattativa" e lì capii "che mio fratello era stato ucciso perché con lui vivo non sarebbe mai potuta attuare quella Tratattiva" poiché "l'avrebbe denunciata all'opinione pubblica". Sono state queste le parole pronunciate da Salvatore Borsellino durante il suo intervento in riferimento alla Strage che uccise il giudice Paolo Borsellino e gli agenti delle sua scorta Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina, il 19 luglio 1992 in via D'Amelio.
Parlando della sentenza del Borsellino quater, in cui i giudici riconobbero che l'ex balordo della Guadagna Vincenzo Scarantino venne "indotto a mentire e a rendere false dichiarazioni" da "soggetti inseriti negli apparati dello Stato", Salvatore ha detto che durante la lettura del dispositivo "avrei voluto morire" per "non vedere magari un giorno un'altra sentenza stracciare questa" poiché questa verità processuale rappresenta "un punto fondamentale da cui partire" per ricercare la verità sulla strage di Via D'Amelio.
Inoltre in merito alla trattativa Stato-Mafia, non più presunta, (sentenza di primo grado 20 aprile 2018) Salvatore ha criticato molto duramente certi professori universitari che hanno asserito "la normalità della trattativa tra lo Stato e la mafia", ricordando inoltre, che nel dispositivo di sentenza i giudici scrissero che "deve necessariamente concludersi, per ineludibile deduzione logica, che effettivamente nei giorni precedenti la strage di via D'Amelio ebbe a verificarsi un qualche accadimento che ha indotto il Riina a soprassedere all'omicidio dell'On. Mannino ed a concentrarsi, invece, con immediatezza, sull'uccisione del dott. Borsellino" e che "non v'è dubbio che quell'invito al dialogo pervenuto dai Carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l'effetto dell'accelerazione dell'omicidio del dott. Borsellino con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dallo Stato".
Sentenza Borsellino quater. Avv. Fabio Repici: "Uno schiaffo per la Procura"
L'avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, legale da sempre in prima linea in difesa delle vittime di mafia, ha detto durante il suo intervento che la sentenza del processo Borsellino quater ha rappresentato uno "schiaffo per la procura" perché "furono condannati all'ergastolo Salvatore Madonia e Vittorio Tutino" per la strage di via D'Amelio, e a 10 anni i due falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci - accusati di calunnia per aver depistato le indagini - rendendo totalmente inefficace tutto l'impianto accusatorio avanzato nel confronti di Vincenzo Scarantino. La cosa interessante, ha sottolineato Repici, è che "durante il dibattimento del Borsellino quater alcuni funzionari di polizia che furono iscritti nel registro degli indagati per calunnia" e "per il depistaggio in concorso con il capo del gruppo operativo Falcone e Borsellino Arnaldo La Barbera" (defunto il 12 dicembre 2002) "furono su richiesta dei pubblici ministeri" (gli stessi che sostennero che il depistaggio era da imputare a Vincenzo Scarantino) "archiviati" e che senza i risultati "della "sentenza del Borsellino quater non sarebbe oggi in corso un dibattimento a carico di un funzionario di polizia e di due altri poliziotti che sono imputati proprio per la loro", secondo i pm, "partecipazione a quel depistaggio".
In riferimento alla strage di via D'Amelio il legale Repici ha poi sottolineato che "non fu compiuta solo da Cosa Nostra" poiché "c'è una porzione di responsabilità di uomini dello Stato, non solo nella ideazione" ma anche "nelle dinamiche esecutive".
Infatti Gaspare Spatuzza, killer fedelissimo dei fratelli Graviano, raccontò agli inquirenti che la preparazione dell'auto bomba - la fiat 126 - per compiere la strage in Via D'Amelio venne fatta sotto la supervisione di un uomo "che non era di Cosa Nostra", forse appartenente ai sevizi di sicurezza.
Il rapporto Mafia e Appalti
"Non è possibile ricondurre alla casuale della strage" il "rapporto del R.o.s denominato 'mafia e appalti' sul quale alcuni sostengono che venne puntata l'attenzione del giudice Borsellino durante il periodo delle stragi" ha affermato l'avvocato Repici, poiché durante l'ultimo intervento pubblico (avvenuto il 25 giungo del 1992) del giudice Borsellino, si parlò di argomenti che a tutto si riferivano meno che al dossier 'mafia e appalti'.
Inoltre nel pomeriggio dello stesso giorno, Borsellino, ebbe un incontro con l'allora "colonnello Mario Mori e l'allora capitano dei carabinieri De Donno organizzato da una delle persone più vicine a Paolo Borsellino, il tenente Carmelo Canale" il quale, ha detto Repici "testimoniò al processo Borsellino quater" raccontando che l'incontro non ebbe come oggetto 'mafia e appalti' ma un tema "molto particolare e preoccupante, e cioè il sospetto" di Borsellino "che l'autore del documento anonimo detto corvo due" - in cui furono scritte pesanti accuse nei confronti di alte cariche istituzionali - "fu il capitano De Donno del R.o.s".
In conclusione, Repici, ha voluto ricordare le dichiarazioni della moglie del dott. Borsellino - Agnese - la quale disse che una sera il marito rientrò a casa sconvolto, e che dopo aver vomitato disse: "Mi hanno detto che il generale Subranni è punciuto".
Quindi come poteva il giudice Borsellino lavorare sul rapporto 'mafia e appalti' assieme a un generale che era, secondo quanto dichiarato nell'episodio raccontato dalla moglie, interno a Cosa Nostra?
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