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C’è un magistrato che combatte le mafie da diversi decenni. Che ha trascorso la sua vita dentro un’autovettura blindata. Ogni tanto esce fuori un collaboratore di giustizia che racconta di questo o di quel clan che lo vorrebbe uccidere. Ma i peggiori attacchi sono quelli che provengono da coloro che cercano di denigrarlo nel suo quotidiano impegno contro il crimine organizzato. Lo attaccano per farsi pubblicità gratuita e, spesso, scrivono sempre le medesime cose. Ci sono tanti che lo fanno. Si ritengono portabandiera di garantismo. Confondendo il garantismo dall’attacco alla magistratura inquirente a prescindere. È questo attacco senza regole che rischia di far puntare il mirino su un magistrato che, in questo caso, è quello che più di altri si è messo in prima fila per sbarrare la strada alle mafie e ai loro loschi affari.
Il magistrato che viene attaccato quotidianamente è Nicola Gratteri. Negli anni ha istruito decine di processi contro le cosche più pericolose al mondo. Si, ricordiamolo, nella Calabria del 2021 operano consorterie che sono tra le più potenti al mondo e sono talmente feroci che non si fanno scrupolo di uccidere donne e bambini. Vittime innocenti delle mafie. Vittime di un sistema che è stato al servizio anche di alcuni politici o, meglio, dei politicanti asserviti a certi poteri forti che si nascondono bene dietro a questa o quella professione.
Ci sono delle persone che intervengono a ogni battere di ciglia che possa collegarsi anche solo al nome di Gratteri. E scrivono sempre le stesse cose da anni. A Roma si direbbe che sono “de coccio”. E tali appaiono. Non conoscono limiti. Fa riflette il loro farsi pubblicità gratuita sulle spalle di un magistrato che rischia la vita, anche per far garantire quel briciolo di democrazia che è ancora rimasto in certi territori dove, spesso, vivono gli stessi suoi detrattori: “Nemo propheta acceptus est in patria sua.
Ci si arrovella al pensiero che Gratteri possa andare a guidare la Procura della Repubblica di Milano. E non sanno trovare altra giustificazione che parlarne male. Addirittura c’è chi sostiene che un’eventuale nomina a Procuratore Capo sotto il Duomo lo vedrebbe soccombere perché non gli farebbero trattare la capitale economica d’Italia come “una suddita”, come invece gli avrebbero consentito di trattare la Calabria.
Basta questa assurda considerazione per comprendere la pochezza di certi detrattori. A questi e a tutti i coloro che si fanno pubblicità gratuita sul lavoro dei giudici, vorrei ricordare come un altro magistrato, molti anni addietro, ha indicato che per combattere la mafia bisognasse percorrere la via maestra del denaro. Molti sono stati i magistrati e i politici, anche della tanto vituperata Democrazia Cristiana, che hanno pagato con la propria vita questo nuovo modo di lottare la mafia in Sicilia, su tutti, i clan palermitani.
Pensiamo ancora che le ’ndrine sono solo quelle del racket delle estorsioni? Alcune recenti indagini hanno svelato l’interesse delle cosche nei mercati extraeuropei, ma sono in corso affari nei Paesi in via di sviluppo, alcuni limitrofi all’Italia. Che dire poi della nuova frontiera dei bitcoin e delle criptovalute, che potrebbero rappresentare una nuova fase di investimento illecito? E l’interesse delle mafie nel commercio dei nuovi schiavi o nella tratta degli immigrati? Dove va tutto il denaro del riciclaggio dei proventi del narcotraffico e degli altri crimini?
La Piovra incorporava miliardi delle vecchie Lire per trasferirle, guarda caso, a Milano. E, guarda caso, proprio la ’ndrangheta calabrese a Milano comanda da decenni, cosi come comanda in Piemonte, in Liguria, In Veneto, in Emilia-Romagna, nel Lazio e in tante altre Regioni italiane. Ha interessi in moltissimi Paesi esteri, per come emerge da decine di indagini. Il traffico internazionale di cocaina è nelle mani dei calabresi da molto tempo. Ancora oggi, in Sudamerica, ci sono dei broker calabresi che controllano il mercato degli stupefacenti.
Forse è proprio indagando a Milano che si possono aprire nuovi orizzonti sulle indagini relative all’utilizzo del denaro sporco. E un magistrato esperto come Nicola Gratteri sarebbe in grado di guidare un pool di investigatori preparati e pronti ad aprire un nuovo capitolo sulle infiltrazioni del crimine organizzato anche nelle grandi società di capitali che operano in Borsa e, da qui, contrattano con il resto del mondo economico e finanziario.
L’eventuale guida della Procura della Repubblica di Milano non sarebbe una punizione, ma un altro passo in avanti per indagare sulle mafie e sul loro potere economico. Sui loro legami internazionali dietro a società pulite solo di facciata o di comodo. Sarebbe un altro passo in avanti per comprendere cosa avviene nella Finanza mondiale e le infiltrazioni criminali attraverso intestazioni fittizie di varia natura.
C’è chi vorrebbe capire certi legami tra le mafie e l’alta borghesia finanziaria italiana ed estera.
C’è anche chi rimane ancora nel suo piccolo paese di provincia (“hic sunt leones”) a fasciarsi la testa e riprodurre sempre il medesimo scritto, perseverando oltre ogni limite, in attesa, forse, che qualcuno si accorga di loro. E questo mentre nel mondo digitale le mafie si rendono sempre più invisibili e chi li cerca trova sempre più ostacoli e detrattori, a volte inconsapevoli di consegnare un alibi ai tanti furbetti del quartierino.

Tratto da: metisnews.it

Foto © Imagoeconomica

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