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La mattina del 22 febbraio, l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo, sono stati uccisi nella regione congolese del Nord Kivu, durante quello che sembrerebbe essere un sequestro finito in scontro armato.

L’ambasciatore italiano si trovava da tempo nella Repubblica Democratica del Congo e quel giorno era diretto a Rutshuru per presiedere all’inaugurazione di strutture Onu legate al PAM (Programma Alimentare Mondiale, in inglese World Food Programme). Il convoglio era partito da Goma, percorrendo la strada che attraversa il Parco nazionale dei Virunga. Sui due mezzi non blindati assieme ad Attanasio c’erano Vittorio Iacovacci, il vicedirettore del PAM Rocco Leone, altri due funzionari del PAM e i due autisti. Erano circa le 10:15 locali quando il convoglio subì l’attacco da parte di sette uomini armati. Mustapha Milambo è morto sul colpo mentre gli altri sono stati sequestrati. Un gruppo di ranger che si trovava nelle vicinanze intervenne subito per cercare di salvare l’ambasciatore, la guardia del corpo e i funzionari del PAM. Iniziò così uno scontro armato e, nel fuoco incrociato, Attanasio viene gravemente ferito. Portato subito in ospedale non è riuscito a sopravvivere. I ranger, nel mentre, hanno continuano l’inseguimento e dopo circa un chilometro hanno trovato Vittorio Iacovacci esanime.

Rocco Leone riesce a sopravvivere e viene portato in ospedale illeso, anche se in stato di shock. Delle altre tre persone facenti parte del convoglio non ci sono notizie certe.

Purtroppo, questo non è un caso isolato. Nella Repubblica Democratica del Congo, infatti, ci sono più di cento gruppi armati. Fra questi l’Allied Democratic Forces (Adf), molto vicina agli jihadisti, e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdrl). Proprio quest’ultime, formate da militanti ruandesi di etnia Hutu, sono state accusate dal governo congolese per l’uccisione di Attanasio, Iacovacci e Milambo. I capi dell’Fdrl hanno negato di essere i responsabili, accusando l’esercito ruandese e congolese.

Nonostante la presenza del contingente internazionale Monusco, nel Nord Kivu i sequestri di persone sono molto frequenti sia a danno della popolazione locale che a discapito di esterni. Nel 2018, ad esempio, due turisti inglesi sono stati sequestrati vicino al luogo in cui Attanasio è stato ucciso.

Ma riflettendo sulla vicenda sorge spontanea una domanda: perché il convoglio è partito con auto non blindate e quasi senza scorta?

Le autorità congolesi hanno affermato di essere rimaste sorprese dal fatto che Attanasio si recasse su quella strada senza avere delle protezioni. Inoltre, hanno rivelato che non erano al corrente del percorso che l’ambasciatore avrebbe compiuto. Ma da un documento datato 15 febbraio, reso noto solo recentemente, è emerso come l’ambasciata italiana avesse informato le autorità di Kinshasa dei futuri spostamenti di Luca Attanasio. A questa notizia è seguita la risposta dell’autorità congolese secondo cui, lo stesso 15 febbraio, sarebbe stata informata che il viaggio era stato annullato.

Il PAM ha dichiarato, invece, che la strada percorsa era autorizzata ad uno spostamento senza scorta.

Una squadra del Ros è stata inviata sul luogo della tragedia per indagare mentre le salme di Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci sono tornate in patria, dove l’autopsia farà maggior chiarezza sulla provenienza degli spari che li hanno uccisi durante il fuoco incrociato.

Rapimento finito male o un nuovo caso Alpi-Hrovatin?
Il 5 marzo, sulla stessa strada, ha perso la vita in un agguato il procuratore militare congolese William Assani, il quale stava indagando sull’omicidio dell’ambasciatore italiano. Questo ulteriore svolgimento infittisce ancor di più la vicenda non ancora chiara. La pista ipotizzata in un primo momento da molti giornali, e su cui sta attualmente indagando la procura di Roma, è quella dell’attentato con finalità terroristiche e omicidio colposo. Secondo questa versione, ancora da verificare, il convoglio su cui viaggiava l’ambasciatore italiano è stato attaccato da un gruppo armato che intendeva rapire degli ostaggi per poi chiedere un riscatto. La successiva sparatoria tra il gruppo armato, ancora ignoto, e i rangers presenti nella zona del parco del Virunga è risultata fatale per l’ambasciatore Attanasio, il carabiniere Iacovacci e l’autista Milambo. Dunque, si tratterebbe di un evento sfortunato, un rapimento finito male.

Ma l’omicidio mirato del procuratore Assani – questa volta l’ipotesi del riscatto non è stata presa in considerazione -, fa sorgere nuovi interrogativi. C’è qualcuno che non vuole che si indaghi per far emergere la verità sulla vicenda? Siamo di fronte ad un nuovo caso Ilaria Alpi, segnato da insabbiamenti e depistaggi?

Con le ancora scarse informazioni che abbiamo non è possibile rispondere a queste domande ma, sicuramente, per farlo è necessario tenere in conto l’attività svolta da Luca Attanasio quando era ancora in vita. L’ambasciatore, infatti, ha sempre sostenuto in prima persona le organizzazioni umanitarie che lavorano in Congo. Tra queste, per citarne alcune, ForAfricaChildren ONLUS, Fondazione Internazionale Buon Pastore ONLUS e l’ONG Mama Sofia, fondata dalla moglie Zakia Seddiki. Si tratta di organizzazioni che aiutano concretamente la popolazione congolese, fornendo, oltre all’assistenza sanitaria, istruzione ai bambini e lavoro alle donne per togliere entrambi dall’infernale giro di sfruttamento nelle miniere. Solo negli ultimi anni sono migliaia i bambini e le donne salvati da questo giro grazie al lavoro svolto da queste ONG e ONLUS. Progetti che, ovviamente, risultano molto scomodi a chi, invece, controlla de facto le miniere e, tramite quel lavoro sottopagato (meno di un dollaro al giorno per ogni lavoratore, adulto o bambino che sia), gonfia ancora di più il proprio capitale, risparmiando sulla manodopera praticamente gratuita. Non si tratta solo delle note multinazionali, ma anche di mafie, specialmente la ‘Ndrangheta (presente come una multinazionale in ogni parte del mondo), insediata ormai da decenni nel territorio congolese. Il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura (ancora in regime di protezione) di recente ha affermato: “Quando ero in carcere tra il 1993 e il 1994 ho sentito parlare di diamanti, pietre preziose e investimenti nello Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo, ndr). Qualcuno me ne ha parlato anche fuori dal carcere, ma non conosco tutti i dettagli. Gli investimenti in Africa da parte della ’Ndrangheta, però, ci sono e a loro convengono poiché sono lontani da eventuali indagini della magistratura”. La tecnica utilizzata è la solita: armi e droga ai gruppi locali in cambio di materiali preziosi di cui il Congo abbonda. Inoltre, proprio il Nord del Kivu, luogo degli omicidi, si presta in modo particolare agli affari illeciti, sia per i conflitti eterni tra eserciti regolari dei paesi confinanti (Ruanda, RDC, Burundi) e milizie paramilitari, sia per la marcata debolezza del governo nella zona (la capitale Kinshasa dista quasi 3000 km di macchina). Del resto in Italia dovremmo saperlo molto bene: la storia del nostro Paese ci insegna che la mafia si radica con maggior forza laddove lo Stato è debole o assente.

Dunque, la pista dell’omicidio doloso, volto ad eliminare chi nelle vesti di ambasciatore non sedeva solo dietro una scrivania in una lussuosa villa, è senza dubbio da prendere in considerazione. Consapevoli del fatto che le multinazionali e le mafie, che operano nella zona, forniscono armi ai gruppi locali per alimentare i conflitti (e quindi la loro impunità nel rubare le risorse) nella zona, da una parte, e per difendere i propri interessi dall’altra.

Foto by MONUSCO is licensed under CC BY-SA 2.0

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