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Un messaggio per i giovani: “State sempre dalla parte della legge, dalla parte del bene”

L’infanzia, l’affiliazione a Cosa Nostra, la collaborazione con la giustizia e infine la vocazione per la pittura. Una storia interessante quella di Gaspare Mutolo che, qualche giorno fa in un’intervista condotta in diretta su Facebook da Savino Percoco e Pietro Cea, ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua vita. L’evento, dal nome “Esistenze: dialogo con Gaspare Mutolo”, è stato organizzato dall’associazione Rare Tracce e dal movimento delle Agende Rosse ed è stata presente anche l’Assessore alla pubblica Istruzione del Comune di Toritto, Marta Mirra.
Sono stati tanti i momenti raccontati da Mutolo. Entrando nel merito delle motivazioni che lo hanno spinto a pentirsi ha detto che “io mai pensavo che un mafioso potesse uccidere un bambino o una donna incinta solo per il sospetto che potesse raccontare qualcosa. Non c’erano più i valori che io sognavo quando ero giovane”. Secondo Mutolo la mafia, quando è salita al potere con Salvatore Riina, si è completamente privata di ogni aspetto umano e che a contare ad un certo punto sarebbe stato solo il denaro e il potere. Una mafia insomma non più in linea con i “principi” e con le “regole d’onore”, tanto decantate dai vecchi boss ai picciotti che erano pronti ad entrare in Cosa Nostra. Gaspare Mutolo ha raccontato della sua affiliazione partendo dal suo incontro avvenuto in carcere con Totò Riina: “Siccome io ero un po' ribelle mi hanno spostato di cella e mi sono ritrovato con Salvatore Riina. L’ho conosciuto nel 1965 e mi affascinò. Stavamo ventiquattro ore insieme ed è nata una grande amicizia. Quando uscii dal carcere nel 1973 mi fece entrare in Cosa Nostra a Napoli in una proprietà dei Nuvoletta”. L’iniziazione avvenne attraverso il rituale della “Punciuta” e della “Santina Bruciata” e una volta che si giura fedeltà si diventa uomo d’onore.





La decisione di Gaspare di dissociarsi da Cosa Nostra lo portò ad uno scontro con i suoi ex compagni, tra i quali anche Riina, che durante un confronto in Tribunale avvenuto nei primi mesi del 1993 “disse che mi avrebbe fatto fare la fine di Di Matteo Lo Vecchio e che con ironia minacciosa io stavo lasciando ai miei figli questa eredità”. Non si è mai pentito Gaspare Mutolo della sua scelta di collaborare con la giustizia, nonostante tutti gli ostacoli e le minacce che si sono presentate durante il suo percorso, “io ho fatto una scelta e non ho paura. Io ho dato tutto, una volta sono stato per 15 ore con la finanza per dirci io ci ho quello io ci ho questo... Non ho più niente… Ora capisco cosa vuol dire essere un uomo libero”. Un ruolo certamente di primaria importanza nel suo percorso lo ebbero i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “Sapevo che non erano avvicinabili”, ha spiegato Mutolo, “lo stesso fascino che io avevo per Riina poi l’ho avuto per Falcone”. A fine trasmissione ha raccontato la sua vocazione per la pittura e di come ha riscoperto la bellezza della vita grazie anche a delle persone con le quali fa opere di carità per i poveri, “l’arte è stata la mia vera compagna, la pittura è il mio amore, il cavalletto è il mio amore. Ora con delle persone con cui mi vedo porto delle cose a persone che non hanno da mangiare. Queste sono delle belle cose della vita che io prima non vedevo. Il mio più grande rimpianto è questo: aver sciupato le cose belle della vita, e che le ho scoperte troppo tardi. Il mafioso guadagna tanti soldi ma perde la bellezza che la vita gli offre”.

Visita: gasparemutoloarte.it

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