Nei giorni scorsi il Giornale di Sicilia ha dato la notizia: Roberto Campesi, un tempo addetto alla sicurezza dell'ex pm Giuseppe Ayala, sedicente ex carabiniere dei gruppi speciali, sedicente collaboratore dei servizi segreti, il quale aveva intessuto con lui e con altri esponenti delle forze dell’ordine rapporti di frequentazione e di asserita collaborazione, è stato arrestato per esecuzione pena di un cumulo di condanne. Il dato sarebbe emerso nel corso di un processo che si sta svolgendo davanti al giudice monocratico del Tribunale di Termini Imerese, Luigi Bonaqua, dove lo stesso Campesi è imputato con l'accusa di tenere illecitamente "segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai corpi di polizia".
Il 4 maggio 2013, infatti, fu trovato in possesso, all'interno della propria auto, di un lampeggiante in uso alle forze dell'ordine.
Campesi si è difeso dicendo di collaborare con l'Arma dei carabinieri "dal lontano 1982". "Con il mio lavoro - ha detto davanti al giudice - ho contribuito a far arrestare il latitante Salvatore Miceli, che è stato il massimo esponente del narcotraffico internazionale. Ecco perché quando nell'83 ho smesso di fare il carabiniere ho consegnato la paletta, ma mi hanno consentito di tenere in dotazione il lampeggiante. Lo metto sempre dentro la macchina, mai sulla tettoia. E comunque uso il veicolo soprattutto per fini istituzionali, come ai funerali del senatore Andreotti e della madre del commissario Manfredi Borsellino". Al di là dei fatti di questo processo, su cui il giudice si dovrà esprimere, vale la pena ricordare la figura di Campesi, personaggio molto controverso e misterioso, noto come “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle.
Rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l'accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel '94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano.
Poi ci furono altri processi per calunnia, conclusi con assoluzioni. Con questa accusa finì nell'occhio degli inquirenti per quel che disse contro Arnaldo La Barbera, allora capo della Squadra mobile, sostando che non avesse dato un'adeguata scorta a Giovanni Falcone. Il consulente informatico Gioacchino Genchi, oggi avvocato, lo definì al processo Borsellino quater come un "cazzaro". Sempre al Borsellino quater anche Giuseppe Ayala parlò di lui: "Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto si sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone". Il suo nome venne fatto anche da Roberto Farinella, ex caposcorta di Ayala. Campesi si aggirava tra le macerie di via D'Amelio subito dopo la strage con esponenti delle forze dell'ordine. Fu riconosciuto in fotografia dall'ex agente di scorta in aula a Caltanissetta nel processo per la strage di via D'Amelio. In quell'udienza Farinella spiegò di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. Campesi rimase invece nella scorta del magistrato.
Foto © Imagoeconomica
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