L'ex pm di Mani Pulite commenta le parole del pontefice sulla corruzione in Vaticano
"Le parole del Santo Padre sulla corruzione sono ovviamente sacrosante, è vero che la Chiesa ne parla da secoli, ma è anche vero che per secoli lo ha nascosto e lo nasconde. Il Papa vuole trasparenza ma la struttura ancora resiste...". A dirlo è l'ex giudice di Mani Pulite Antonio Di Pietro commentando le parole di Papa Francesco riguardo la corruzione nella Santa Sede durante un colloquio con il direttore dell'Adnkronos Gian Marco Chiocci. "Io credo che almeno da un punto di vista storico - prosegue Di Pietro all'Adnkronos - non il Papa ma l'amministrazione di Città del Vaticano farebbe bene, ora che anche i tempi della prescrizione sono terminati, a farci capire chi erano quelle persone che facevano transitare i soldi attraverso lo Ior per poi finire in tasche poco raccomandabili". "E dico questo perché quando feci l'inchiesta Mani Pulite l'unico Stato estero che non ha dato una sufficiente risposta alla rogatoria all'epoca era stato proprio Città del Vaticano". Il Papa ha spiegato che "purtroppo la Corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a mettere fine a questa degenerazione". "Appunto - dice Antonio Di Pietro - anche perché se ci avessero dato delle risposte complete e per tempo, molto probabilmente avremmo saputo anche che fine ha fatto quell'altra parte della tangente Enimont di cui non siamo riusciti a individuare i destinatari".
"Questo è un momento delicato della storia della trasparenza finanziaria del Vaticano con un Papa che la vuole e una struttura che resiste - dice l'ex magistrato di Mani Pulite - siamo a un bivio. Per capire se ci troviamo di fronte a una svolta o a una eterna incompiuta, come è successo proprio con l'inchiesta milanese di Mani pulite...". "In Italia abbiamo questo vizio - prosegue ancora Di Pietro - che quando succedono questi scandali globali, si toglie la crosta in superficie ma quello che è successo è difficile da fare emergere. A mi riferisco, ad esempio, anche al casa Palamara". Poi sulla giustizia dice: "Io in questi anni ho vestito tutti i panni previsti dal Codice di procedura penale e ho potuto riscontrare che cosa funziona e cosa non funziona. Vuole sapere cosa non funziona? Il pregiudizio, e non parlo solo dell'imputato, ma di tutte le parti processuali. Se ci si mette nei panni dei magistrati, ad esempio, è un carico di responsabilità. Basti pensare al processo d'appello sulla trattativa tra Stato e mafia in corso a Palermo. Con questa pressione continua, c'è un pregiudizio che si è inevitabilmente costruito intorno alla vicenda".
"Dall'esito di quelle decisioni che devono essere prese senza pregiudizio - spiega Di Pietro - si deve valutare se una persona è stata un servitore dello Stato o un criminale, quindi tra ricevere una medaglia o una condanna c'è una bella differenza". Alla sbarra in appello ci sono, tra gli altri, il generale Mario Mori e il generale Antonio Subranni. E, tornando, infine, ancora sulla Corruzione nella Chiesa, Di Pietro conclude: "Nella Chiesa ci sono delle persone, come tra i magistrati, i medici o i macellai, c'è qualche prete che predica bene e poi va coi ragazzini".
Fonte: AdnKronos
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