È morto lo scorso 3 settembre Alberto Stefano Volo, neofascista siciliano al servizio degli apparati segreti (e illegali) dello Stato. Aveva conosciuto Giovanni Falcone, con il quale vantava una confidenza che non ha testimoni. Tuttavia è molto probabile che anche durante le loro conversazioni, intorno al 1989, il magistrato siciliano abbia potuto rafforzare le proprie riflessioni sugli apparati paramilitari che poi abbiamo conosciuto sotto il generico nome di Gladio e di cui esisteva una versione locale nel trapanese denominata Centro Scorpione.
Volo era stato ‘attivato’ negli anni ’70 per destabilizzare il clima delle contestazioni tenute a Genova nelle quali avevano una parte rilevante i ‘camalli’, i portuali, pezzo fortissimo della classe operaia che aveva ingaggiato uno scontro molto duro con i governi per il miglioramento delle proprie condizioni lavorative: ebbene contro di loro si mossero anche le strutture segrete dello Stato, inviando finti dimostranti con il compito di creare tensioni e violenze durante le manifestazioni di piazza.
Volo fu successivamente ‘scoperto’ nella sua doppia veste e dunque fu ‘disattivato’ dai pupari che lo manovravano. Conosceva molto bene gli ambienti neofascisti siciliani e i loro segreti, nei quali c’è innanzitutto l’omicidio di Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Siciliana, il delitto politico che cambiò il destino di un’isola dove vennero decimati in un breve arco di tempo i vertici di una classe dirigente progressista – nei quali spicca la figura di Boris Giuliano.
Di certo Volo raccontò a Falcone del coinvolgimento dei suoi amici terroristi Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini (assolti dai successivi processi). E ancora, Alberto Stefano Volo, il professore, com’era chiamato nell’ambiente, non poteva non frequentare il nevralgico Commissariato di San Lorenzo, punto di ritrovo dei fascisti locali e vero e proprio ‘laboratorio’ della collaborazione tra figure di un ‘parastato’ criminale, poliziotti della ‘filiera’ di Bruno Contrada e organismi di intelligence.
Anche Nino Agostino e Emanuele Piazza, i due poliziotti barbaramente uccisi perché avevano visto troppo del lato oscuro del potere, conoscevano bene quel luogo (il primo era in servizio proprio lì). Entrambi si dedicarono intensamente alla ricerca e alla cattura dei latitanti, tra i quali Salvatore Riina: nel Commissariato girava anche un preziario per la ricompensa di chi arrivava prima nella cattura, una inquietante modalità a dir poco border line, svolta dentro una terra di mezzo dove i confini tra attività tradizionale di polizia, quella di agente sotto copertura e quella di infiltrato erano divenuti sempre più sfumati.
Durante la sua collaborazione con Falcone, Volo era stato messo sotto vigilanza, per la sua protezione, e Nino Agostino svolgeva, tra gli altri, questo compito. Alberto Stefano Volo ha parlato molto, dicendo troppo poco. Forse neanche lui ha saputo fino in fondo come funzionasse davvero il grande gioco del quale era un piccolo ingranaggio.
Tratto da: ilfattoquotidiano.it
Foto © Shobha