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di AMDuemila - Video
Spedizioni punitive, aggressioni, contesti. E' il quadro che emerge nell'indagine coordinata dalla Dda di Bari e condotta dai carabinieri del Comando Provinciale che stamattina, unitamente allo Squadrone eliportato dei Cacciatori di Puglia ed al Nucleo Cinofili, hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale del capoluogo pugliese nei confronti di 9 persone. Gli arrestati erano tutti liberi e ritenuti affiliati o contigui alla ramificazione dell'organizzazione mafiosa operante sul quartiere San Pio-Enziteto di Bari.
I reati contestati, a vario titolo e in concorso, sono di lesioni aggravate dall'aver commesso il fatto in più di cinque persone, alla presenza di un minorenne e con l'utilizzo di un'arma, violenza privata, atti persecutori, violazione di domicilio e, per uno di loro, di violenza sessuale nei confronti della madre del ragazzo aggredito. Tutti i reati contestati sono aggravati dall'aver agito con metodo mafioso e per motivi abietti. Il pestaggio avvenne nella abitazione della vittima a Bari Palese, alla presenza dei suoi genitori e di un nipote minorenne.
Così sono stati ricostruiti i contrasti maturati all'interno del clan Strisciuglio di Bari che opera nei quartieri San Pio, Palese e Santo Spirito ed è stata fatta luce sulla spedizione punitiva avvenuta il 19 maggio scorso ai danni di un giovane di 23 anni.
Gli inquirenti hanno ricostruito la causa scatenante: un contrasto negli ambienti dello spaccio di sostanze stupefacenti, in seno al gruppo criminale Strisciuglio. Il raid venne condotto nella tarda serata da persone che agirono come un vero e proprio branco, in modo organizzato, tutti a volto scoperto, con atteggiamento spregiudicato e con la palese convinzione di rimanere impuniti. Alcuni di loro fecero i 'pali', sorvegliando l'ingresso dell'edificio, mentre gli altri entrarono nell'abitazione, aggredendo la madre che cercava di proteggere suo figlio. Quindi si avventarono su quest'ultimo, colpendolo violentemente con un tirapugni. La donna cercò in tutti i modi di salvaguardare suo figlio e mentre provava ad allontanarli, uno di loro l'avrebbe palpeggiata più volte. Grazie alle immagini dei sistemi di videosorveglianza, alle dichiarazioni delle vittime ed alle fonti di prova raccolte, i carabinieri della Compagnia di Bari San Paolo, coordinati dalla Procura della Repubblica-Dda, hanno identificato e denunciato 7 degli otto componenti del gruppo, oltre che il mandante della spedizione punitiva. La vittima, a seguito di quanto accaduto, ha deciso di collaborare con la giustizia ed è stato scortato e trasferito in una località protetta unitamente al suo nucleo familiare.
A pochi mesi dal brutale pestaggio, anche altri familiari del ragazzo, residenti nel quartiere di Santo Spirito, sono rimasti vittime di gravissime minacce di morte e di atti persecutori compiuti dalla suocera del mandante dell'aggressione, per costringerli a lasciare la propria abitazione. Anche la donna risulta colpita dalle ordinanze ed è stata portata in carcere. In relazione a questi ultimi fatti è stata contestata l'aggravante dei motivi abietti: i reati sarebbero stati commessi come reazione punitiva rispetto alla scelta di collaborare con la giustizia da parte del giovane, per riaffermare il prestigio e il predominio del gruppo nel territorio. L'evento da cui sono scaturiti gli arresti, sottolineano gli investigatori, "rappresenta l'ennesimo episodio di violenza caratterizzato da un 'modus operandi' indicativo di una 'professionalità criminale' degli indagati, che hanno agito in un contesto organizzato e senza avere la minima preoccupazione delle ripercussioni sui genitori e sul nipote minorenne del ragazzo aggredito, oltre che dei parenti di quest'ultimo".

Le rivelazioni del giovane aggredito
Il giovane 23enne, dopo l'aggressione, ha deciso di collaborare con la giustizia ed è stato trasferito, insieme ai familiari, in una località protetta. Particolarmente amaro il commento del procuratore aggiunto di Bari Francesco Giannella, coordinatore della Dda, sul silenzio da parte della società civile rispetto a certe violenze: "C'è un atteggiamento supino di assuefazione nei confronti di queste prepotenze che preoccupa molto. Dobbiamo dire no non solo alle attività criminali in senso stretto ma a queste manifestazioni di potere e di forza mafiosa, di possesso e dominio del territorio, che rappresentano l'anti-Stato, dando un messaggio alla popolazione civile, che non deve restare indifferente". "Nessuno di noi si illude di estirpare la Mafia da un territorio semplicemente restando alcune persone - ha detto Giannella - , occorre che ci sia anche una ribellione sociale, una condivisione di questi valori, altrimenti non si va da nessuna parte. Episodi come quello di cui stiamo parlando oggi hanno visto la totale indifferenza delle persone che avrebbero potuto quantomeno fare una telefonata ai carabinieri". Il procuratore aggiunto ha evidenziato che nessuno dei vicini di casa ha chiamato i soccorsi o le forze dell'ordine. "Nessuno deve diventare un eroe - ha detto Giannella - , non ci aspettiamo che la gente intervenga fisicamente, ma neanche una telefonata è troppo". Giannella ha sottolineato anche il ruolo delle donne del clan "lungi dall'essere in disparte rispetto alle dinamiche criminali, ne avvallano le attività con azioni di fiancheggiamento. Dobbiamo uscire dallo schema romantico delle donne che subiscono le scelte degli uomini. Il disprezzo nei confronti di chi viene ritenuto infame, come in questo caso - ha spiegato il magistrato Dda - , arriva fino al punto di tradursi in atti di altrettanto disprezzo, volgari e sessisti, nei confronti delle donne anche da parte delle donne stesse. Questo è un altro dato culturale che bisogna registrare e di fronte al quale bisogna ribellarsi".

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