di Marta Capaccioni - Foto
Our Voice alla presentazione del libro: additiamo i veri colpevoli, non le vittime
Una verità cruda e commovente quella raccontata da Angela Caponnetto, giornalista di RaiNews24, nel suo nuovo libro pubblicato lo scorso giugno e intitolato “Attraverso i tuoi occhi: cronache delle migrazioni”.
Dopo 18 anni di studio e di lavoro sul fenomeno migratorio e soprattutto di intenso impegno in mare e sulle coste italiane e africane, l’inviata ha voluto testimoniare con le sue parole quello che i suoi occhi hanno potuto vedere e vivere non solo all’interno dei gommoni, ma anche nei luoghi di partenza e nei centri di accoglienza della nostra Nazione.
Forse un desiderio nato dal fatto che troppo spesso le notizie riguardanti questo tema vengono manipolate e strumentalizzate per secondi fini. La fuga dalla fame, dalle guerre e dalle persecuzioni e poi la paura di chi si trova ad accogliere ma non capisce, per ignoranza o peggio, per indifferenza.
Nessuno o pochi hanno il desiderio di guardare negli occhi la vita di interi popoli costretti, da cause a loro esterne, ad abbandonare le loro terre, a veder partire i propri figli, o se questo non bastasse, a vederli morire nel tragitto verso una tanto desiderata salvezza.
“Le ferite esteriori e interiori di queste persone sono terribili e atroci tanto che molti non vogliono nemmeno raccontare le loro storie. Questo ho capito attraverso le mie interviste”, ha detto la giornalista durante la presentazione del suo libro lo scorso 11 agosto a San Benedetto del Tronto.
Sarà mai posta fine a questo martirio?
Come ha affermato la giornalista, i decreti di sicurezza non sono serviti a frenare i flussi migratori, così come è impensabile e improponibile rimandarli da dove sono partiti, particolarmente in Libia. Infatti, ha detto la Caponnetto, chiamare i luoghi dove i migranti vengono per lungo tempo detenuti, “centri di detenzione”, “è un eufemismo”. Non solo la maggior parte di loro è costretta ad attraversare il deserto ma quando raggiunge la costa Nord-africana è obbligata a subire violenze, stupri, torture e continue vessazioni dei diritti umani.
Nemmeno un oggetto considerato merce può essere trattato in questo modo, ma forse le loro vite in questo mondo valgono meno di un pezzo di carta stralciato. Da una parte la retorica pietista che racconta solo il migrante nero, povero e buono, dall’altra la discriminazione più estrema, dove tutti sono criminali e venuti a rubare e a sporcare. In ogni caso si tratta di una strumentalizzazione politica e mediatica che non guarda al migrante come una “persona”, con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue qualità e i suoi limiti. Noi siamo persone, mentre loro sono o tutti santi o tutti delinquenti.
Spesso infatti, tra di loro si nascondono e si infiltrano trafficanti e criminali già ingaggiati dalle mafie italiane o estere, pronti a continuare il loro lavoro nel nostro Paese. La giornalista, cercando di trasmettere questo concetto importante, ha raccontato una sua esperienza sopra la nave umanitaria Aquarius: “Ci ritroviamo in mezzo al mare con tante barche e a bordo c’erano 595 persone. Tra quelle c’erano 100 bambini che parlavano mille lingue, erano siriani, etiopi, eritrei, palestinesi, afghani, e si capivano anche a gesti parlando la lingua dell’innocenza. In quella circostanza è capitato anche che gli uomini hanno iniziato a litigare tra di loro tirando fuori dei coltelli e c’erano dei trafficanti tra loro, una decina di persone su 490. Bisogna capire che tra queste persone si nascondono anche persone non disperate. Ma erano sempre 10 su 490”.
Questo è un fenomeno complicato, che non può essere studiato con estremismi, né dall’una né dall’altra parte: è necessario distinguere, capire e conoscere, perché la sofferenza e la morte non possono essere manipolate, né banalizzate. Ognuno su quella barca è una persona, con il proprio vissuto, i propri errori, i propri scopi e le proprie aspirazioni, positive o criminali che siano. Esattamente come noi: ci sono i mafiosi e i corrotti e ci sono i giusti e martiri. Ognuno di loro è un essere umano che ha un diritto fondamentale, quello di poter vivere.
Nel corso della serata sono poi intervenuti i ragazzi del Movimento culturale Our Voice che, attraverso la lettura di alcune pagine del libro, hanno coinvolto ed emozionato il pubblico presente. Sonia Bongiovanni, direttrice del movimento, ha ricordato che “l’impegno deve partire da ogni cittadino italiano e da ogni cittadino del mondo. L’Italia finanzia con miliardi al giorno la Nato che scatena guerre nei paesi dai quali provengono tutte queste persone, distruggendo le loro case, i loro ospedali e le loro scuole. Ci lamentiamo del loro arrivo in Italia ma non andiamo a vedere la causa, quelle bombe vengono costruite e fabbricate e partono da casa nostra. Noi ci dobbiamo schierare dalla parte di queste persone ma additando chi veramente è colpevole della loro condizione di vita e di tutte le ingiustizie nel mondo e chi comanda davvero questo sistema che uccide, schiavizza, finanzia le tratte di bambini e di organi, sfrutta e violenta. Queste persone, come ogni essere umano su questa Terra, devono avere i nostri stessi diritti”.
Un appello a chi vede spesso i colpevoli e i criminali nelle vittime e nei perseguitati. Una chiamata per tutti coloro che non vanno alla causa del problema e si fermano alla superficie. Perché chi davvero decide per le vite di queste famiglie e, in maniera più subdola, anche per le nostre, rimane a capo dell’intero sistema. La carneficina continua, perché uomini, donne e bambini non smettono di affogare, di essere violentati e venduti come schiavi. Forse, solo quando sarà troppo tardi, ci renderemo conto che la responsabilità di ogni vita scomparsa era anche la nostra. Quel giorno sicuramente ci pentiremo del nostro silenzio.
Foto © Our Voice